Fulco Pratesi, Corriere della Sera 01/04/2010, 1 aprile 2010
IL MIRAGGIO DELL’ENERGIA PULITA E L’OBBLIGO DI RIDURRE I CONSUMI
La pubblicazione annuale del rapporto «State of the World» del Worldwatch Institute (Edizioni Ambiente) ha il merito di sollevarci dai problemi nazionali per immergerci in quelli del Pianeta. Secondo gli esperti che compilano dal 1984 questa anamnesi sulla situazione dell’ambiente, la nostra Terra sta correndo verso il collasso per l’impennata dei consumi che riesce addirittura a superare quella – di circa 80 milioni l’anno – della popolazione mondiale, la quale d’altronde salirà, entro il 2050, a 9 miliardi. Ma già oggi sarebbe impensabile garantire agli attuali 6.8 miliardi di persone un livello di vita almeno simile a quello di Paesi come la Giordania o la Thailandia.
Ad esempio, solo lo 0,7 delle famiglie indiane possiede un autoveicolo contro la quasi totalità di quelle dell’Occidente industrializzato. La nostra Terra potrebbe oggi, se tutti volessero vivere al livello dei cittadini statunitensi, sostenere solo 1,4 miliardi di persone (quelle di un secolo fa). Tutti i giorni, un europeo medio consuma 43 chilogrammi di risorse contro gli 88 di un americano. Nel settore dell’alimentazione a base di carne, giudicata dalla Fao uno dei maggiori responsabili del consumo di suolo, acqua e derrate e dell’inquinamento globale, se un cinese nel 1965 consumava 9,1 kg di carne l’anno, nel 2005 la quantità era già salita a 56 kg (contro i 125 di un americano). Se si dovesse infine sostituire – per combattere il riscaldamento globale – gran parte dei combustibili fossili al fine di mantenere un livello di vita simile all’attuale, si dovrebbero installare infiniti impianti di energia rinnovabile (solare, eolica o biomasse) la cui costruzione richiederebbe spropositate quantità di energia e materiali, aumentando il dissesto, non solo climatico.
Quali i rimedi per rallentare un processo che appare suicida? Innanzitutto sostituire alla corsa verso il benessere materiale comportamenti più sostenibili a livello individuale. E poi attuare politiche più responsabili che uniscano alla contabilità economica classica del Pil una di tipo ecologico. Perché se non si metterà nel conto la natura (dalla rigenerazione dei suoli ai cicli idrici) non avremo più speranze di futuro.
Fulco Pratesi