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 2010  aprile 07 Mercoledì calendario

ALDO BUSI

La mia vita senza senso, Antonella Amendola per Oggi, 7 aprile 2010, pag. 22

Radiato dalla Rai, Aldo Busi si consola ritrovando l’affetto dei suoi compaesani a Montichiari. «Queste violette me le regalò mia mamma», mi dice mostrandomi un prato punteggiato di viola, davanti alla bella casa zeppa di quadri e libri. «Sua mamma aveva in casa una madia antica», ricordo al grande scrittore che con Seminario sulla gioventù segnò una generazione di lettori della quale faccio parte con fierezza. Che cosa sarebbe stata la mia vita di trentenne curiosa e spavalda senza la spinta di Busi ad andare oltre, a non temere, a usare i libri come mattoni della propria esistenza?
Aldo, perché è andato all’Isola dei famosi?
«Innanzitutto perché me l’hanno chiesto, trovai la proposta così sfacciata che d’impulso dissi di sì. Per me il lavoro ha una sacralità totale. Sono uno che firma contratti, incrementa l’erario italiano».
Ma immagino che ci siano anche delle motivazioni psicologiche.
«Due, per l’esattezza. La prima: due o tre mesi fa mi trovavo, e forse mi trovo ancora, in una sorta di malia suicidale, disamorato a tal punto del Paese che mi sono disamorato della mia stessa opera scritta in italiano. Mi sembra che sia la nazione che la lingua siano destinate all’oblio».
Lei ha puntato tutto sulla sua scrittura?
«Sì, io nella mia vita ho solo scritto: non ho storie d’amore, matrimoni, figli, detriti esistenzialistici. Pur di scrivere mi sono ridotto a vivere, nel senso che se non vivo non ho materiali per la scrittura».
Quindi lei è entrato in crisi come scrittore?
«A 62 anni, molto amareggiato, stavo ripudiando me stesso in quanto scrittore in una lingua vana che s’impoverisce di anno in anno. Tra cinque anni useranno trecento lessemi per dire niente. La mia opera ha bisogno della partecipazione attiva del lettore, ma chi si avvicinerà ai miei libri?».
Il suo è il malessere dello scrittore che ha forgiato una lingua bellissima e si trova sul baratro verso il quale, mi creda, pencolano tutte le persone che hanno letto un po’.
«Il malessere si riassume in quello che m’ha detto un naufrago: "Ma parla come magni!". Ecco, questo è il Paese. La mia è una crisi estetica, di cui forse s’interessano pochi lettori di Oggi».
Parliamo allora della seconda ragione psicologica, forse più condivisibile.
«Sono troppo spiritoso per suicidarmi. D’altronde la mia vita è diventata troppo ripetitiva per le ragioni prima esposte. Dal 2002 di fatto non scrivo più (a parte i tre racconti col titolo Aaa! usciti da Bompiani). Di notte mi capita d’alzarmi per annotare un sogno, minutaglie. Mi dicevo: ma come faccio io a morire? Sono sano. Tranne il pap test ho fatto tutti i tipi di esame, con risultati funesti, volevo dire ottimi. A un certo punto ho quasi avuto paura dell’immortalità fisica. Ma lo sa che mi capitava?».
Dica.
«Camminavo sotto una gronda e m’è caduta una tegola pesante sfiorandomi i piedi. All’isola è venuta giù una noce di cocco di parecchi chili che m’ha mancato per poco. Dall’elicottero, a otto metri, son saltato giù in un metro d’acqua senza un graffio. Ma la cosa più curiosa è che si stava impennando il barcone nel Rio Escondido, pieno di coccodrilli, e io ho riequilibrato i pesi alzandomi di scatto per afferrare la Galanti che stava cadendo in acqua...».
Questo vuoi dire essere baciati dalla fortuna.
«No. Uno che si mette in testa che a lui non succede niente non morirà mai, vuol dire che vuol morire. A Montichiari faccio una vita senza senso».
Perché senza senso? «Sto qui a proteggere la mia opera da chi la rimuove, cioè un intero Paese: dormo, mangio, vado di corpo e veglio su di essa. Delle volte sa che faccio? Prendo degli aerei per andare a dormire in camere forestiere e spero che svegliandomi di soprassalto, in un luogo che non conosco, ci sia come un cortocircuito mentale e una ribellione alla rassegnazione. Io ho lavorato tantissimo anche alle traduzioni, ma non sono stanco, la mia linfa si rigenera sempre per incanto: senza il ceppo alla mente della fede e della superstizione, senza marce che ti respingano indietro, il mio cervello è un vulcano infinito. Poi c’è un argomento che non so quanto si può affrontare».
Si può affrontare tutto.
«Ho da anni una perdita d’interesse totale per il sesso e mi chiedo come ho fatto in gioventù a cercare il sesso, che tra due uomini è sempre meccanicistico e anaffettivo: cinque minuti e via, senza solidarietà. Alla fine ho un’avversione per la mia stessa carne, perché troppo fresca e reattiva malgrado l’età, per tutti i fantasmi che potrebbe celarmi o le trappole future che mi sta tendendo».
Nessuno ci crederà. La descrivono sempre come uno molto intrigato dal sesso.
«Nella subcultura italiana mi considerano un castrato o un ossesso perché io subisco il fascino delle parole di qualità, gratuitamente profferte, senza finalità, a parte la loro intrinseca, utile, civile bellezza. Le parole per definire, non per ottenere, strappare qualcosa. E invece oggi il sesso è mercé di scambio per ottenere favori. Io non ho mai fatto marchette, ero troppo egocentrico per preoccuparmi, fosse pure per denaro, del piacere e della meschinità altrui».
