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 2010  aprile 02 Venerdì calendario

PESCE - PER VOCEARANCIO


Nei supermercati giapponesi va molto di moda una canzoncina. Il ritornello (tradotto) fa: «Pesce, pesce pesce. Diventi intelligente se mangi il pesce. Intelligente, intelligente, intelligente. Pesce, pesce, pesce. Diventi sano se mangi il pesce. Sano, sano, sano». La canzone si chiama ”Il paradiso dei pesci” e la cantano i Gyoko. Il nome della band significa ”Porto di pesca”, il loro leader è Tsurizao Morita, un ex pescatore che, quando sale sul palco, indossa una vera testa di tonno come copricapo. A inizio concerto la toglie, la fa a fettine con un coltello da pescatore e tira i pezzetti (commestibili) al pubblico.
L’industria nipponica della pesca ha ingaggiato i Gyoko per convincere i giapponesi a tornare a mangiare il pesce. Famosi come il popolo che ama più di ogni altro i frutti del mare, presenti in tutto l’Occidente con migliaia di ristoranti sushi (si dice ne esistano 50mila), i giapponesi si stanno allontanando sempre di più dalla loro cultura culinaria. Il consumo di pesce pro-capite è in calo dal 2000. Dieci anni fa ogni giapponese mangiava in media 80 chili di pesce all’anno, mentre secondo gli ultimi dati disponibili, quelli rilevati dalla Fao nel 2007, il consumo pro capite è sceso a 68 chili.
Un livello che basta a confermare il primo posto del Giappone tra i paesi consumatori di pesce: la media mondiale è di 13 chili annui pro capite, quella europea è a 22 chili, con il Portogallo che arriva a 58 e la Spagna a 38, mentre in Italia mangiamo in media 24 chili di pesce a testa ogni anno.
Ma il calo c’è, ed è forte. E nel 2006 è avvenuto lo storico sorpasso: il consumo di carne, tra i giapponesi, ha superato quello di pesce.
In Giappone il lento abbandono del pesce è una questione generazionale. La cosa più preoccupante è che sono i giovani ad essere stanchi del cibo dei loro padri. ”Mi piace pescare, ma odio mangiare il pesce. Il pesce puzza, e odio le lische” ha raccontato al Wall Street Journal un ragazzino di Tokyo, e le indagini del governo giapponese rivelano che tra i giovani giapponesi spaghetti e hamburger hanno molto più successo si sushi o sashimi.
Un sondaggio condotto dalle agenzie governative ha chiesto ai giapponesi perché comprassero più carne che pesce. Erano possibili più risposte. La replica che ha avuto più successo (32%) è stata che i membri della famiglia (i bambini, nel 68% dei casi) non lo vogliono. Il 31% ha ricordato che il pesce costa più della carne, il 25% che cucinarlo è faticoso, il 20% che è complicato lavare le padelle usate per scaldarlo, il 13% che non è facile pulirlo.
La scomodità è uno dei principali motivi dietro alla crisi del pesce giapponese. Per questo molte aziende si stanno organizzando per produrre del pesce ”semplice”, prodotti confezionati da piazzare nei supermercati già pronti per essere mangiati, pesce sempre già pulito, per evitare il problema delle lische (che stanno allontanando dal pesce anche i più anziani tra i nipponici, spaventati dalle frequenti notizie di vecchi morti ingoiando una lisca di pesce).
Gli occupati nel settore della pesca, in Giappone, sono diminuiti del 4% nel 2008. E il 36% di loro (che sono in tutto 220mila) ha più di 64 anni.
Il governo giapponese è in allarme. Intanto ha avvertito la popolazione che se non si fa mangiare pesce ai bambini, questi non assimileranno sostanze come gli acido eicosapentaenoico e docosaesaenoico, che aiutano a sviluppare e mantenere le cellule cerebrali e quelle delle sistema nervoso, oltre a favorire la circolazione sanguinea. Non solo, i bambini che non si abituano da piccoli a rimuovere con attenzione le lische, non impareranno mai a padroneggiare le stecche tipiche della cucina orientale con accettabile destrezza.
