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 2010  aprile 01 Giovedì calendario

LA LEGA VOLA TRA LE PMI VENETE

Veneto laborioso ma anomalo. Se s’incrociano voto & industria ai tempi della crisi, regionali dell’altro giorno e grandi provincie distrettual/manifatturiere, dove il valore aggiunto dell’industria sul Pil vale oltre il 40%, ecco uscire fuori alcuni dati interessanti.
Dalle Europee 2009 ad oggi il consenso leghista nel trevigiano è schizzato dal 34,3 al 48,5%; nel vicentino dal 33,1 al 38,1; nel veronese dal 33,8 al 36,1; nel bellunese dal 26,9 al 32,8 e nel padovano dal 23,7 al 31,4. Anche nelle provincie più ostili al mantra leghista (e meno industriali) c’è stata un esplosione di consensi: dal 20,3 al 26,1% nel veneziano e dal 18,8 al 22,7 nel rodigino. Uguale e contrario il tracollo degli alleati rivali del Pdl: dal 26,9 al 15,5% a Treviso; dal 28,8 al 25,2 a Vicenza; dal 28,7 al 27,6 a Verona; dal 31,7 al 25,6 a Padova; dal 29,7 al 26,2 a Venezia. Il partito del premier tiene le posizioni 2009 solo a Belluno e Rovigo. Per un cumulativo regionale 2009 che vedeva il Pdl al 29,3% e la Lega 28,4, rovesciatosi nel famoso sorpasso di lunedì pomeriggio: Lega 35,1%, Pdl 24,7.
Insomma nel Veneto dei 13 suicidi in pochi mesi e della subfornitura a rischio moria, della dura vertenza Glaxo e dei 47mila posti di lavoro persi (-2,2% vs una media nazionale dell’1,6), dei 106mila addetti in cerca di lavoro (erano 79mila nel 2008) e dell’esplosione delle ore di cassa (cresciute da 15 a 21 milioni nel primo bimestre 2010 sul 2008), la crisi non ha smosso né eroso voti. Di solito chi governa va sotto con la recessione. Succede in tutta Europa, non da queste parti. Qui l’unica botta di eversione è stato il travaso di consensi pidiellini sulla Lega, ma sempre ben saldi tra le mura della coalizione egemone. Di più. La crisi ha fatto da ulteriore innesco al proselitismo leghista, azzerando l’astensionismo che ha colpito tutti in Italia, Lega compresa (-147mila voti sul 2009 di cui 104mila in Lombardia), ma incredibilmente non in Veneto, dove il Carroccio si fa un baffo dello tsunami economico e addirittura guadagna votanti assoluti (+21mila).
«Il 2009 è stato l’anno della cassa integrazione, il 2010 quello dei licenziamenti», registra il sociologo Gianmario Villalta.
Nella subfornitura metalmeccanica si rischia un taglio di occupati del 20 per cento. Nel vicentino le 1.500 aziende del gioiello pre-crisi dimagriranno presto a 3- 400. Nella trevigiana "Zaialand", dove tra moderno, classico e in stile si produce quasi il 50% del legno-arredo italiano, un cittadino su due ha votato il Carroccio con punte del 70% in alcuni centri minori. Eppure i mercati esteri non decollano ancora dopo 12 mesi di calma piatta: dalla Russia, che per alcuni anni ha assorbito il 70-75%dell’export locale,ai tradizionali mercati occidentali (Usa, Germania, Francia, Austria e Inghilterra). Meno 30-40% negli ordinativi è ancora il profondo rosso più comune lungo lo stradone ingolfato che corre dal quartiere del Piave a Motta di Livenza fino a Pordenone, zeppo di capannoni costruiti solo pochi anni fa coi soldi del vecchio scudo fiscale e oggi abbandonati per la crisi, con la gramigna e le sterpaglie sulle inferriate.
Nella Padova degli imprenditori ciellini ex galaniani che hanno sdoganato il neo governatore verde, dove la metà delle palazzine in vetrocemento di via Savelli sono semideserte per la recessione, dove l’alta provincia vive l’esplosione della cassa in deroga per le pmi e dove un sondaggio pre-elettorale metteva in cima alle preoccupazioni della gente, al 59%, occupazione e lavoro, la Lega ha toccato il suo record storico.
Nel vicentino laborioso dove l’industria vale il 44%del Pil complessivo e la filiera meccanica può contare su oltre 6mila aziende, 70mila dipendenti e 17 miliardi di fatturato di cui il 35% esportato, la produzione industriale in flessione del 3,2% e i 7500 licenziamenti dall’inizio della crisi, non hanno minimamente scalfito la crescita ulteriore del partito di Bossi. Persino nel veronese dei servizi finanziari e del terziario avanzato, ma anche del comparto edilizio piantatosi, figlio di una dispersione abitativa che negli ultimi anni ha dopato il mercato costruendo più case che abitanti, il Carroccio non subisce oscillazioni da crisi. Anzi più picchia la stagnazione, più il Veneto raffina la sua scelta di campo premiando chi già governa molte province e comuni.Senza titubanze.L’opposizione del Pd, non pervenuta.
Perché? Il paradosso "manifatturiero" che ci squaderna l’ultimo trionfo "padano" lo spiega bene Luca Romano, direttore del social area network di Padova: «Anche a differenza degli alleati del Pdl, incapaci nel quindicennio galaniano di costruire una struttura radicata di partito, in questo biennio orribile il Carroccio ha saputo offrire alla gente una serie di interpretazioni alla crisi», ragiona Romano. «I troppi stranieri che diventano concorrenti sgraditi per un certo mondo operaio e salariato nelle piccole imprese; la finanza apolide che droga e poi contamina l’economia reale, e il localismo come ammortizzatore sociale contro l’invasione cinese e il cancro della contraffazione».
Una narrazione certo edulcorata ma resa omogena dalla capacità leghista di presidiare i luoghi della socialità: l’impresa, la canonica, il bar, il patronato, le associazioni sportive e del volontariato. Con il lavoro che sigilla speranze, paure e aspettative. «Un sentimento talmente diffuso, al di là del colore politico», notava ieri sera un neo consigliere regionale zaiano, «che il Pd non ha potuto che candidare esattamente il cantore del laburismo veneto». Il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi?