varie, 2 aprile 2010
SCHEDONE SUL PREZZO DELLA BENZINA/REDDITO DEGLI ITALIANI
Benzina record: va oltre quota 1,4. «Sui prezzi c’è troppa speculazione»
ANTONELLA BACCARO PER IL CORRIERE DELLA SERA DEL 02/04/2010 -
Un decreto contro il caro-carburante. La riforma del settore, cui il governo sta lavorando da qualche tempo, potrebbe arrivare anche attraverso un provvedimento d’urgenza per rilanciare le liberalizzazioni. Non l’ha escluso ieri Stefano Saglia, sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico con delega all’Energia.
Ieri i prezzi della benzina praticati alla pompa, che in prossimità del fine settimana di Pasqua hanno ampiamente superato per tutti i gestori l’1,4 euro al litro (1,23 per il diesel), sono rimasti fermi. Si va così dall’1,407 euro al litro della Esso all’1,419 della Shell per la benzina. Mentre, per il diesel, dall’1,231 al litro della Esso all’1,249 della Shell.
A scatenare la polemica è stato il confronto tra i listini correnti e quelli della Pasqua 2009, quando la benzina costava mediamente 1,214 euro e il diesel 1,074. Fare un pieno, durante queste feste, significherà sborsare circa 10 euro in più. Senza contare che anche i tour operator, a fronte dei rincari, chiederanno ai viaggiatori l’adeguamento delle proprie tariffe ai nuovi prezzi del carburante.
A fronte di questi aumenti, c’è quello del petrolio grezzo, quotato ieri ai massimi da 18 mesi: a 84,9 dollari al barile dopo aver superato gli 85. Mentre di questi tempi, l’anno scorso, il prezzo al barile si aggirava sui 50 dollari. Sono in molti a chiedersi la ragione di questo rialzo, anche perché gli Usa hanno appena provveduto a fare scorta di greggio, dunque il mercato ha già scontato da tempo il relativo rincaro. Tuttavia ad alimentare il prezzo della materia prima sarebbe la congiuntura economica in miglioramento, come testimonierebbero, tra l’altro, il calo delle nuove richieste di sussidi alla disoccupazione negli Usa, per la quinta settimana di fila, e l’accelerazione dell’attività manifatturiera nello scorso mese in Cina, Giappone, Regno Unito e nella zona euro.
Ipotesi che rendono ancora più urgente rivedere la disciplina del settore della vendita carburanti nel nostro Paese. «Occorre una riforma per superare il divario del prezzo della benzina tra Italia e i Paesi Ue – ha detto ieri il sottosegretario Saglia ”. Quale sarà lo strumento per la riforma si deciderà successivamente. Non abbiamo mai escluso la possibilità di un decreto legge che finora non è stato possibile assumere anche perché è necessario discuterne con i neoeletti presidenti delle Regioni». La precisazione sullo strumento normativo sembra una risposta all’Adiconsum che, commentando l’annuncio di una riforma da parte di Saglia, paventava tempi lunghi e auspicava il ricorso al decreto.
Nel mirino del governo c’è soprattutto il cosiddetto stacco speculativo, vale a dire il divario tra il prezzo industriale del carburante in Italia e quello nei Paesi europei, escluse le tasse: l’ultima rilevazione, che risale al 29 marzo scorso, indica un maggior costo in Italia di 2,6 centesimi rispetto ai Paesi dell’area euro.
«Lo stacco speculativo – ha commentato Saglia – è strutturale. Occorre tempo però affinché una riforma dia i propri effetti. Il governo quindi sta lavorando con tutte le categorie interessate e terrà presenti anche le indicazioni che sono state date dalle associazioni dei consumatori». Si parla di interventi di rilancio delle liberalizzazioni che armonizzino «gli interessi delle imprese e dei consumatori». I prezzi, secondo il sottosegretario, potranno scendere «anche incrementando self e iperself fino all’80%», dunque modificando il sistema di distribuzione.
Intanto piovono proposte: il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ritenendo «una stangata davvero inaccettabile» gli ultimi aumenti, chiede al governo di «sterilizzare con un decreto le tasse l’Iva e le accise», inoltre auspica l’immediato confronto fra governo, Regioni, imprese e sindacati sul tema dell’energia e delle fonti rinnovabili. Tra le associazioni dei consumatori invece viene avanzata l’idea di eliminare i millesimi dai listini per rendere i prezzi più comprensibili e trasparenti.
Antonella Baccaro
*********
Il mistero (poco) buffo degli aumenti. Il pieno? Corre più veloce del petrolio
STEFANO AGNOLI PER IL CORRIERE DELLA SERA DEL 02/04/2010 -
Letto da un blog: «Se volete fare salire il prezzo della benzina mandatemi in vacanza...». Visto in questi termini il problema potrebbe essere facilmente risolto. Niente fantasiosi scenari con opulenti sceicchi mediorientali, petrolieri speculatori, gabellieri di Stato o avidi gestori per spiegare le oscillazioni sospette dei listini che avvengono nelle piazzole dei distributori tra Ferragosto, Natale, Pasqua e Pasquetta: con l’abolizione delle feste comandate la stabilità sarebbe assicurata.
Ma la verve ironica dei consumatori, quando non si tramuta in rabbia impotente, non aiuta a dar conto di quanto effettivamente accade con il prezzo della benzina. Un mistero (laico) anche questo? In parte sì, condito con il dubbio ricorrente che all’opera ci sia la «solita» speculazione. vero che la trasparenza non è il tratto distintivo della distribuzione petrolifera: per un lungo periodo dopo il 2002, come ricordava tempo fa Gustavo Ghidini, sulle autostrade nazionali non si sono più visti i totem che consentivano di leggere il prezzo prima di entrare nella stazione di servizio o quelli che segnalavano dove trovare il valore più basso. La «nobilissima» ragione della scomparsa era che avrebbero distratto i guidatori emesso a repentaglio la loro sicurezza. Non le tasche dell’intera catena, comunque, Stato compreso.
I petrolieri non lo ammetteranno mai, ma la cosiddetta «doppia velocità» di adeguamento dei listini sembra proprio essere una pratica diffusa. Difficilmente dimostrabile e magari più facilmente smentibile se, come spesso accade, consumatori e produttori parlano lingue diverse: chi si riferisce ai prezzi del petrolio greggio e chi a quelli del prodotto già raffinato (e ai cosiddetti prezzi Platts). Ma malgrado gli studi econometrici provino a mostrare il contrario, si tratterebbe di un’attitudine che chi ha lavorato nel settore non riesce a negare: «Non sono cose che si fanno per politica precisa – dice un raffinatore privato che opta per la riservatezza’ ma i petrolieri sono tendenzialmente più solleciti a intervenire quando il barile sale piuttosto che quando scende. A volte anticipano addirittura gli aumenti, e invece aspettano uno o due giorni quando il petrolio va giù». Con altrettanta schiettezza, però, aggiunge: «L’idea che aspettino scientemente che la gente si muova in massa con l’auto per alzare i prezzi non è realistica. Se non altro perché sanno che in quei periodi si è molto più controllati, e che ci si trova nell’occhio del ciclone».
Bisogna ammettere, in effetti, che sfiorando gli 84 dollari al barile, proprio ieri il brent del mare del Nord ha toccato il suo livello più alto dall’ottobre del 2008. Una (sfortunata) coincidenza per le tasche degli automobilisti, dunque. Ma non ci si può fermare lì. La «materia prima», cioè la quotazione della benzina una volta uscita dalla raffineria, pesa per poco più del 30% sul cosiddetto prezzo alla pompa. E sulla materia prima si scaricano non solo gli andamenti del greggio, ma anche il cambio tra l’euro e il dollaro (il petrolio si scambia in dollari) che ha visto la moneta europea perdere un po’ meno del 10% dall’inizio dell’anno. Un’altra sfortuna? Si direbbe di sì se non fosse che, in realtà, è il Fisco a incamerare un buon 60% del prezzo di un litro di carburante. Intanto con le « accise», le imposte fisse (più del 40%) che incorporano addizionali a dir poco curiose, e ancora in legittimo vigore. Nella loro sequenza storica vanno dal prelievo per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935, la crisi di Suez del ”56, il Vajont (’63), l’alluvione di Firenze (’66), il Belice (’68), il Friuli (’76), l’Irpinia (’80), la guerra in Libano (’83), la missione in Bosnia (’96) e, da ultimo, il contratto dei ferrofilotramvieri del 2004.
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse di mezzo anche l’Iva, con il suo 20%, che grava a sua volta anche sull’accisa, producendo l’effetto della «tassa sulle tasse» che fa sì che a ogni incremento del litro di verde (o di gasolio) lo Stato si sdoppi. Da una parte fa la voce grossa promettendo di vigilare. Ma dall’altra incassa, e non poco. Spesso si parla di «sterilizzazione» dell’Iva ed è accaduto anche in questi giorni, a conferma che il dibattito è ormai un po’ trito. Pare difficile, infatti, che di questi tempi l’Erario rinunci anche solo a una piccola fetta dei 30 miliardi di euro tra accise e Iva incamerati nel 2009, in cambio del ruolo di «stabilizzatore» del prezzo di benzina e gasolio.
Infine ci sono loro, i gestori, che pesano però per una parte minima di tutta la catena. Sono solo una frazione di quel 9-10% che rimane da spartire del prezzo alla pompa e che deve remunerare tutta la filiera: stoccaggio, distribuzione, commercializzazione e relativi oneri relativi. Il margine del gestore, insomma, si aggirerebbe sui 5 centesimi al litro. Non si può escludere che, come parte più debole del sistema, qualcuno interpreti in modo un po’ più «fantasioso» il suo ruolo e ci marci. Ma per loro il futuro non è radioso. Solo per il fatto che in Italia ci sono 24mila punti vendita (contro i 15 mila della Germania e i 12mila della Francia) e nel giro di pochi anni 5-6.000 potrebbero chiudere.
Stefano Agnoli
*******
Il commissario: «Ho scritto a Scaroni, l’Eni dia l’esempio»
A.BAC. PER IL CORRIERE DELLA SERA DEL 02/04/2010
Non le manda a dire Sergio Divina, leghista, presidente della commissione straordinaria del Senato sui prezzi, a proposito del caro-carburante, su cui ha aperto un’indagine parlamentare.
Che idea si è fatto?
«Che c’è speculazione nel passaggio dal prezzo del greggio a quello alla pompa. I petrolieri mi devono ancora spiegare come mai se un barile costava 82 dollari tre mesi fa e costa, mettiamo, di nuovo 82 oggi, il prezzo della benzina una volta è 1,20 euro e una volta 1,10...».
E poi c’è il problema della doppia velocità.
«Sì, i prezzi sono lenti a adeguarsi verso il basso, veloci verso l’alto. Gli operatori la chiamano "prudenza"».
Lei se l’è presa anche con l’Eni.
«Sì, perché a volte è la capofila dei rialzi. una contraddizione: se il governo dà soldi sotto forma di incentivi per rilanciare i consumi, un’azienda pubblica come l’Eni non può mangiarseli scatenando i rialzi».
L’ha detto a Paolo Scaroni, l’ad di Eni?
«Gliel’ho scritto. Non mi ha risposto ma comunque lui ha capito che il nocciolo è altrove: nel rialzo dei prezzi da parte dei Paesi produttori. A loro è andato a dire che se i rincari sono eccessivi crescerà il ricorso alle energie alternative. E ha chiesto un tavolo sui prezzi».
Intanto a Pasqua la benzina si pagherà di più.
«Così in pochi giorni i petrolieri si rifanno di quello che non hanno incassato finora. Difficile non pensarlo». Lei che può fare? «Io non ho strumenti sanzionatori. Posso fare delle segnalazioni e ne ho già fatte all’Antitrust, a Catricalà. Ci capiamo: a volte è lui a suggerirci su cosa indagare...».
******
Cinque regole per risparmiare
DAL CORRIERE DELLA SERA DEL 02/04/2010
1. Dieci centesimi in meno al litro per chi fa il pieno senza marchio
Sono 1.400 circa e si trovano soprattutto al Centro Nord. Sono le «pompe bianche»: i distributori indipendenti, senza marchio, non correlati ai brand delle tradizionali compagnie petrolifere. Facendo il pieno al cosiddetto mercato extrarete, si possono risparmiare in genere dai 6 ai 10 centesimi per litro rispetto ai distributori dei grandi nomi del greggio. Ad auspicare un aumento delle pompe bianche è stato solo poche settimane fa il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà. Ma la loro percentuale sul totale dei distributori da Nord a Sud è ancora bassa: intorno al 6%.
2. Fare benzina all’ipermercato Un taglio che vale 12 centesimi al litro
Un’altra opportunità di risparmio è rappresentata dai distributori con marchi della grande distribuzione. L’accoppiata ipermercato e pompa di benzina, stesso marchio e stesso indirizzo, può abbattere il costo di un litro di carburante, generalmente, dai 7 ai 12 centesimi per litro, come racconta Antonello Minciaroni, specialista del mercato petrolifero di Quotidiano Energia. Ma, se già è contenuto il numero delle pompe bianche, quello delle stazioni di rifornimento della grande distribuzione è addirittura esiguo: circa 100 su un totale di 22.500 pompe in tutta Italia, vale a dire lo 0,4% del totale.
3. Vale 8 centesimi la strada del self service Le differenze tra le diverse compagnie
L’alternativa classica per chi vuole «alleggerire» il caro benzina è il rifornimento «self service». Lo sconto è in genere limitato a 2-3 centesimi il litro durante il giorno, quando la stazione di rifornimento è aperta ed è possibile anche farsi servire. Ma può salire a 6-8 centesimi la notte o durante il weekend. Self service a parte, non bisogna dimenticare le variazioni di prezzo tra le diverse compagnie (e le eventuali offerte promozionali): la forbice dei prezzi di riferimento della benzina verde viaggia in questi giorni tra 1,407 a 1,419 euro al litro, a seconda del fornitore. Sul diesel si va da 1,231 a 1,249 euro al litro.
4. Con il Gpl la spesa guadagna il 30-40% Il nodo della rete di distributori
Un risparmio che vale un taglio ai costi del 30-40%: è quello che permette l’opzione Gpl secondo Paolo Landi, segretario generale di Adiconsum. Il motivo è semplice, spiega il responsabile dell’associazione di consumatori: un litro di Gpl costa più o meno la metà di un litro di classico carburante, ma dall’altra parte ha una resa inferiore. Resta però il problema della rete dei distributori di Gpl, ancora poco diffusa. Se, per chi oggi ha un modello diesel o a benzina, cambiare auto e passare a una nuova «Gpl» risulta troppo costoso, Landi ricorda, quando si viaggia soli e quindi non si può dividere i costi, la classica alternativa dei mezzi pubblici.
