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 2010  aprile 02 Venerdì calendario

DIO PERDONA, ZIGONI NO

(*per vedere domande e risposte aprire il frammento) Balotelli chiede scusa a Mourinho.
si dice ”dispiaciuto”,
mette nell’angolo la boria.
Dopo quasi due mesi passati
a osservare gli altri, si piega alla ragion
di Stato. Pur di non farlo,
Gianfranco Zigoni si sarebbe fatto
uccidere. Filosofia western con inclinazione
per gli ultimi del mondo:
’Il mio compagno Mascalaito
sparò a un uccellino, lo colpì, iniziò
a ridere. Smisi di parlargli. Puoi
anche eliminare una creatura di
Dio, però poi la devi mangiare”.
Pellicce in panchina, pavoni al
guinzaglio, risse sul ballatoio degli
alberghi, Nietzsche sul tavolino,
macchine lanciate a fari spente
nella notte. Leggerezza e complicazione,
nuvole di fumo e letteratura.
Zigoni, l’accento al centro,
tutto il resto fuori fuoco. A Verona
esponevano striscioni mistici:
’Dio perdona, Zigo no”. A Roma
nelle osterie della vecchia Trastevere,
lo osservavano barcollante
chiudere le serrande assieme ai gestori.
Lo affascinavano le albe glabre,
le fughe da fermo, l’ir riverenza,
i pugni. Un giorno ruppe la faccia
al libero del Cesena Ammoniaci.
’Guidolin, che allora aveva 18
anni, mi squadrò terreo. ”Dio bon ,
Zigo, l’hai ammazzato”. ”Che vuoi
che sia Guido, al mondo siamo in
t ro p p i ”.
Zigoni era così, portava l’icona di
Ernesto Guevara al collo, pregava,
nascondeva la fiaschetta di Whisky
nei calzini abbassati ben oltre il ginocchio.
Quando era in giornata,
frenarlo era impossibile. Oggi vive
con la moglie e i quattro figli là dove
tutto è cominciato. Marca trevigiana,
Oderzo. galline, filari di viti.
Allena i ragazzini, del disordine
creativo dei ”70, solo un ricordo vago,
non scolorito dal tempo.
Zigoni, Balotelli-Mourinho, riporta
alla memoria il suo rapporto
con Heriberto Herrera.
’Volevo ucciderlo”, dichiarò un
giorno.
Ma io non ho mai perso il controllo
fino in fondo, a volte era Heriberto
a non essere completamente in sé.
Una volta bussò alla mia stanza.
Avevamo appena lottato con i greci
dell’Olympiakos nella Coppa
dei Campioni di fine anni ”60. Appena
apro, mi dà due pugni nello
stomaco. Sibila ”Figlio di puttana,
sei il solito”, ha gli occhi fuori dalle
orbite. Reagisco, mi batto, poi parliamo.
Perché si comportò così?
Sosteneva che avessi permesso al
difensore che mi marcava, di spingersi
in avanti. Ora comunque, Heriberto
non c’è più. Era un rompicoglioni,
ma una persona onesta,
leale, io mi ribellavo e lui mi faceva
multare. Una sfida solare, ma poi,
rinserrate le armi, finiva lì.
E gli epigoni contemporanei?
Dicono che tra Mou e Mario la
rissa fosse più di un’ipotesi.
Mi sembra una cosa grave, pare il
plot di una brutta pubblicazione di
U ra n i a . Fantascienza pura. E’ cam -
biato il modo di vivere e il mondo
del calcio, somiglia a un altro pianeta.
Non posso giudicare né l’uno
né l’altro. Per rimanere fuori così a
lungo, Balotelli qualcosa di grave
deve averlo fatto.
Cosa secondo lei?
Sembra che abbia mandato a fare
in culo Mourinho davanti agli altri
giocatori. Era brutto ai miei tempi
ed è orribile tuttora. Ne facevamo
di ogni colore ma non mancavamo
mai di rispetto al tecnico. Le dico
una cosa controcorrente? A me José
non dispiace, ma più di lui mi
garba Leonardo. Un uomo di grande
intelligenza.
Con il suo presidente, Garonzi,
alterchi quotidiani.
In maniera goliardica. Lui mi diceva
’Mòna di un mòna, firma subito
il contratto sennò ti spacco la faccia’,
io lo insultavo e poi gli rispondevo:
’Ti prendo a pugni Saverio,
non esagerare’. Non c’era acrimonia,
era un gioco delle parti.
Fin da piccolo, le avevano insegnato
a stare al mondo.
Io sono nato nel bronx di Oderzo,
in una famiglia poverissima. Un agglomerato
di case tutte uguali, con
qualche paradosso. I ricchi della
città ci invitavano perché avevano
il bagno in casa.
Eravate tanti?
Otto fratelli, lavorava solo mio padre,
eravamo in dieci in due stanze.
Ma non è stata dura, eravamo
felici, avevamo dei valori. Andiamo
d’accordo tuttora. Siamo legati.