L’industria delle pesca ha inviato anche educatori nelle scuole. Un corso tipo: ”I pesci hanno le lische”. Si insegna ai bambini come mangiare un intero pesce con gli stecchini. Il metodo: con l’aiuto di mappe anatomiche si illustra agli studenti la struttura ossea del pesce. Poi gli si mostra come pulirlo e quindi come mangiarlo. Tutte strategie che, almeno fino ad oggi, non hanno dato gli effetti sperati.
Il calo di appetito dei giapponesi sta cambiando le dinamiche del mercato mondiale della pesca. Da sempre il maggiore importatore mondiali di pesce, il Giappone ha ceduto il primo posto di questa classifica agli Stati Uniti nel 2007. E dietro, le nuove potenze regionali, Cina e India, incalzano i nipponici. A Tokyo hanno inventato una nuova parola per definire questa situazione: kaimake. Si può tradurre come ”l’andare in fumo degli affari”. Nella pratica significa che alle aste per i migliori pesci e i frutti di mare più pregiati il leggendario potere d’acquisto giapponese ha iniziato a sgretolarsi. Oggi i migliori tonni non finiscono nei ristoranti sushi di Tokyo, ma in quelli di Shangai e New York.
Ma se già in casa propria il governo giapponese fatica a difendere le sue tradizioni, a livello internazionale sta facendo sforzi immensi per garantire al popolo giapponese la possibilità di continuare a trovare nel pesce il proprio cibo di riferimento. La battaglia per il tonno rosso, che Tokyo ha combattuto con straordinaria determinazione, così come quella a difesa della caccia alle balene (cibo che, dicono gli ambientalisti, i giapponesi non mangiano quasi più), ne sono due esempio emblematici.
Il tonno rosso, chiamato anche bluefin, è un pesce predatore che si muove ad alte velocità (anche ottanta chilometri orari) per gli oceani. Viaggia da un continente all’altro, ed è presente in quasi tutti i mari. I migliori, però, sono quelli dell’Atlantico occidentale e del Mediterraneo. Spostandosi tra mari e caldi freddi in continuazione costringe il tonno rosso ad avere una vasta riserva di grasso che funzioni come serbatoio di energia. proprio questo grasso a fare del tonno rosso la razza più ambita. Il bluefin è il tonno del sushi, e i giapponesi mangiano l’80% della produzione mondiale di tonno rosso.
La cosa strana è che il tonno rosso non fa davvero parte della dieta tradizionale del Giappone, ma è diventato molto popolare negli ultimi vent’anni, grazie allo sviluppo della refrigerazione, che ha consentito un rapido spostamento dei pesci.
Da anni, attorno al tonno rosso si combatte una grossa battaglia. Si lotta sui dati: alcuni studi dicono che questo pesce è vicino all’estinzione a causa di una caccia troppo intensiva. Gli stock di pesci esistenti sarebbero diminuiti del 75% negli ultimi cinquanta anni. Sulla base di questi dati l’Unione europea si era presentata a Doha, per la riunione della Convenzione sul commercio delle specie a rischio di estinzione che si è tenuta a metà marzo, con la proposta di inserire il tonno rosso tra le specie a rischio a partire dal 2011. Il Principato di Monaco aveva proposto il divieto immediato di commercio di tonno rosso. Il Giappone guida gli stati che negano che il bluefin rischi l’estinzione, ed è riuscito – con l’aiuto della Libia, che ha ha spinto per una procedura di voto senza discussione delle mozioni, e col supporto di molti paesi poveri ”a ottenere la bocciatura di entrambe le mozioni: quella del Principato, con 68 no, 20 sì e 30 astenuti, e quella europea, con 72 voti contrari, 43 a favore e 24 astenuti.
Sembra che il giorno prima del voto, all’ambasciata giapponese si sia fatto un banchetto, con molti delegati del fronte del ”no”, a base si sushi e sashimi di tonno rosso.
Nell’Ue i principali paesi che praticano la pesca al tonno rosso sono, nell’ordine, Spagna, Francia e Italia, con oltre il 50% delle catture. Nel Mediterraneo, inoltre, si svolge l’80% della pesca mondiale di tonno rosso. Delle 410mila tonnellate di tonno consumate dai giapponesi nel 2008, solo il 10% era della qualità più pregiata.
