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 2010  aprile 02 Venerdì calendario

«ASPETTO LE SCUSE DEI PM PER L’INGIUSTIZIA SUBITA»

Sono le sei del pomeriggio. Alberto Stasi arriva nello studio del professore Angelo Giarda, suo difensore nel processo per omicidio (insieme con i fratelli Giuseppe e Giulio Colli), e a tre mesi e mezzo dalla sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice Stefano Vitelli, il biondino di Garlasco si racconta.
Ripercorre gli oltre due anni vissuti sotto il peso dell’accusa, mai provata, di essere l’assassino di Chiara Poggi. La ragazza adorata e con la quale aveva progettato di vivere il suo futuro, sul binario di una serena esistenza borghese. Eccolo Alberto, entra portando alto lo sguardo e con il passo che adesso è più leggero. il passo di un ragazzo perbene che tenta di riprendersi la vita attraverso la quotidianità. Ed è lo sguardo di un giovane di ventisei anni, un dottorino uscito dalla Bocconi con il massimo dei voti, che dal 17 dicembre scorso (giorno del giudizio di primo grado), prova a incrociare gli occhi della gente che fino a ieri lo ha guardato come un assassino. A renderlo più forte sono le articolate motivazioni di una sentenza esaurientissima; tanto che Alberto adesso ha cominciato il praticantato nello studio di un commercialista. «Sono felice di lavorare», dice con un sorriso imbarazzato e il tic all’occhio sinistro che ancora non lo ha abbandonato. Come il cappellino nero calato sulla faccia; indispensabile in metropolitana e non soltanto.
Lei è stato indicato per oltre due anni come l’assassino di Chiara. Il mostro grondante sangue. E quasi tutti hanno creduto che lo fosse, poi un giudice ha dimostrato il contrario. Cosa ha provato in tutto questo tempo?
« stata una ingiustizia doppia, perché oltre a subire l’accusa per un omicidio che non ho commesso, mi hanno indicato come l’assassino di una persona a me cara. La ragazza che amavo e con la quale pensavo di dividere la vita e l’aria. La sofferenza più grande è stata questa».
Ricordiamo il giorno delle manette. Quando è stato trascinato in cella. «Ho capito che sarebbe finita così quando hanno iscritto il mio nome sul registro degli indagati. Ero l’unico sospettato e se dovevano arrestare qualcuno, chi avrebbero potuto portare in prigione se non me? Eppure io non avevo fatto niente e cercavo di capire che cosa stessero sostenendo i carabinieri, il Ris, il pubblico ministero. Poi una volta preso atto delle ragioni ”preoccupanti” del fermo, ovvero la presenza (falsa) del sangue di Chiara sui pedali della mia bicicletta, ho capito che l’errore tanto assurdo sarebbe prima poi venuto a galla, insieme con la verità della mia innocenza».
Lei ha studiato il processo, forse come pochi imputati di omicidio hanno mai fatto. Perché? «Certo che ho studiato il processo, era di me che si stava parlando. Volevo accertarmi che tutti gli elementi venissero approfonditi, ma ogni volta mi rendevo conto che anziché verificare quel che doveva essere verificato, ci si soffermava in modo unilaterale sugli indizi che non erano nemmeno indizi. La mia fortuna è stata quella di incontrare un giudice scrupoloso e che ha voluto vederci chiaro, senza tralasciare nessun dettaglio. Errori come quelli compiuti nel mio caso non dovrebbero più ripetersi, eppure...».
Eppure cosa?
«Eppure nel mio caso hanno sbagliato tutti: i carabinieri, il pubblico ministero, la parte civile. Tutti quanti, ma nessuno mi ha chiesto scusa. Nemmeno davanti alla prova della mia innocenza, nemmeno davanti alla verità che non
ho ucciso Chiara. Mi viene in mente un caso analogo». Quale? «Il caso del padre di Gravina in Puglia accusato di avere assassinato e gettato in una buca i propri figli. Ricordo che davanti alla verità della sua innocenza, il Questore che aveva sostenuto le indagini di polizia sbagliate, gli domandò scusa. Perché a me nessuno ha chiesto scusa?».
E la famiglia di Chiara?
«Al momento i genitori di Chiara non hanno abbassato il muro nei miei confronti. Forse condizionati dal modo in cui sono state condotte le indagini. Eppure loro mi conoscono e resto convinto che non credano che io sia colpevole. Per questo spero in un riavvicinamento, magari anche più
avanti nel tempo. Io sono già pronto ad accoglierli. In fondo c’è un comune denominatore a tenerci uniti: l’amore per Chiara». Eppure sia il papà, sia la mamma di Chiara le hanno sempre rimproverato di non avere mai parlato di lei. Né durante le indagini, né nel corso del processo. Stessa cosa ha osservato un’amica della sua fidanzata.
«Vero, un’amica di Chiara, che è anche la vicina della famiglia Poggi, ha raccontato ai giornali e alle televisioni che io in tutto questo tempo non ho mai parlato di lei. Che non mi sono mai ricordato di Chiara e tantomeno avrei avuto un pensiero per lei. La verità è un’altra: io non ho mai parlato con la stampa in assoluto. E non solo di Chiara. Ma poi, mi scusi: come fanno Tizio o Caio a sapere cosa racconta Alberto ai suoi genitori o ai suoi amici, quelli veri?».
Anche la Procura, ascoltando le intercettazioni telefoniche, ha sottolineato che lei non ha mai ricordato Chiara.
«Scusi, ma come deve comportarsi al telefono una persona accusata di omicidio che sa di essere intercettata, nonostante non c’entri niente?».
E adesso?
«Chiedermi di parlare di Chiara e racchiudere tutto in un particolare è impossibile». Perché?
«Perché Chiara è dappertutto, nei miei pensieri e in ogni cosa che guardo. La vedo ovunque e non andrà mai via dal mio cuore. E comunque in questa storia dovrebbero essere i giornali e le televisioni a ricordarsi di lei, almeno quanto di me. Invece no, interesso solo io. E questa si chiama morbosità».
Si sente in colpa per la sofferenza involontariamente provocata alle persone che le vogliono bene, ai suoi genitori?
«Scusi, ma di cosa dovrei sentirmi in colpa io? Alberto non ha fatto niente. Alberto non ha ucciso Chiara. Chi mi ha accusato ingiustamente di essere un omicida dovrebbe invece sentirsi in colpa per il male arrecato a tante persone e non solo a me. Troppa gente è stata coinvolta in questa vicenda».
A chi si riferisce?
«Ai miei amici per esempio, che poi erano anche quelli di Chiara. Loro mi conoscono e infatti non mi hanno mai abbandonato, sono sempre stati al mio fianco. La nostra amicizia non si è incrinata, nonostante molti di loro siano stati interrogati più volte, perquisiti in casa, eccetera».
Serena, la ragazza arrivata in tribunale il giorno della sentenza di assoluzione, è stata indicata dalla stampa come la ”nuova” fidanzata che ha sostituito Chiara forse un po’ troppo in fretta.
«Serena è un’amica vera. E prima di tutto era amica di Chiara, anche lei vuole verità e giustizia. Solo questo».
Ha mai pensato di andare via da Garlasco? «No, a Garlasco in tanti mi conoscono. E chi mi conosce sa che non ho ucciso nessuno».
Ha paura del processo d’appello?
«Di cosa dovrei avere paura? Io sono innocente. Mi pare che la sentenza del primo grado lo provi ampiamente e che il giudice abbia motivato la decisione in modo ineccepibile».
Cosa vuole dire al dottor Vitelli?
«Grazie per la scrupolosità e la preparazione dimostrate. Questo ha permesso di arrivare a una giustizia giusta».