Marco Livi, ItaliaOggi 1/4/2010, 1 aprile 2010
ANGELO RIZZOLI, CHIEDO SOLO VERIT
«Chiedo solo verità e giustizia. Per questo ho chiesto il risarcimento a Intesa Sanpaolo, erede della Centrale finanziaria (allora del Banco Ambrosiano) che non versò il capitale sottoscritto e agli acquirenti della Rizzoli che presero tutto per un pezzo di pane dicendomi: o accetti queste condizioni o tornerai in galera e da quella galera potresti non uscire più».
E’ quanto ha dichiarato ieri Angelo Rizzoli nel corso di Partita Doppia, trasmissione di Class/Cnbc (televisione del gruppo Class Editori, che partecipa al capitale di questo giornale), trasmissione ripresa oggi anche da Milano Finanza e dedicata a trent’anni di finanza italiana e alla vicenda della cessione del gruppo Rizzoli attraverso gli episodi raccontati da Paolo Panerai, editore di Class Editori, nel suo ultimo libro Lampi nel buio; i retroscena della finanza e dell’economia italiana dal Dopoguerra a oggi.
Angelo Rizzoli ha raccontato ieri l’intera vicenda partendo dal 1974 quando «mio padre acquistò il 100% del Corriere della sera da tre diversi venditori, il gruppo Fiat, il gruppo Moratti e Giulia Maria Crespi pagando una cifra che allora era vicina ai 70 miliardi di lire. In particolare la quota che riguardava la famiglia Agnelli, che era di circa 24 mld per un terzo del Corriere della Sera, subì una postergazione del pagamento di tre anni quindi si sarebbe dovuta pagare nel 77». «Quando arrivammo al 77», ha proseguito Rizzoli, «avevamo avuto il blocco di tutti i finanziamenti da gran parte delle banche del paese che allora, lo ricordo, erano tutte pubbliche. Mio padre acquistando il Corriere della Sera aveva fatto l’incauta promessa al segretario della Democrazia Cristiana, Fanfani, di licenziare Piero Ottone, poi quando vide i risultati di vendita del giornale si pentì di quella promessa, mantenne Ottone» alla direzione «per altri tre anni, ma s’inimicò i potentati politici che poi bloccarono i finanziamenti bancari e il prezzo del quotidiano che allora era stabilito dal Cip, Comitato interministeriale prezzi». Vi fu poi «una corsa al prezzo della carta che dovevano usare i quotidiani e che doveva provenire soltanto da cartiere italiane e quindi a sua volta questo prezzo era stabilito dal governo».
Questa «situazione portò la Rizzoli in una condizione di difficoltà al punto che noi per poter pagare la Fiat dovemmo subire un prezzo onerosissimo con il Banco Ambrosiano», ha continuato Angelo Rizzoli, «l’unica banca che ci fece credito, un prezzo che prevedeva un aumento di capitale di cui l’80% sarebbe andato in pegno allo stesso Banco Ambrosiano. Il 29 aprile 1981 noi, io in particolare, essendo già uscito mio padre, raggiunsi con Roberto Calvi un accordo per cui la Centrale finanziaria generale di proprietà dell’Ambrosiano avrebbe acquistato il 40% delle azioni al prezzo di oltre 115 mld. Una parte sarebbe andata a pagare il pegno, l’altra parte, circa 80 mld, sarebbe andata in aumento di capitale».
