Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 01/04/2010, 1 aprile 2010
IL CARROCCIO DAI GIRI IN APE AL 13% «BUTTIAMO GIU’ IL MURO EMILIANO»
«All’inizio venivano solo pazzi furiosi. Commercianti rapinati, eccentrici, artisti, vecchi bastiancontrari di paese, ragazzi che volevano fare la rivoluzione. Io ero tra questi. Avevo 18 anni e volevo fare la mia rivoluzione: abbattere il Muro del comunismo emiliano».
Sono le sei di sera, e come d’abitudine nel centro di Reggio in giro non c’è un reggiano; solo stranieri. Angelo Alessandri ora di anni ne ha 40. Da nove è il capo della Lega emiliana, che ha portato dal 3 al 13%. Come premio, Bossi gli ha dato la presidenza della Lega Nord, di cui l’Umberto è segretario. Qui a Reggio, la città più comunista dell’Occidente, la città dei morti che escono dalla fossa a cantare Bandiera Rossa, la Lega è al 15. Quando si candidò sindaco, Alessandri prese il 19.
«Il motivo è proprio questo: a Reggio non ci sono più i reggiani – dice Alessandri ”. Non è stato il destino, ma una strategia precisa. Divieti d’accesso, vigili incaricati di multare a raffica, parcheggi a pagamento ovunque, negozi e bar che chiudono; e centri commerciali che aprono. Li costruiscono le cooperative, all’interno la grande distribuzione è controllata dalla Coop-Nord Est, con le leggi Bersani sono arrivati pure le pompe di benzina e i panettieri. Hanno spopolato le piazze con i campanili e le torri, tagliato le radici, negato una grande tradizione popolare. Vogliono farci dimenticare chi siamo. Il resto l’hanno fatto con l’immigrazione, che spersonalizza il lavoro, mescola tutto, crea paura. E la paura non è solo una percezione. Altrimenti perché non c’è nessuno per strada? Con l’indulto hanno liberato i delinquenti, e gli emiliani si sono rinchiusi dietro le inferriate, con i cani da guardia e i sistemi d’allarme, prigionieri in casa propria. Abbiamo una notte bianca da centomila persone e 364 notti nere».
Racconta Alessandri che «qui il Partito rosso è dappertutto. Se non sei con loro non lavori. Io ero artigiano, risanavo i muri dall’umidità; quando ho cominciato a frequentare la Lega mi hanno tolto tutte le commesse, più di un parente mi ha tolto pure il saluto. Nell’89 son dovuto andare a Milano per prendere la prima tessera; la Lega emiliana non esisteva ancora». Come l’avete costruita? «Per prima cosa siamo andati dai commercianti, dagli artigiani. Poi dai soci delle cooperative. Quindi nelle fabbriche, ovunque ci fosse una vertenza aperta: alla Tecnogas, alle ex Reggiane. All’inizio gli operai ci facevano correre. Poi si limitavano ai fischi. Alla fine hanno cominciato ad ascoltarci. Erano stanchi sia della contrapposizione ideologica con il ”padrone”, sia della moderazione salariale. Come dice un nostro operaio, ”a furia di concertare, ti ritrovi incinto”. Con Rosy Mauro, che adesso è vicepresidente del Senato, arrivammo su un’Ape ai cancelli della Lombardini, la fabbrica delle Br, un posto dove gli operai che lavoravano nei giorni di sciopero venivano filmati con le telecamere e ”sistemati”. Un mese dopo avevamo fatto eleggere nel sindacato interno il primo delegato padano».
La Lega in Emilia è nata attorno a gruppi di «pazzi furiosi». Come i fan del Festival del soul di Porretta Terme, dove veniva a suonare Bobo Maroni con i Distretto 51; adesso a Porretta il ministro dell’Interno è consigliere comunale, al posto di Manes Bernardini divenuto capo della Lega a Bologna (9,6%). Il nucleo forte è quello dei colli piacentini, una terra di solito considerata prossima alla Lombardia ma in realtà molto emiliana, dall’accento ai tortelli; semplicemente, nell’estrema provincia, lontano dai centri di spesa e dalle capitali del modello emiliano, la politica delle radici e dell’identità ha attecchito bene. Così a Bobbio, il paese dell’abbazia, il Carroccio ha il 49%, nel delizioso borgo medievale di Castell’Arquato il 30, a Bettola il paese di Bersani il 35.
