Varie, 2 aprile 2010
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Ades Thomas
• Londra (Gran Bretagna) 1 marzo 1971. Compositore • «“A volte mi chiedo se sia tutto vero”. La velocità con la quale si è affermato in un campo notoriamente difficile ha, in effetti, qualcosa di surreale [...] aveva solo 25 anni quando compose “Asyla” per Simon Rattle, pezzo che il direttore d’orchestra scelse nel 2002 per il concerto inaugurale con i Berliner. Era soltanto l’inizio. Sono seguiti poi “Arcadiana”, “America: A prophecy”, un concerto per violino, un quintetto, un secondo lavoro sinfonico per Rattle, “Tevot” e, per la Royal Opera House, “The Tempest”. Per i critici Adès “è stato un wunderkind, oggi è un gigante della musica contemporanea”. Non è una sorpresa, quindi, che ogni tanto creda di vivere un sogno. Anche perché— difficile capacitarsene — quella di compositore è solo una delle tre incarnazioni musicali che lo vedono girare il mondo da un teatro all’altro. È direttore d’orchestra e pianista. [...] Ha insegnato alla Royal Academy, è stato direttore artistico del festival di Alderburgh. Questo dopo la laurea a Cambridge e il diploma alla Guildhall School of Music. Una domanda viene spontanea: come fa? “Devo stare molto attento e tenere abbastanza tempo libero per comporre. La tentazione è di lasciarsi trascinare. È così bello uscire di casa, girare per il mondo, dirigere, suonare. Comporre, però, deve venire prima del resto”. Che fare tutte e tre le cose sia artisticamente e fisicamente pesante non sembra essere un suo problema. “Una volta era molto comune, oggi tendiamo a specializzarci prima. Per me diversificare è fondamentale. Non riuscirei a fare una cosa sola. Comporre è un’attività che ti spinge a stare molto da solo, ad escluderti dal mondo, a chiuderti nella proverbiale torre d’avorio. Poter cambiare marcia, salire sul podio, sedermi al pianoforte è come andare in vacanza”. In questa logica, l’appoggio di Rattle ha avuto un’influenza fondamentale. “Simon è una persona saggia, sa che per costruire il repertorio moderno devi poter aprire porte, offrire opportunità. La sua è una voce determinante. Prende un pezzo e lo porta in tutto il mondo, trascinandosi dietro il pubblico. Spero un giorno di poter aiutare i giovani ad emergere come lui ha aiutato me”. Ma, da quasi giovane, ha scelto comunque di impostare la fase creativa in maniera tradizionale, rinunciando al computer. “Compongo rigorosamente su carta, seduto al pianoforte. Mi piace il rito, la matita, la gomma, il pentagramma intonso. C’è una dimensione fisica. Comporre è un po’ come scolpire. Strappo un pezzo qui, un pezzo là, li attacco sul muro, alla ricerca del posto giusto dove inserire una frase. A composizione finita, stacco tutto e ricomincio da capo, ma prima faccio imbiancare i muri”. I suoi eroi? “Beethoven, Berlioz, Stravinsky. I soliti sospetti”» (Paola De Carolis, “Corriere della Sera” 15/1/2010) • «All’opera, una scena così non si era mai vista. Non era mai capitato che la primadonna cantasse un’aria intrattenendo con un altro cantante lo stesso genere di rapporto che l’indimenticabile Monica Lewinsky ebbe con l’indimenticato Bill Clinton e che quest’ultimo definì, indimenticabilmente, “non sessuale”: insomma, una fellatio. Succede in Powder her Face (letteralmente, “incipriatele il viso”), l’opera da camera di Thomas Adès [...] il maggiore operista inglese contemporaneo, forse il vero erede di Benjamin Britten. La sua opera debuttò nel ’95 e da allora ha meritatamente girato il mondo [...] Ma è inutile dire che al “succès de scandale” che l’accompagna ha contribuito quella che il suo non meno brillante librettista, Philips Henscher, definisce la “blow-job aria”. Per nulla gratuita, del resto. La vicenda è infatti quella dell’ultimo grande scandalo dell’Inghilterra pre-liberazione sessuale, il famoso divorzio di Margaret, duchessa di Argyll, conclusosi nel ‘63 con una sentenza rimasta celebre negli annali della giurisprudenza e anche del gossip britannici. Al giudice, lord Wheatley, servirono ben 65 mila parole per deprecare le imprese della signora, secondo lui “una donna sessualmente sfrenata che ha smesso di sentirsi soddisfatta dai normali rapporti sessuali e ha iniziato disgustose pratiche sessuali per soddisfare un suo degradato appetito sessuale” (evidentemente, Suo Onore aveva una predilezione per l’aggettivo “sessuale”). Insomma, l’ascesa e la caduta di un’arrampicatrice sociale, una “carriera della libertina” che, dopo essere arrivata alla vetta sposando (in seconde nozze) nientemeno che il duca di Argyll, nome illustrissimo dell’aristocrazia scozzese, precipitò rovinosamente di scandalo in scandalo fino a essere buttata fuori, nel ‘90, dalla suite del Dorchester che occupava senza pagare da anni un conto che era ormai arrivato a 33 mila sterline. Morì nel ’93, dopo aver fatto le delizie, fra amori, avventure, feste, foto hard, amicizie altolocate e impulsi autodistruttivi, di quel genere di giornali che si trovano in tutte le case britanniche ma che, come spiega la lady di un giallo di Agatha Christie, “si comprano per la servitù”. L’opera da camera, per quattro cantanti e 15 strumentisti [...] è infatti costruita come una serie di flashback: la “Dirty Duchess” è ormai declinante e tre dipendenti del Dorchester, che la trattano con malcelata derisione, raccontano le sue prodezze, dagli anni Trenta ai Sessanta. Compresa, come si è visto sopra, quella prodezza lì» (Alberto Mattioli, “La Stampa” 2/4/2010).