5. Le informazioni sui prezzi in autostrada E i risparmi da 9 euro per un pieno
I prezzi tra una compagnia e l’altra possono variare dai 12 centesimi sulla benzina verde ai 18 centesimi sul diesel (valori di riferimento). E, per chi viaggia in autostrada, una buona guida possono essere i cartelloni che indicano i prezzi di diesel e benzina negli autogrill successivi. Per un pieno di 50 litri, il risparmio tra una compagnia e l’altra può quindi arrivare a 6 euro con la benzina verde e a 9 euro per il diesel. A livello aggregato nazionale, dove ogni anno sono erogati 46 miliardi di litri di carburante, un centesimo di risparmio vale quindi circa 500 milioni di euro (fonte centro studi Cres).
*********
Benzina, prezzi fermi da due settimane. Ma il Codacons chiede sequestro pompe -
DA REPUBBLICA.IT del 02/04/2010 -
ROMA - La benzina è ferma e il prezzo dei carburanti non si muove da due settimane. E’ quanto sostiene QuotidianoEnergia mettendo in evidenza che nonostante gli aumenti delle quotazioni internazionali di benzina e diesel, non ci sono state ripercussioni sui prezzi dei carburanti sulla rete italiana. E lo sostengono anche l’Unione petrolifera e la Faib, l’associazione dei benzinai di Confesercenti. Ma il Codacons non ci sta e presenta un esposto a 104 procure della Repubblica di tutta Italia perché i controlli della Guardia di finanza siano fatti direttamente presso i distributori, per acquisire i documenti sui rincari dei listini e disporre il sequestro delle pompe.
Secondo QuotidianoEnergia invece non ci sono state ripercussioni sul mercato italiano, anche se ieri benzina e diesel hanno rispettivamente sfondato la soglia degli 800 dollari/ton e sfiorato i 715 dollari/ton come non succedeva dall’ottobre del 2008. Solo la Shell oggi ha ritoccato di 0,3 centesimi il prezzo di riferimento della verde, portandosi così a 1,422 euro/litro, ma tutte le altre compagnie sono rimaste ferme.
"Il bilancio della settimana si chiude dunque in sostanziale pareggio - si legge nella nota di QuotidianoEnergia - Salvo qualche piccolo aggiustamento all’insù, i listini di benzina e diesel appaiono pressoché immutati da quindici giorni. Ciò malgrado i margini lordi delle compagnie (da non confondere con i profitti in quanto remunerativi anche dei costi di filiera, tra cui la remunerazione del gestore, i costi distribuzione e la commercializzazione) siano oggi inferiori alla media dei tre anni precedenti. Nel dettaglio, sulla benzina si va da -0,2 centesimi del servito a -1 centesimo del self, mentre sul diesel si viaggia rispettivamente a 1 e 2 centesimi in meno rispetto al valore di riferimento".
Nella polemica sui prezzi dei carburanti anche i petrolieri ribadiscono "l’assoluta correttezza di comportamento delle compagnie" smentendo "qualsiasi collegamento o ipotesi di variazioni legate alle festività pasquali". L’Unione Petrolifera parla di "accuse lanciate dalle solite associazioni dei consumatori al fine di trovare facile visibilità anche in assenza di modifiche significative nei prezzi, fermi ormai da alcuni giorni". "Come abbiamo dimostrato più volte con dati e analisi, mai smentiti né contestati - si legge nella nota dell’Up - i prezzi sono legati agli andamenti delle corrispondenti quotazioni internazionali dei prodotti raffinati rilevati dall’agenzia specializzata Platts che cambiano ogni giorno". L’Unione Petrolifera ritiene dunque "non più tollerabile questo continuo stillicidio e quest’opera di continua disinformazione che continua a legare l’andamento dei prezzi interni a quello del greggio tal quale".
Evitare allarmismi è anche l’appello della Faib (Federazione Autonoma Italiana Benzinai) che si rivolge alle associazioni dei consumatori e rinnova l’invito a "evitare allarmi ingiustificati nell’opinione pubblica, che potrebbero avere effetti deleteri sull’andamento dei consumi e dell’economia già oggi in forte contrazione". Nel solo settore petrolifero, evidenzia l’associazione dei benzinai di Confesercenti, nei primi tre mesi del 2010 siamo intorno al -6%, che si somma al -3% del 2009. "Un calo che mette in crisi il settore della raffinazione". Secondo la Faib i prezzi negli altri Paesi vengono rilevati sulla rete self mentre in Italia si fa riferimento al segmento servito. "Al netto dei due segmenti - spiega una nota - cioè sulla rete self italiana ed europea, il prezzo praticato in Italia è uguale a quello degli altri Paesi Ue. Se poi a questo si sommano le modalità delle vendite in promozioni e in fidelizzazioni questo si abbassa ulteriormente, e restituisce ulteriore valore al consumatore".
Benzina, prezzi fermi da due settimane Ma il Codacons chiede sequestro pompe
Da parte sua, il Codacons ha presentato un esposto a 104 procure della Repubblica di tutta Italia. "I rincari registrati nelle ultime settimane nei prezzi dei carburanti sono eccessivi e hanno portato i listini a livelli preoccupanti, a tutto danno di milioni di automobilisti che in queste ore si stanno mettendo in viaggio, e che dovranno sborsare mediamente 10 euro in più per un pieno rispetto a un anno fa - afferma il presidente Codacons, Carlo Rienzi - è indispensabile un intervento della magistratura e dell’antitrust, cui chiediamo oggi di aprire indagini su tutto il territorio ipotizzando il reato di aggiotaggio".
Nell’esposto il Codacons chiede alle procure e all’antitrust l’invio della Guardia di finanza direttamente presso i distributori di carburanti, al fine di acquisire i documenti sui rincari dei listini e disporre il sequestro delle pompe che hanno effettuato aumenti nell’ultima settimana, ossia prima dell’esodo di pasqua. "Non escludiamo una maxi class action da parte degli automobilisti contro le compagnie petrolifere - aggiunge Rienzi - e consigliamo fin d’ora agli utenti di conservare i documenti che attestino i rifornimenti di carburante".
********
Greggio ai massimi, gli Usa contro chi specula
FEDERICO RAMPINI PER LA REPUBBLICA DEL 02/04/2010
NEW YORK - Sospinto al rialzo dalla vigorosa ripresa dell´attività industriale in tutto il mondo, Cina in testa, torna di prepotenza il caro-petrolio. Ieri il greggio ha toccato gli 85 dollari a barile: è il massimo da 18 mesi, cioè dai tempi del crac Lehman. A conferma che non è un fenomeno isolato, tutta la categoria delle materie prime segue la stessa tendenza del petrolio, dall´acciaio al rame le quotazioni ritornano ai livelli massimi da un anno e mezzo. E di colpo si riaffaccia il rischio di un´inflazione da costi, alimentata dalla furiosa impennata dei prodotti di base. Anche i mercati valutari sono contagiati dalla febbre, con il franco svizzero che ieri ha raggiunto un record sull´euro.
Ma stavolta le autorità americane non staranno a guardare. Con un tempismo significativo, il più importante organo di vigilanza sul trading delle materie prime ha in cantiere una svolta radicale. Saranno imposti limiti severi ai volumi di petrolio, gas naturale e altre materie prime che possono essere oggetto di speculazione finanziaria da parte di banche, hedge fund e altri operatori non industriali. E´ un dietrofront clamoroso che può cancellare gli effetti di vent´anni di deregulation nel trading dei derivati sulle materie prime. Un colpo duro per le banche d´investimento, Goldman Sachs in testa. Tanto più che la nuova normativa aggiungerebbe anche l´obbligo di spostare tutte le transazioni su mercati ufficiali, trasparenti e regolati: la fine della cosiddetta "finanza ombra" che è cresciuta a dismisura, finora al riparo da ogni forma di sorveglianza.