Avevo mille problemi da bambino,
non mi sarei mai incazzato
per sciocchezze simili.
Come arrivò al calcio?
Non mi piaceva neanche in fondo.
Adoravo correre scalzo con i bambini,
in mezzo ai campi, poi capii
che da quel mulinare continuo,
avrei potuto guadagnare qualcosa.
E accadde...
Per incassare un premio partita,
avrei scalato l’Everest. Pensavo a
mio padre che lavorava per 50.000
lire al mese, io prendevo dieci volte
tanto. Impegnarsi ogni tanto era
normale. Oggi mi pare che i giocatori
siano inavvicinabili, non
sempre simpatici.
Qualche eccezione odierna?
Claudio Ranieri. Sono felice davvero
per lui. Una grande persona, era
un ragazzino quando si allenava
con la prima squadra durante i
miei due anni romani. Educato, serio,
rispettoso. E’ rimasto identico.
Non si è corrotto.
Quando arrivò alla Juve, prima
di farle vincere uno scudetto, le
fecero tagliare la chioma.
C’era Italo Allodi. Si avvicinò ame
e a Bob Vieri, un altro pazzo meraviglioso,
irriducibile. ”Voi due,
tagliatevi i capelli’. ”No, no, te lo
puoi scordare’. Così utilizzò altri
ar gomenti.
I soldi?
Eravamo sensibili, soprattutto
Bob. Allodi sapeva come agire: ”Va
bene, vi do centomila lire’. Vieri
acconsentì in un amen. Poi venne
da me. ”E tu?’ Risposi brutalmente:
’Guarda, se vuoi ti do centomila lire
io, non ti azzardare, ti taglio le
palle se ti avvicini’. Se c’era una cosa
che mi faceva impazzire era l’ar -
roganza: almeno chiedimelo per
favore. Io facevo ciò che volevo,
ma senza sovrastrutture.
Esempi?
Ai tempi della Roma mi feci crescere
anche la barba, ma perché piaceva
a me, non per crearmi un personaggio.
Entravo con la pelliccia,
esageravo, godevo dei momenti.
Amici?
A Roma un’infinità. Era una città in
cui rendere al cento per cento era
impossibile, troppo gaudente il
contesto. Il mio preferito era Ciccio
Cordova, il mio compagno di
stanza. Dormire con lui però era
pesante. Mi rompeva i coglioni tutte
le notti, ci-ci-ci. Ci-ci-ci.
Come?
Lui che flirtava al telefono con Simona
Marchini. Insopportabile.
Ogni tanto, per ingannare la
noia, sparavate ai lampioni.
Quante ne abbiamo fatte. Eravamo
mezzi matti, Amarildo, Del Sol, Pedrelli.
Indimenticabili. Oggi non
potrei giocare ai patti ossessivi
dell’iperprofessionismo, per fortuna
c’è mio figlio Gianmarco.
Gioca nel Milan...
Lo ammiro molto, è determinato.
Me lo diceva fin da piccolo ”Vo g l i o
fare il tuo mestiere’. E c’è riuscito.
Sono orgoglioso. Da un lato è cre sciuto con la mia mentalità, dall’al -
tro con una serietà e un rigore che
non riconosco. Lo voleva mezz’Ita -
lia. E’ felice, vorrebbe rimanere lì a
vita, è diventato tifoso ma mancano
gli spazi. Al Milan è più diffiile
che in provincia.
Berlusconi lo sa chi è il padre?
Ma certo, io sono una leggenda. Sono
il giocatore più famoso del
mondo. Se lei va nella sede
dell’Aiax, c’è la mia foto in pelliccia
e cappello da cowboy, credo
che neanche Maradona abbia un
onore simile.
Gli arbitri non li amava.
Li detestavo. Erano satrapi al servizio
delle squadre che contavano
e decidevano i destini. Fregarli e ingannarli
non era solo un piacere, ma un dovere. Una volta litigai anche
con un guardalinee. Ad un tratto,
a tradimento, mi apostrofa: ”stai
sempre per terra, pagliaccio. Rialzati’.
Persi la testa, attesi il fischio
finale e gli consigliai dove infilarsi
a dovere la bandierina.
E lui?
Fece rapporto. Sei giornate di
squalifica. Meritate.
Verona, per lei, era una malattia.
Sognavo di morire in campo, con
quella maglia, così Ciotti e Ameri
avrebbero potuto iniziare, epici, i
loro collegamenti: ”Benvenuti al
Gianfranco Zigoni di Verona”. Senta
come suona bene. Ero pazzo e
sono rimasto megalomane, sono
stato bene nel pallone perché
ovunque abbia messo piede, mi
hanno trattato come un essere
umano, mai come un numero.
Si sente fortunato?
Ho avuto un culo tremendo nella
mia vita. Ho giocato e mi hanno
anche pagato. Ci pensa?.
Dopo aver incontrato Pelé,
preparò una dichiarazione
in terza persona: ”Zi -
goni lascia l’attività,
non può sopportare
che esista al
mondo qual cuno più forte di lui”.
Era una battuta, ma a vent’anni, in
effetti, pensavo che come me non
esistesse nessuno. Trapattoni aveva
appena fermato O’Rei, mi incontrò
in Genoa-Milan e io gli feci
tre gol. Giungere alle conseguenze
fu ovvio. Però le dico una cosa.
P re go.
Non me frega niente di dire di essere
stato forte, come non ho mai
creduto ai tanti che mi blandìvano:
’Se avessi avuto un’altra testa, fors
e . . .”. Balle. Non mi è mai interessato
prevalere sugli altri, però a
ve n t ”anni come dice Guccini, assieme
a De André e Bob Dylan il
mio preferito, si è stupidi davvero
.
Non le interessava, però non si
sentiva inferiore a nessuno.
In certe partite pensavo: ”Nessun
essere umano mi può fermare. E
così andava”.
A volte minacciavano di tenerla
fuori.
Valcareggi tuonava: ”Se non fai bene
ti mando in tribuna’ e io di rimando:
’Stai tranquillo mister’.
Certo, dovevo star bene fisicamen te, facevo le notti brave io, bevevo,
fumavo 40 sigarette al giorno.
I ritiri, un problema irrisolvibile
.
Avevo vent’anni. Dopo la partita,
ci rinchiudevano in albergo in centro
a Genova; ”Ma che cazzo ci faccio
qui?’. Così uscivo. Non lo tolleravo.
Allora prendevo la macchina
e giravo a duecento all’ora. Era
naturale, malato era il contrario. Io
odio gli obblighi, le situazioni claustrofobiche,
mi sento una belva in
gabbia, in fondo mi creda, piacerebbe
farlo anche ai giocatori di oggi,
solo che non possono evadere.
Ogni tanto lo fanno. Cassano lo
racconta generosamente nella
sua autobiografia. Settecento
imprese sentimentali.
Guardi, io questa storia delle donne
usate per riempire un’antologìa
di conquiste, l’ho sempre ritenuto
un esercizio volgarissimo. Le avventure
sentimentali non si sbandierano,
io le ho avute, ma non ne
faccio un vanto. Ho avuto qui, sono
stato là, la fiera del pessimo gusto.
Però non si è risparmiato.
Ma certo. Pensi che persino l’uni -
ca volta che venni convocato in
Nazionale, prima di una gara con la
Romania, scappai di notte con
un’indossatrice italiana a Bucarest.
Ma ero ragazzo, seguivo l’istin -
to.
A volte anche prima della partita.
Giancarlo Cadè, il tecnico, ci lasciava
abbastanza liberi. Il sabato
sera si mangiava insieme, poi arrotava
la voce e proclamava lo scioglimento:
’Ragazzi andate a casa.
Ma a letto però’. E io seguivo il consiglio
ma non da solo. L’indomani
avrei dovuto giocare, ma come ricorderà
in Via col vento, domani è
sempre un altro giorno.
E Cassano? Non mi ha risposto.
Cassano è un fuoriclasse, però mi
pare che abbia fatto di meno di
quel che poteva, con le sue doti, si
sta sprecando in una piccola squadra.
Io non posso dirlo perché ero
peggio di lui. Dopo Del Piero e Totti,
comunque, è il più grande di tutti.
E’ come lei, che rinunciò ai soldi
dell’Inter di Fraizzoli. il presidente
dell’Inter si presentò da
lei a offrile 80 milioni e lei disse
di no.
Nel ”74 io prendevo 25 milioni,
80 erano una cifra impressionante,
impensabile.
Cassano prende comunque
miliardi anche se gioca
a Genova. A me dei soldi
non fregava nulla, allora come
adesso.
Perc hé?
Tutti dicono che ci vogliono tanti
soldi per vivere. Non è vero. Basterebbe
una casa per tutti, un tetto
senza ansie sotto il quale costruire
il presente.
Gli umili del mondo, una sua fissazione
.
I valori si sono persi. Peccato, credo
che con degli esempi l’univer so
un po’ possa cambiare, prenda
mio figlio, delle marche e delle griffes
non gli frega nulla. Spero che
rimanga così.
Il doping. Carlo Petrini sostiene
che negli anni ”70 vi drogavate
tutti.
Stimo Carlo, però che si drogassero
tutti, a me non risulta. A Genova
mi fecero un paio di punture. Mi
sentivo stanco. Chiesi informazioni,
mi dissero che erano vitamine.
Da allora, mi imposi: ”Faccio senza,
gra z i e ”. Il Micoren me lo diedero a
fine carriera. L’unica cosa che ho
preso in vita mia, è stata un’aspir ina
con il caffè. Se poi alle spalle ci
truffassero, non lo so. Io non ho
mai avuto problemi, magari è stato
solo culo. Non voglio passare per
santo, sarebbe troppo.