«Quei soldi però non arrivarono mai perché quanto ai 95 mln di dollari, pari a oltre 80 mld di lire, andarono dalle tre banche italiane del gruppo ad una società panamense sponsorizzata dallo Ior presso il Banco Ambrosiano Oversea ltd. Da lì il fiduciario di Calvi nella banca mandò questi soldi presso una società che si chiamava Zirca, anagramma di Capitale Rizzoli, presso la Rothschild Bank di Zurigo il cui fiduciario era il direttore della Banca Rothschild, che poi subirà una condanna a 4 anni e sei mesi per questa vicenda. Da lì questi fondi andarono per 30 mln a una società delle Isole del canale presso una banca dublinese, il cui fiduciario era Bruno Tassan Din, mentre gli altri soldi andarono ad altre varie società situate in paradisi fiscali che facevano riferimento a Umberto Ortolani, uno dei personaggi di spicco della P2 e in parte a Licio Gelli. Quanto dico non sono parole ma sentenze passate in giudicato». «Se si va a vedere le testimonianze dei principali dirigenti dell’Ambrosiano, a cominciare dal vice di Calvi, morto di recente, tutto questo viene puntualmente confermato», secondo Rizzoli, e si dice che «questi soldi alla Rizzoli non sono mai stati mandati».
«Quando arriva il Nuovo Banco Ambrosiano chiede alla Rizzoli di rientrare di 70 mld, che era l’esposizione che la Rizzoli aveva nei confronti del gruppo Ambrosiano ma in quello stesso momento, il Nuovo Ambrosiano, in quanto proprietario della Centrale ha un debito verso la stessa Rizzoli di 150 mld di capitale sottoscritto ma non versato e non pagato, quindi un buco finanziario clamoroso provocato da terzi, dalla Centrale e dalle operazioni spericolate che Calvi aveva affidato nell’ultima parte della sua vita a quelli che nel processo per il crack Ambrosiano vengono chiamati i Blu, Bruno Tassan Din, Licio Gelli, Umberto Ortolani che s’impossessano di queste somme. A questo punto la Rizzoli va in crisi, va in amministrazione controllata. Quando io chiedo ai nuovi azionisti del Banco Ambrosiano di versare il denaro del capitale sottoscritto ma non versato mi viene risposto che i soldi sono stati versati e se qualcuno li ha presi la responsabilità è anche mia. Il 18 febbraio 1983 vengo arrestato nonostante fossi malato di sclerosi multipla, trattenuto in carcere per 13 mesi e tutti i miei beni, compreso il pacchetto di controllo del gruppo Rizzoli vengono posti sotto sequestro e messi nelle mani di custodi giudiziari che li venderanno alla cordata formata da Gemina, Meta, Mittel e Arvedi per un tozzo di pane. Ho fatto 13 mesi di carcere, ho avuto sei processi da cui sono uscito completamente assolto la vita mi è stata distrutta».
La Rizzoli valeva comunque più di quanto fu venduta, secondo il finanziere Pier Domenico Gallo, anch’egli ospite di Partita Doppia e all’epoca dei fatti nel nuovo Banco Ambrosiano: «anche se io sono assolutamente convinto della totale correttezza della procedura di vendita credo che la Rizzoli valesse di più. Se il Banco Ambrosiano fosse stato autorizzato da Bankitalia a mantenere la partecipazione in Rizzoli, dopo due anni valeva mille miliardi». Gallo chiese anche a Tassan Din: «come nomina il direttore del Corriere della Sera? e lui mi disse: molto semplice, vado a chiedere a Botteghe Oscure». Anche Panerai ha concordato ieri con Angelo Rizzoli che la cessione avvenne per un tozzo di pane, mentre Carlo Callieri, ex manager Fiat e a.d. di Rizzoli dal 1984 al 1986, ha affermato durante la trasmissione che il prezzo era giusto.
«Dall’amministrazione controllata la Rizzoli uscì malconcia, assai malconcia, perché la verità è che il trio i Blu l’aveva devastata», ha rilanciato Callieri. «L’amministrazione controllata aveva fatto un riassetto molto meritorio ma cambiando» in corsa «perché da una impostazione iniziale che prevedeva di salvare tutto c’era stato un momento in cui si temeva che la Rizzoli, che era più debole, trascinasse a fondo il Corriere della Sera. Allora il commissario giudiziale decise di separare le due aziende e a quel punto ognuna prese il mare per suo conto. La via della salvezza è stata assai complicata e ha portato la non emersione di alcune cose che poi sono venute fuori nel corso della gestione ordinaria».
Marco Livi, ItaliaOggi 1/4/2010