Lo storico cambiamento è in cantiere alla Commodity Futures Trading Commission, la più importante authority americana del settore (e di conseguenza anche mondiale). Lo si deve al suo presidente Gary Gensler, uno degli uomini che meglio interpretano il nuovo corso dell´Amministrazione Obama verso i mercati finanziari. Gensler si sta muovendo con rapidità e determinazione per smantellare vent´anni di iperliberismo, i cui eccessi hanno avuto un ruolo nefasto nell´ultima crisi. Nel suo mirino c´è l´eccessiva concentrazione nelle mani di pochi operatori finanziari di un potere smisurato nell´influenzare i corsi delle materie prime. Un solo operatore finanziario come lo United States Oil Fund, per esempio, nella primavera del 2009 arrivò a concentrare su di sé un quarto di tutte le consegne di petrolio mondiale. Ma si tratta di consegne "virtuali": i movimenti del prezzo del greggio da anni sono determinati da contratti futures che non corrispondono a transazioni reali, obbediscono a logiche speculative, amplificano in modo perverso gli andamenti previsti della domanda nell´economia reale. I danni di queste fiammate poi vengono pagati da operatori come le compagnie aeree, l´industria manifatturiera, gli autotrasportatori. O peggio ancora, le galoppate speculative incendiano la protesta sociale in intere nazioni emergenti. Nella prima metà del 2008, alla vigilia della recessione, l´impennata delle commodities agroalimentari provocò "tumulti del riso" in Indonesia e nelle Filippine.
Ora Gensler vuole garantire che episodi di quel genere non si ripeteranno. E´ pronto a varare nuove regole che imporranno limiti quantitativi drastici all´azione degli operatori finanziari in questo settore: tre fra i maggiori gruppi di Wall Street nel mirino sono Goldman Sachs, J.P. Morgan Chase e Morgan Stanley. Si stima che in un anno normale il trading di derivati sulle materie pesi almeno per il 10% dei profitti di Goldman Sachs, ma ci sono state annate ben più generose. L´altro aspetto decisivo della nuova normativa sarà l´obbligo di far transitare tutte le operazioni sulle materie prime nelle Borse sottoposte a vigilanza, vietando quei contratti paralleli "over-the-counter" che oggi si sottraggono a ogni forma di controllo.
Federico Rampini
********
La Gazzetta dello Sport Anno IV, numero 1059 13 gennaio 2010
Dalle agenzie di ieri: «Pessime nuove per gli automobilisti: i prezzi dei carburanti continuano a correre e la benzina arriva ad un passo da 1 euro e 37 centesimi al litro; il diesel supera la soglia di 1 euro e 20 centesimi, livello massimo da oltre un anno. Shell si conferma la marca più cara sul mercato con la verde a 1,369 euro e il gasolio a 1,209 euro […]» (Rainews 24); «[…] In pratica, rispetto ad un anno fa, il prezzo del diesel è salito di quasi 0,2 euro, vale a dire circa 10 euro in più a litro per un pieno di una macchina di media cilindrata. Il pieno per la benzina è diventato invece ancora più caro: rispetto alla prima settimana dello scorso anno, il rincaro è stato di 0,28 euro, cioé oltre 14 euro a pieno» (Ansa); «[…] L’Agip, in particolare, ha alzato il prezzo consigliato della benzina di 1,1 centesimi, portandolo a 1,349 euro, e quello del gasolio di 1,6 centesimi a 1,199 euro […]» (Sabatoseraonline); «[…] A Mestre e provincia si moltiplicano i distributori low cost, per la gioia dei consumatori, meno per quella dei gestori trasformati in dipendenti e dei dipendenti lasciati a casa. Dieci impianti (di cui cinque solo a Mestre) in tutta la provincia, di proprietà della «Vianello Luigi sas», dall’1 gennaio hanno cambiato pelle: tolte le insegne delle grandi compagnie, campeggia il logo rosso-blu del gruppo Vega che abbatte di 6-7 centesimi il prezzo della benzina e del gasolio. A Mestre alcuni di questi distributori si trovano nella zona di Auchan e dell’ospedale all’Angelo, da qui a marzo cambieranno completamente look (in sostanza il colore) in modo da essere riconoscibili esclusivamente come ”Vega”. Al momento è già stato oscurato il logo della vecchia compagnia e installato il pannello con i nuovi prezzi […]» (Corrieredelveneto.it); «[…] La stessa Antitrust, grazie al suo presidente Antonio Catricalà, afferma che ”i prezzi scendono con la velocità della piuma e salgono con quella del razzo: c’è qualcosa di distorto” […]» (Valdagri.net).
Questa cosa della piuma e del razzo sarebbe da approfondire…
Guardi, abbiamo l’esempio sotto mano. Ieri a New York il Light crude è arretrato a 80,93 dollari (un dollaro e 59 meno del giorno prima). In apertura stava ancora più giù: 80,80. Naturalmente sarebbe troppo chiedere che il prezzo della benzina reagisca immediatamente ai movimenti dei titoli petroliferi, in discesa da un paio di giorni dopo un rally cominciato a metà dicembre…
Rally?
l’espressione che si usa per dire che un titolo corre e sembra non volersi fermarsi mai. ”Corre”, cioè aumenta ogni giorno di prezzo. Questi aumenti di prezzo sono dovuti alla solita ragione e cioè una domanda sostenuta, gente che vuol comprare. I rally possono essere fasulli, e cioè la gente compra qualcosa semplicemente perché crede che il valore del titolo aumenterà oppure perché ha molta liquidità e non sa dove metterla o anche perché ha qualcosa che vale ancora meno e vuole liberarsene.
La previsione è che il petrolio aumenterà di prezzo?
Ieri girava un pronostico di Deutsche Bank secondo cui nel 2010 il prezzo del petrolio dovrebbe oscillare intorno ai 65 dollari al barile. Quindi rispetto alle quotazioni attuali (80 dollari) ci aspetterebbe una discesa. Ma solo un paio di settimane fa la profezia era completamente diversa. JP Morgan metteva il prezzo del petrolio 2010 a 85 dollari con una previsione di 120 dollari nel 2013. Per Bank of America-Merryl Linch saremo a 100 dollari l’anno prossimo. Ieri Ahmad Abdallah, sceicco del Kuwait, ha detto che «il prezzo a 82 dollari è fantastico».
Sembrerebbe una frase che annuncia ribassi. Ma allora perché sale?
Le ragioni sono tre: il grande freddo, le importazioni cinesi (+25%, oltre 20 milioni di tonnellate in dicembre), la discesa del dollaro. Conviene sbarazzarsi dei dollari e incamerare petrolio. Lei ricorderà che il legame tra petrolio e valute è molto stretto, dato che per molti anni petrolio e dollari sono stati la stessa cosa (non si poteva comprar petrolio se non con i dollari). Adesso i paesi del Golfo stanno creando una moneta comune tutta loro (dovrebbe chiamarsi ”golfo”) e intendono gradualmente sostituire il biglietto verde. Chávez, grande esportatore di greggio, ha svalutato il bolivar del 20%.
E la benzina?
Bisogna rassegnarsi ad adoperare sempre meno la macchina, bisogna mettersi in testa che l’automobile è uno strumento obsoleto, dai costi insostenibili. Oltre tutto il prezzo del petrolio pesa sulla benzina fino a un certo punto. Come abbia detto tante volte, una quota consistente di quello che paghiamo è determinato dalle tasse.