Oggi la protezione del tonno rosso avviene con il meccanismo delle quote, indicate dall’Iccat (la Commissione internazionale per la conservazione dei tonni), sposate dall’Unione europea e applicate dagli Stati membri. Tanto per avere un’idea: nel 2003 alla flotta Ue era consentito pescare 32.000 tonnellate di tonno rosso; 13.500 nel 2010; 5.264 tonnellate nel 2003 in Italia, 1.937 tonnellate per il 2010
Il timore che questo pesce predatore sia vicino all’estinzione alimenta la crescita del suo prezzo. A Capodanno c’è stata una nuova asta record. Al mercato del pesce di Tokyo, Tsukiji, il più grande tonno rosso del mondo, un esemplare da 232,6 chili, pescato al largo di Aomori, nel nord del Giappone, è stato venduto a 120mila euro, il prezzo più alto degli ultimi nove anni.
Intanto gli chef dei 475 ristoranti degli alloggi ”Relais et Chateaux” hanno deciso, dal primo gennaio di quest’ano, di non cucinare più il tonno rosso per proteggerlo dall’estinzione. Mentre in tutto il mondo continuano i tentativi di allevarlo in cattività (fin dallo stato larvale). In Puglia la Panittica di Torre Canne è riuscita a fare vivere per 63 giorni Nemo, un tonno rosso nato in cattività. Un risultato che, ad oggi, non ha uguali nel mondo.
Ma questo è stato un anno tutto particolare per il pesce mondiale. Mentre la battaglia del tonno rosso ha visto la vittoria dei nipponici, un altro dei pesci più amati al mondo, il salmone, è stato colpito da un’epidemia.
Un virus ha attacco i salmoni del Cile. una malattia che fa crescere il numero di globuli rossi nel pesce fino a portarli alla morte per anemia. Il morbo è letale per il salmone atlantico, ma non ha effetto sull’uomo. Gli esperti dicono che questa malattia ha colpito gli allevamenti cileni perché sono quelli meno controllati, mentre le pratiche sanitarie che invece sono applicate da altri grandi paesi hanno impedito la sua diffusione.
Nel 2005 un rapporto dell’Ocse denunciava l’industria salmonicola cilena, accusandola di avvelenare ecosistemi per l’uso massivo di input chimici e antibiotici: in Cile l’industria del salmone utilizza fra 70 e 300 volte più antibiotici di quella norvegese.
Il Financial Times calacola che la produzione cilena è crollata del 75% in due anni, passando dalle 400mila tonnellate del 2008 alle 90mila del 2009, con una perdita di almeno 5mila posti di lavoro. Il calo sta continuando anche quest’anno. Una crisi che non colpisce direttamente l’Europa dato che nel Vecchio Continente arriva il salmone noregese – mentre quello cileno è desinato al mercato del nord America e del Giappone – ma indirettamente non si salva nessuno, perché il prezzo è in tensione: quello del salmone norvegese, ad esempio, è salito del 20% solo nello scorso anno.
In Italia non abbiamo allevamenti di salmoni. Questo è un pesce che ha bisogno di acqua molto fredda. Qualcuno aveva provato ad allevarli a Venezia, qualche anno fa. D’estate l’acqua si era riscaldata uccidendo tutti i pesci.
La diva di Hollywood Hayden Panettiere, il suo ragazzo, il campione di box Wladimir Klitschko e un gruppo di ambientalisti venerdì 27 marzo sono sbarcati nel villaggio di pescatori giapopnesi di Taiji per chiedere di fermare la caccia ai delfini. La Panettiere – che è andata a Taiji dopo avere visto ”The cove”, un documentario sulla caccia dei cetacei che ha vinto l’Oscar – ha promesso che avrebbe fatto da portavoce della città se avessero smesso di cacciare i delfini. La diva ha chiesto di incontrare il sindaco e i rappresentanti della pesca. Sono stati tutti allontanati dal municipio. Dopodiché è arrivato un gruppo di nazionalisti. Hanno gridato che i giapponesi uccidono balene e delfini, ma gli americani uccidono le mucche. Poi hanno chiesto che Obama si scusi per le bombe atomiche lanciate contro Hiroshima e Nahaski durante la prima guerra mondiale.