A Reggio Emilia, ovviamente, è stata più dura. Ma ora a Viano, sulla collina sopra Scandiano – dove decine di Prodi sono nati e si ritrovano a festeggiare i compleanni – la Lega ha conquistato il sindaco: Giorgio Bedeschi prese la prima volta il 13%, poi il 26, ora il 52. I primi dieci parlamentari leghisti furono eletti in Emilia nel ”94, quando Bossi strappò a Berlusconi gran parte dei collegi del Nord; ma quando il governo cadde, in otto andarono con Forza Italia e restarono soltanto in due, tra cui Giorgio Cavitelli, storico sindaco monocolore di Busseto, culla di Verdi. «A Guastalla, il paese nella Bassa Reggiana dove sono nato, eravamo in sessanta – racconta Alessandri ”. Dopo la rottura con Forza Italia, rimasi solo. Andavo ad aprire la serranda della sede, in corso Garibaldi, e aspettavo: non arrivava nessuno. Ricominciai con i banchetti in piazza».
«Bossi era venuto per la prima volta in Emilia nel ”91. Parlò a Luzzara, nella sala che oggi è dedicata al figlio più illustre del paese, Cesare Zavattini. Zavattini è sempre stato il mio mito, insieme con Guareschi e Gianni Brera, il primo a parlare di Padanìa, con l’accento sulla ”i”. Bossi ci disse che dovevamo portare pure sotto il Po il vento del cambiamento. Sembrava pazzia, ma ora ci siamo, il traguardo è a un passo».
Nel frattempo Alessandri ha fatto carriera: parlamentare dal 2006, è presidente della Commissione Ambiente e Lavori pubblici della Camera. Ma il suo sogno, racconta, resta la «liberazione» della sua terra. «Il modello emiliano è finito. Continuano a tediarci con la retorica degli asili più belli del mondo, e intanto hanno privatizzato i servizi primari, come in Russia. A Reggio avevamo le municipalizzate dell’acqua, del gas, della luce. I padroni eravamo noi, prendevamo le decisioni – una testa un voto ”, gli utili venivano reinvestiti sul territorio e le tariffe erano le più basse d’Italia. Poi hanno fatto le multiutilities, quindi le spa. Non ci hanno consultati né risarciti. E paghiamo acqua, gas e luce il doppio o il triplo di prima».
Dice Alessandri che «la Lega vuole costruire il nuovo modello emiliano. Dal basso. A partire dai piccoli. Microimprese, artigiani, agricoltori: gente stufa del Partito rosso e soffocata dalla banche, con cui va scritto un patto che dia ossigeno ai ceti produttivi. E poi basta costruire: l’Emilia è già abbastanza devastata; eppure a Reggio vogliono fare altre 15 mila case, quando ce ne sono 12 mila invendute. Coinvolgeremo i cittadini: raccomando sempre ai nostri sindaci di tenere i consigli comunali nelle frazioni, di andare due volte la settimana a prendere il caffè con l’intera giunta a casa degli elettori. La nostra fortuna è che l’Emilia è già federalista. Da sempre. Ducati e signorie, gli Estensi e i Gonzaga, i Farnese e i Bentivoglio, i legati pontifici a Bologna e il duca di Modena con il Bucintoro che di canale in canale scendeva sino all’Adriatico; popoli diversi, eppure abituati a convivere. Stavolta Errani ha ancora vinto, sia pure con 10 punti in meno del 2005, perché difende e garantisce il vecchio sistema. Senza Errani, la prossima volta il Muro verrà giù».
Aldo Cazzullo