*******
La Gazzetta dello Sport
Anno III, numero 902
05 agosto 2009
La benzina sale perché il petrolio sta finendo?
La notizia di oggi sarebbe che la benzina verde sta di nuovo aumentando, l’Agip ha deciso di farla pagare 1,34 al litro (+3 centesimi) e di vendere il gasolio a 1,162 (+2,5 centesimi). L’Unione petrolifera, in un comunicato, ha esaltato la correttezza dei petrolieri; le associazioni dei consumatori, in comunicati di segno diametralmente opposto, vogliono invece portarli se non in tribunale almeno davanti al ministro competente perché spieghino come mai, quando il petrolio va giù, il prezzo della benzina ci mette una vita ad adeguarsi e quando invece va su scatta come un centometrista. Le agenzie ieri hanno diffuso tabelle con i prezzi consigliati, da cui, relativamente alla verde, la meno cara risulta la Erg (1,309) e la più cara proprio l’Agip (1,341). In mezzo: Esso, Q8 e Total a 1,319; Tamoil a 1,322; Shell a 1,329.
Perché la notizia di oggi «sarebbe» questa? Non «è» questa?
Sono aggiustamenti scontati. Sappiamo tutti che il prezzo del petrolio tenderà a stabilizzarsi, per quanto possibile, tra i 60 e gli 80 dollari al barile. Sappiamo anche che i contratti futures quotano un prezzo superiore a quello odierno. Questo provoca quello che in gergo si chiama effetto «contango»: si tende a non vendere finché i petrolieri non potranno guadagnare abbastanza. Al largo di Rotterdam galleggiano petroliere che hanno l’ordine di non attraccare: bisogna che prima il prezzo del greggio salga. Hanno in pancia abbastanza petrolio per rifornire tutti e 27 i Paesi della Ue. Ma per ora se lo tengono stretto. La notizia relativa alla benzina verde nostrana è un effetto di queste mosse sui mercati globali, malamente taciute dall’Unione dei petrolieri. Nonostante tutto, penso però – lei ha ragione – che la notizia di oggi non sia questa. Sono molto più colpito dall’intervista rilasciata al quotidiano inglese Independent da Fatih Birol: annuncia la fine del petrolio entro dieci anni.
Non è mica il primo a tirare fuori questa storia. Ormai, da molto tempo, la senti dire da questo o da quello e subito dopo smentire.
Sì, però Fatih Birol è il direttore economico della International Agency di Parigi, in sigla Iea, tempio della politica energetica occidentale. Francesca Paci, che è andata a chiedere lumi a Jeremy Jagget, ex consulente petrolifero e fondatore della Solarcentury , multinazionale dell’energia solare, s’è sentita rispondere: «I governi farebbero bene ad ascoltare l’Iea: è come se la Banca Mondiale avesse annunciato la crisi finanziaria».
Che cosa dice esattamente Birol?
C’è la faccenda del picco di Hubbert: se tutto il petrolio disponibile è uguale a 100, entreremo in crisi quando ne avremo consumato 50, cioè la metà. Cinquanta è il «picco di Hubbert ». Hubbert era un geologo che predisse con esattezza il picco petrolifero americano. Lo collocò nel 1970 e dal 1971 gli Stati Uniti estraggono dai loro giacimenti una quantità di greggio ogni anno inferiore a quella dell’anno precedente. Birol ha detto adesso all’ Independent che molti degli 800 siti da cui estraiamo petrolio hanno superato il loro massimo e che oggi per ogni barile raffinato se ne consumano quattro. Il potere dei Paesi produttori di petrolio nell’immediato, e cioè a partire più o meno dal prossimo anno, aumenterà enormemente.
Non potrebbe esserci da qualche parte del petrolio che non è ancora stato trovato?
Potrebbero esserci giacimenti non sfruttati. Jerry Taylor, membro dell’Associazione internazionale dell’economia per l’energia, dice che il 35% del petrolio sta in giacimenti conosciuti e operativi e il 65% in riserve non sfruttate. «Se le innovazioni tecnologiche combinate con la convenienza economica portassero dal 35% al 40% la percentuale di greggio lavorabile sarebbe come aggiungere due Arabie Saudite al lotto dei produttori», ha detto ieri alla Stampa . E ha aggiunto due cose: che le variazioni di prezzo agiranno comunque da regolatore sulle quantità di petrolio che ci sarà concesso consumare. E che c’è il gas naturale, a cui si fa ricorso con sempre maggior frequenza.
Già, il gas. Non ci sono già adesso automobili che vanno a gas?
Se è per questo ci sono anche treni che esplodono passando dalle parti di Viareggio. Il gas va compresso in bombole e può essere adoperato per le automobili: le bombole in questo caso sono abbastanza piccole. Ma che dire delle bombole che dovrebbero muovere le navi o far volare gli aerei? Che dimensioni dovrebbero avere? No, amico mio, purtroppo il gas non è la soluzione totale del problema. E poi anche il gas, che è solo petrolio in una fase successiva, è destinato prima o poi a esaurirsi.
*******
La Gazzetta dello Sport
Anno II, numero 524
14 luglio 2008
Ieri Repubblica ha calcolato che un pieno costa ormai un’ottantina di euro, mentre appena un anno fa ne bastavano 60. I titoli del giornale dicevano anche: «Rivolta dei consumatori: giù le tasse». Poi, nelle prime pagine interne (la 2 e la 3, segno che l’argomento è stato giudicato il più importante della giornata): «Dai trasporti pubblici alle bollette il boom delle tariffe: più 40%». Jenner Meletti, il loro bravo inviato, ha fatto un giro tra i le stazioni di servizio dell’autostrada. Titolo: «Code, proteste e furti al distributore...»
I benzinai, secondo me, non c’entrano niente.
Non c’entrano niente, no. C’entrano i petrolieri e il governo, questo governo e i governi che sono venuti prima. I governi hanno caricato di tasse la benzina oppure non le hanno tolte. Ho già fatto l’elenco una volta, ma magari qualcuno se l’è dimenticato e vale la pena ripeterlo, tanto più che è grottesco. Ecco qua. Su ogni litro di benzina versiamo una tassa, detta accisa, messa per riparare ai danni de: la guerra d’Abissinia (combattuta nel 1936), la crisi di Suez (1956), la tragedia del Vajont (1963), l’alluvione di Firenze (1966), il terremoto del Belice (1968), il terremoto del Friuli (1976), il terremoto dell’Irpinia (1980), la missione in Libano (1983), la missione in Bosnia (1996), il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004). Su queste tasse si applica poi un’altra tassa, cioè l’Iva, il che è il colmo degli assurdi. Il governo ha pensato di varare un meccanismo che sterilizzi l’Iva quando gli aumenti raggiungono un certo livello. Ma il provvedimento sta in quella pre-Finanziaria che Tremonti ha varato in nove minuti e che il Parlamento deve ancora far diventare legge. Si potrebbero risparmiare dei soldi - almeno secondo il Codacons - permettendo a tutti i supermercati di installare una pompa. Ma i benzinai non vogliono assolutamente. Le altre associazioni dei consumatori premono per un intervento immediato su queste accise. Ma è inutile farsi illusioni: il debito italiano ha raggiunto una quota record (lo abbiamo detto venerdì), tagli alle accise non se ne possono fare.
E allora?
C’è sempre il problema del perché questo maledetto petrolio rincara. Peppino Turani, ancora su Repubblica, attribuisce i rincari alla debolezza del dollaro. Chi vende petrolio incassa dollari, cioè una moneta svalutata. Mentre quando compra, deve comprare con moneta buona, cioè euro. Per rifarsi pretende più dollari in cambio del petrolio. Turani crede che l’origine dei prezzi alti sia questa, esclude che c’entrino gli speculatori, esclude che c’entri la scarsità dell’offerta. Secondo lui il petrolio ci sarà ancora senza problemi per decenni.
Convincente?
Fino a un certo punto. Dire che abbiamo petrolio per decenni è un modo elegante per ammettere che sta per finire, perché i decenni, su questa scala temporale, sono periodi di tempo molto brevi. vero che il dollaro spinge il prezzo verso l’alto, è pure vero che l’euro dovrebbe proteggerci più di quanto non faccia. Come mai in questo settore la nostra moneta tanto forte ci aiuta così poco? Devo ancora leggere una risposta convincente a questa domanda, una risposta cioè che non sia la semplice: «Ci stanno fregando alla grande».
La Cina che consuma a più non posso?
Turani pubblica quest’altro dato interessante, proveniente dall’ufficio studi dell’Eni. E cioè: la domanda di petrolio, nonostante l’aumento dei prezzi, non solo non è diminuita, ma è addirittura leggermente cresciuta. Infatti, si stima il fabbisogno attuale in 86,5 milioni di barili al giorno contro un’offerta che non riesce a superare gli 85 milioni. A questo incremento di domanda i cinesi contribuiscono molto relativamente: se gli Stati Uniti consumano 25 barili di petrolio e gli europei 15, i cinesi si fermano appena a 2. Allora, finche la domanda sarà forte, il prezzo non potrà che salire. Perché - spiega giustamente Turani - i prezzi salgono proprio perché cercano il loro plafond, il loro tetto e fino a che non lo trovano continuano a salire. Qual è il segnale che il tetto è stato raggiunto? Il fatto che la domanda scende, cioè che un sacco di gente non vuole più quel bene perché costa troppo.
Quindi finché continueremo ad andare in automobile, il prezzo continuerà a salire?
Secondo Turani non basterà neanche smettere di andare in macchina. Noi magari rinunceremo. Ma i cinesi (e gli indiani) no. Oggi hanno solo qualche milione di macchine. Ma sono tre miliardi. per questo che il petrolio a buon prezzo è a questo punto solo un bel ricordo del passato.
********
IL PREZZO DELLA BENZINA, PER VOCE ARANCIO DEL 20/01/2010 (di Pietro Saccò)-
Dagli archivi del Congresso Americano del 1875: «Un nuovo generatore di potenza è stato prodotto da un ingegnere di Boston, alimentato da un distillato di cherosene chiamato benzina [...] Mai nella storia la nostra società si è confrontata con una potenza così densa di pericoli e nello stesso tempo così piena di promesse per il futuro dell’uomo e la pace del mondo. I pericoli sono evidenti. Depositi di benzina in mano a speculatori potrebbero costituire un grave pericolo per possibili incendi ed esplosioni. Carrozze senza cavalli azionate da questi motori a benzina potrebbero inoltre raggiungere velocità di 15 e persino di 20 miglia orarie».
Il prezzo dei carburanti, benzina, gasolio, gpl e metano, si può dividere in due parti: la componente industriale e quella fiscale. Nella componente industriale rientrano il costo della materia prima e il margine lordo delle imprese della filiera (le compagnie petrolifere, le imprese di trasporto del carburante, i gestori degli impianti di distribuzione); la componente fiscale è formata dall’accisa (fissata dallo Stato a 56,4 centesimi di euro al litro per la benzina e a 42,3 centesimi per il gasolio) e dall’Iva al 20%, che si applica sulla somma del prezzo industriale e dell’accisa.
Prendiamo il prezzo della benzina consigliato ai gestori dalla prima compagnia petrolifera italiana, l’Agip, lo scorso 12 gennaio: 1,349 euro al litro. Il prezzo di questo litro di verde è formato da 22,6 centesimi di Imposta sul valore aggiunto (Iva), 56,4 centesimi di accisa e 56 centesimi di prezzo industriale. I 56 centesimi del prezzo industriale si possono a loro volta dividere in 38,9 centesimi di costo della materia prima (cioè di un litro di benzina raffinata, quotato sul mercato internazionale con un prezzo definito dall’Indice Platts) e 17 centesimi di margine industriale, necessario a coprire i costi di trasporto, margine del gestore della pompa (fissato in 4,5 centesimi lordi al litro), investimenti nel punto vendita, pubblicità, promozioni.
I gestori, che spesso scioperano contro le compagnie, spiegano che il loro margine netto è di 3,7 centesimi al litro in modalità servito e di 3,1 centesimi per il Fai da te. Con quei soldi pagano tutto: energia elettrica, acqua, costo del lavoro (un operaio costa all’incirca 40.000 euro l’anno). Quando il cliente paga con il bancomat, la commissione è dello 0,5%, dell’1,25% con la carta di credito.
Negli altri Paesi la commissione sul pagamento con bancomat e carta di credito è molto più bassa di quella italiana. In Svezia, per esempio, la maggioranza dei distributori ha eliminato l’utilizzo dei contanti e le colonnine per il rifornimento sono attrezzate solo per il pagamento con bancomat.
In percentuale, quindi, di un litro di benzina comprato alla Agip il 12 gennaio, il 58,5% è andato allo Stato sotto forma di Iva e di accisa, il 38,5% è finito alle compagnie petrolifere (ma il 28% lo hanno speso solo per comprare la materia prima) e il 3% ai gestori degli impianti.
In tutto questo il prezzo del greggio conta, ma ha un’importanza relativa. Incide soltanto su quel 28% che rappresenta il prezzo della materia prima, ma dipende soprattutto dalle condizioni di offerta e domanda di benzina raffinata in quel momento. Il Platts difatti rappresenta il valore a cui le raffinerie vendono la benzina e il gasolio in un determinato giorno. Secondo un’analisi dell’Unione petrolifera, tra il 2006 e il 2009 le quotazioni dei prodotti raffinati Platts «hanno mostrato andamenti di segno opposto rispetto a quelli del greggio e, anche quando sono stati dello stesso segno, nella stragrande maggioranza dei casi hanno presentato diversa entità».
Il paradosso della Nigeria, il maggior produttore di petrolio dell’Africa, che ha riserve provate di greggio pari a 36 miliardi di barili: non avendo impianti per la raffinazione, è costretto a importare benzina per il suo fabbisogno interno.
Il ministero dello Sviluppo economico, ogni settimana, calcola il prezzo medio ponderato di benzina e gasolio per i consumatori italiani. L’ultima rilevazione disponibile risale al 14 dicembre 2009 e indica un prezzo di 1,270 euro per un litro di verde. Il carburante costava di più in Olanda (1,382), Finlandia (1,318), Danimarca (1,314), Portogallo (1,288), Belgio (1,274) e Germania (1,280). In Francia costava poco meno (1,257), in Spagna decisamente poco (1,061), nel Regno Unito 1,205 euro. I triestini, che per risparmiare vanno spesso a fare benzina in Slovenia, la pagavano 1,125 al litro. Su Facebook è nato anche il gruppo ”Quelli che... mi vado a fare benzina solo in Slovenia”.
Rispetto al prezzo medio dell’Unione monetaria, il costo della componente industriale del prezzo della benzina nel nostro Paese è stato superiore, sempre in media, di 3,47 centesimi tra il 2005 e il 2009. L’Unione petrolifera giustifica questo dato con le caratteristiche del nostro sistema di distribuzione: 0,6 centesimi derivano dallo scarso peso degli impianti di benzina nei supermercati (in Francia hanno il 60% del mercato), 1 centesimo è il costo di mantenimento di una rete di pompe che, per le compagnie, è troppo vasta (22.800 impianti, contro i 12.700 della rete francese e i 14.800 della Germania), poi ci sono 0,8 centesimi derivati dalla bassa flessibilità commerciale (pochi prodotti diversi dalla benzina venduti nei nostri distributori, e orari troppo rigidi, con 10 ore di apertura media contro le 14 ore della Francia) e 1,1 centesimi per le carenze dei self service (passa dagli impianti fai da te solo il 29% dei rifornimenti, quota che nel resto d’Europa raggiunge il 90% di media).
Per le compagnie petrolifere lo ”stacco”, questa differenza tra il prezzo italiano e quello medio europeo, è l’unico dato da prendere in considerazione quando si vuole contestare il prezzo della benzina. E il 14 gennaio l’Up ha comunicato che lo stacco è sceso a 2 centesimi, il minimo dal 2007. L’Antitrust non si fida molto. Lo stesso giorno, il presidente Catricalà diceva che è «evidente» la percezione del fatto che quando il prezzo del petrolio sale quello della benzina sale rapidamente e quando invece il greggio scende la benzina cala a rallentatore. Però, ha detto Catricalà «i petrolieri riescono a produrre studi e ricerche che dimostrano il contrario di questa percezione» e l’Antitrust non ha potuto «dare prova che questo meccanismo sia frutto di una intesa dei petrolieri».
Uno studio econometrico realizzato da Prometeia sui prezzi di benzina e petrolio ha analizzato il fenomeno nel periodo 1997-2009 ed ha concluso che per la benzina la simmetria è completa mentre nel caso degli altri prodotti osservati (gasolio auto, riscaldamento ed olio combustibile) risulta soddisfacente salvo alcuni casi ”borderline”.
L’Unione petrolifera ha annunciato che nei primi undici mesi del 2009 in Italia sono state consumati 33 milioni di tonnellate di carburanti, il 3,1% in meno rispetto allo stesso periodo del 2008.
La benzina nel periodo considerato ha mostrato una flessione del 3,9% (-394.000 tonnellate), il gasolio del 2,8% (-673.000 tonnellate). Nello stesso periodo le nuove immatricolazioni di autovetture sono risultate in diminuzione dell’1,4%, con quelle diesel a coprire il 42,1% del totale (era il 50,8% nei primi undici mesi del 2008).
«In Texas si vuole aumentare il limite di velocità a 80 miglia orarie. Non è una brutta idea. Così la gente arriverà al distributore prima che il prezzo della benzina aumenti» (Jay Leno).
Negli Stati Uniti la benzina è tradizionalmente molto economica. In questi giorni costa attorno ai 2,6 dollari al gallone, cioè 98 centesimi di euro al litro. In Russia si paga 1,145 euro al litro, in Cina, dove il prezzo massimo lo stabilisce lo Stato, aggiornandolo ogni 22 giorni lavorativi, la benzina costa 22,6 yuan al gallone, quindi 87 centesimi di euro al litro. Il portale Nationmaster confronta il prezzo della verde in 141 nazioni diverse. Le tre nazioni più care sono Uruguay, Regno Unito, Israele. L’Italia è quattordicesima, le tre nazioni più economiche sono Turkmenistan (3 centesimi di dollaro al litro), Iraq (5 centesimi), Iran (8 centesimi). Il prezzo medio mondiale ponderato risulta essere di 1 dollaro al litro.
Due centesimi di euro è il prezzo record di un litro di benzina in Venezuela, uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo.
Nel 2009 il prezzo medio della benzina, in Italia, è stato di 1,234 euro al litro, in calo dell’11% rispetto agli 1,388 euro del 2008. In Europa la flessione media è stata del 12%, con picchi del 23% (in Polonia) e una contrazione minima, del 2,3%, a Malta. In media, di nuovo in Italia, per un litro di carburante abbiamo pagato 77 centesimi di tasse. un livello superiore alla media europea (66,2 centesimi al litro), ma in linea con quelli delle altre grandi nazioni: 85,6 centesimi al litro in Germania, 80,4 centesimi in Francia, 76,3 centesimi nel Regno Unito.
Il principe Carlo ha speso circa 5mila sterline per fare in modo che la sua Aston Martin DB5 d’epoca, dono della regina per i 21 anni, non sia più alimentata a benzina bensì a vino bianco e formaggio, miscelati in bioetanolo.
Ogni volta che si parla delle accise sulla benzina, qualcuno ricorda con ironia che le tasse sul carburante servono a pagare spese incredibili, dal sostegno ai soldati mandati in Abissinia nel 1935, alla solidarietà ai disastrati dei terremoti del Friuli o dell’alluvione di Firenze del 1966. Tutti eventi che, un tempo, i governi finanziarono inasprendo le tasse sulla benzina. In realtà è stato un decreto legge del 1995 a fissare l’accisa a poco più di 1.000 lire (51,8 centesimi). Da quella cifra si è arrivati agli attuali 56,4 centesimi cattraverso tre interventi: un aumento a 54,2 cents nel giugno 2001; un altro, a 55,9, nel dicembre 2003, per rinnovare il contratto dei tranvieri; l’ultimo, a febbraio 2005, per misure urgenti di tutela ambientale, l’ha portata a quota 56,4 centesimi.
I distributori italiani hanno un venduto medio annuo decisamente inferiore rispetto alla media Ue (1,5 milioni di litri contro 2,5 milioni). Nelle 23.800 stazioni di rifornimento italiane lavorano 62mila persone. Nel nostro paese ci sono in media 2.500 abitanti per impianto, ogni stazione copre circa 13,1 chilometri quadrati (ci sono 8 impianti ogni 100 chilometri) e 1.507 auto.
Roberto Sambuco, il nuovo Mr Prezzi, sta studiando una riforma del sistema di distribuzione del carburante in Italia. La sua proposta prevede di andare incontro alle richieste che da molti mesi ripetono le compagnie petrolifere: aumentare i self service sulla rete, liberalizzare l’orario e i giorni di apertura dei distributori; liberalizzare le licenze, affinché i distributori possano vendere tabacchi, gioco del lotto, giornali, diventare bar o veri e propri drugstore; obbligare per le compagnie ad allineare i prezzi dei carburanti, seppure nell’arco di tre anni con target progressivi da raggiungere, alla media europea; obbligare gli esercenti ad esporre un prezzo massimo settimanale che resti invariato per 7 giorni.
Quest’anno il prezzo del petrolio dovrebbe rimanere attorno agli 80 dollari al barile. Lo prevede l’Opec, il cartello dei paesi produttori, e lo confermano diversi uffici studi, tra i quali quello dell’Aie, il Roubini Global Economic, Deutsche Bank. L’Agenzia internazionale dell’energia non si è ancora sbilanciata, limitandosi a prevedere, per il 2010, un aumento dei consumi di petrolio dell’1,7% (dovuto alla ripresa della domanda nei paesi emergenti), per un consumo mondiale di 86,3 milioni di barili al giorno, 200mila barili in meno rispetto al fabbisogno 2007.
Il portale www.prezzibenzina.it monitora in tempo reale i prezzi applicati dai distributori italiani. Dimostra puntualmente come si possa spendere meno facendo rifornimento dalle cosiddette ”pompe bianche”, stazioni di rifornimento esterne al circolo delle multinazionali del petrolio, spesso appartenenti a produttori indipendenti o ai supermercati. Il self service alle stazioni dei supermarket Iper sono tra i più economici, seguiti da marchi più o meno sconosciuti come Beyfin, Loro, Avia, Galoil. Gli impianti indipendenti sono circa 3mila in tutt’Italia.
******
IL REDDITO MEDIO DEGLI ITALIANI SI FERMA SOTTO I 19 MILA EURO -
MARCO BELLINAZZO PER IL SOLE 24 ORE DEL 01/04/2010 -
Gli italiani nel 2008 hanno dichiarato in media un reddito di 18.873 euro (+1,1 rispetto all’anno precedente), versando all’Erario un’imposta netta pari a 4.701 euro. Il reddito complessivo delle persone fisiche è salito dell’1,3% (782,6 miliardi) e anche l’imposta netta dichiarata è aumentata del 2,7% (146,2 miliardi).
Quest’ultima è stata pagata da da poco più di 31 milioni di contribuenti su un totale di 41 milioni (+0,33% in rapporto alla precedente tornata di dichiarazioni) e la sua incidenza sul reddito complessivo (la cosiddetta aliquota effettiva) è stata dunque del 18,7 per cento.
Quanto al tipo di reddito, i guadagni medi da lavoro dipendente denunciati al Fisco sono stati pari a 19.640 euro (+1,9%rispetto all’anno precedente), quelli da pensione sono arrivati a 13.940 euro (+3,7%), quelli da partecipazione a 17.350 (-2,4%). I redditi d’impresa e da lavoro autonomo, invece, si sono fermati rispettivamente a 18.140 e 38.890 euro. Rispetto al 2007 i redditi d’impresa hanno subito una diminuzione dello 0,5%, mentre quelli da da lavoro autonomo hanno fatto registrare un incremento del 2,6.
Sono questi alcuni dei dati più interessanti che emergono dalle statistiche definitive del Dipartimento delle Finanze – diffuse ieri – sulle dichiarazioni Irpef presentate nel 2009 (relative al periodo d’imposta soprattutto nella seconda parte dell’anno, dall’impatto della crisi economica internazionale, per effetto della quale il Pil italiano in termini reali ha subito una flessione dell’1,3%, mentre l’inflazione si è attestata al 3,3 per cento.
Va osservato, in ogni caso, come la quota complessiva di redditi da lavoro dipendente e pensione abbia raggiunto l’80,3% del totale. Più ridotta la componente rappresentata dai redditi da partecipazione (5%),d’impresa (4,2%)e da lavoro autonomo ( 4%).
La crisi economica iniziata nella seconda metà del 2008 – e acuitasi nel corso del 2009 – ha avuto perciò un impatto negativo (sia pure minimo) sulle attività d’impresa (relative soprattutto ai settori del commercio, manifatturiero e edile), mentre hanno resistito meglio i lavoratori autonomi (in genere, titolari di attività professionali, scientifiche e tecniche) che hanno addirittura aumentato i loro introiti.
Restano intatte invece le enormi disomogeneità sulle classi di reddito evidenziate in questi anni dalle indagini statistiche del dipartimento delle Finanze. Più o meno la metà dei contribuenti (21 milioni) dichiara non oltre 15mila euro annui e circa due terzi non più di 20mila. In pratica, quasi il 90% degli italiani dichiara redditi Irpef inferiori a 35mila euro annui.
Sono 10 milioni, inoltre, i contribuenti che non versano l’imposta sulle persone fisiche, perché si collocano nelle fasce di esonero oppure perché hanno fatto valere detrazioni tali da azzerare il debito tributario.
All’estremo superiore della classifica, invece, appena l’0,95% dei contribuenti denuncia redditi superiori ai 100mila euro (poco meno di 400mila), pagando però il 18% del totale dell’imposta. Il 52% del totale dell’Irpef proviene dal 13% dei contribuenti con redditi oltre i 35mila euro. In termini assoluti, sono appena 77.273 i " ricchi" (ovvero coloro che hanno esposto in dichiarazione redditi che vanno oltre i 200mila euro).
Nel 2008 poi c’è stata la novità dei 506.000 "contribuenti minimi" che anno dichiarato un reddito medio di 8.840 euro per un’imposta sostitutiva netta media di 1.770 euro (si veda l’articolo in pagina 13).
In materia di semplificazioni, sempre più gradito è il «730» (modello più facile da compilare e che garantisce un rimborso immediato dei crediti) utilizzato ormai dal 40% degli italiani. Hanno adoperato il nuovo "Unico Mini" (studiato per le situazioni meno complesse) 100mila contribuenti.
*******
Confermata la metafora dell’Italia a due velocità
M. BEL. PER IL SOLE 24 ORE DEL 01/04/2010 -
un’Italia ancora a doppia o tripla velocità quella rivelata dai dati sulle dichiarazioni 2009 resi noti ieri dal Dipartimento delle Finanze.
Se il reddito medio dei contribuenti italiani nel 2008 ha raggiunto i 18.870 euro annui, le regioni a nord della Penisola si collocano al di sopra di questo spartiacque, quelle dell’Italia centrale si mantengono appena sotto (a eccezione del Lazio, che insidia il primato della Lombardia), mentre quelle meridionali non riescono ad invertire la rotta e sprofondano su livelli di reddito decisamente più bassi.
Al primo posto della graduatoria dei redditi 2008 svetta quindi la Lombardia con 22.540 euro di media. C’è anche da dire che in questa regione vivono 7,1 milioni di contribuenti (il 17% del totale)’ di cui 3,7 milioni di lavoratori dipendenti, come Calabria, Campania e Sicilia messe insieme. Nel Lazio i contribuenti sono poco più della metà (3,7 milioni), in Veneto 3,6 milioni e in Emilia Romagna 3,4.
Sopra i 20mila euro di reddito pro capite si piazzano Emilia Romagna, Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria. Se il fanalino di coda è la Calabria con 13.470 euro (9mila euro in meno rispetto alla "capolista", non se la cavano meglio Basilicata (14.270), Molise (14.520) e Puglia (14.830).
In relazione all’imposta netta versata, invece, il valore medio maggiore è quello del Lazio (con 5.740 euro), il minore della Basilicata (3.370 euro).
Differenze notevoli che hanno prodotto le dure reazioni di una parte dei sindacati e del mondo politico. «Dai dati continua ad emergere un paese diseguale in cui a pagare la crisi sono sempre gli stessi: lavoratori dipendenti e pensionati, più in generale gli onesti», sottolinea il segretario confederale della Cgil, Agostino Megale.
«I dati delle dichiarazioni – aggiunge Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro del Pd – confermano le inaccettabili ingiustizie sociali determinate dall’enorme evasione fiscale».
Un invito a evitare strumentalizzazioni arriva però da Confartigianato. « normale che l’85% delle entrate Irpef sono pagate da dipendenti e pensionati, dal momento che queste due categorie rappresentano l’87% dei contribuenti – spiega segretario generale di Confartigianato Cesare Fumagalli ”. Quello che serve è una riforma fiscale, considerato l’insopportabile peso del fisco sulle imprese, soprattutto in questa fase di congiuntura negativa. Si proceda anche speditamente con la piena attuazione del federalismo fiscale che può consentire risparmi ed una migliore qualità della spesa pubblica».
Una riforma strutturale auspicata anche dal segretario confederale dell’Ugl, Paolo Varesi: «Diventa più che mai indispensabile una riforma strutturale del fisco, un sistema a oggi non equo che, come confermano i dati del Dipartimento delle Finanze, conta in maniera eccessiva sul reddito da lavoro dipendente e da pensione».
M. Bel.