Mi par di capire che dall’Isola si aspettava uno choc terapeutico.
«Da misantropo malinconico ho pensato che la convivenza, sebbene forzata, potesse aiutarmi. E poi mi piace la signora Ventura, una che
pensa oltre il proprio nasino, che vuol contare come madre e capitana di impresa, che si è assunta la responsabilità di tirare su tre figli da sola».
Lei, secondo me, ha l’animo del pedagogo, i ragazzi li sa tirar su.
«Sì, a me, in paese, hanno sempre affidato bambini da istruire e vigilare, non solo i miei fratelli e mia sorella. Ho tirato su delle nipotine bellissime, responsabili, lavoratrici, compassionevoli, infinitamente più amate da me, e tutta la mia opera è un grido di dolore contro l’infanzia maltrattata, l’adolescenza umiliata e sfruttata. Ma i benpensanti mi giudicano senza neppure aver letto un rigo o essere venuti a Montichiari per sapere in che considerazione sono tenuto io. Magari non sarò amatissimo dai miei concittadini ma altamente rispettato sì, mi conoscono da quando sono nato, ai monteclarensi le frottole mica le racconti impunemente».
Com’erano i 15 naufraghi visti da vicino?
«Un blob dell’Italietta più becera e nostalgica, fascistoide. Tutti di una destra rassegnata, inconsapevole, furbastra. Cercano un padrone che li tenga al guinzaglio. E nessuno di essi, che si professano tanto cattolici, in un mese ha mai fatto un cenno ai Vangeli o a un sacerdote. Leggono tutti l’oroscopo, mica san Matteo».
Non salva nessuno?
«L’unica che vedrò è Claudia. Magari vado a prenderla alla trasmissione, anche se non mi fanno entrare. Ho voglia di abbracciarla. una che sgobba, non è leggera come la descrivono. Da orfana di madre ha tirato su due fratellini gemelli e mi ha chiesto di darle consigli per il loro piano di studi. Non si nasconde dietro né un dito né un paio di tette, per quanto belle. Le altre che fanno le moraliste le comperi tutte, alla fine, lei no. Ho affetto per lei».
La Lecciso com’è?
«Una che rompe le scatole agli uomini chiedendo loro sicurezza. Cammina in punta di piedi, si tocca in continuazione i capelli e perde identità di passo in passo. Stava ore e ore sola in capanna. intelligentissima, peccato le sia mancato il vero affetto di un maestro disinteressato. Poi sa tutti i nomi dei direttori dei giornali, dei giornalisti di gossip. A me è capitato d’incontrare in aeroporto Al Bano e Romina: li vedevo come due emigranti meridionali con le chitarre in mano. Mi facevano sentire il miracolo della coppia, l’amore, che è volontà, progetto, mi suscitavano un rispetto profondo, insieme. I naufraghi non mi hanno fatto sentire niente, sono alla canna del gas, anche gente che calca le scene, sempre più scenette e promozione di talismani farlocchi, da una vita, debiti, sfratti all’orizzonte, carissime ambizioni sbagliate».
Lei cercava di provocarli? Di indurli a parlare?
«Sì, ma mi parlavano solo in segreto, lontano dalle telecamere. Come Federico, che, nella piscina di un albergo di Corn Island, mi confessò che non ne poteva più della gelosia della sua fidanzata Pamela, che nemmeno ci dormiva. Io consigliai che entrambi si liberassero di quel vincolo. Ma quando sull’isola ho fatto il simposio sul tema del leopardiano "pensiero dominante" Federico se l’è data a gambe. Sperava che fossi io a mettere in piazza i suoi problemi, per incolparmi di assurde ingerenze, ma io non mi sono prestato alla sua vol-
pinità».
Adesso è venuto allo scoperto. Lei è uscito dall’Isola dicendo che non c’era più racconto con i suoi compagni di avventura. Come la percepivano?
«Io ero protettivo, parlavo di Cesare Beccaria, della distinzione tra peccato e reato, di quel poco di Illuminismo italiano che abbiamo avuto, ma loro erano interessati solo alle mie rimostranze, delle vere e proprie comiche, contro la Milo che russa come un cingolato e va in giro oscenamente in bikini anche con le telecamere dietro. Ha presente il didietro della Milo? Era un ufo che mi si è piantato in faccia per un mese a ogni risveglio, risveglio si fa per dire, perché chi può dormire con un russare e un culo così nelle costole? Quei poveretti, livorosi, ignoranti, fintamente bonaccioni, mi vedevano come lo scrittore ricco e famoso. Quello che ce l’ha fatta. Loro invece hanno vite grame proiettate verso lo spettacolo e io mi chiedo: come può la televisione incamerare tante aspettative mal riposte? Io non ho vita intima, ma solo pubblica, sono un patriota che chiede agli ingegni benestanti che possono provvedere a se stessi di non abbandonare l’Italia, di non lasciarla andare alla deriva. Quei naufraghi neghittosi sperano nelle serate in discoteca, a mostrare la mutanda sotto il jeans per poco più del rimborso spese, ormai».
SIMONA IN ROSSO
Senza di lei l’Isola m’è parsa un po’ smorta.
«Ho visto il programma solo per motivi professionali: Simona lanciava palle, le mie a parte, che nessuno raccoglieva e rilanciava. Era bellissima col vestito rosso, quell’altra accanto, quell’opinionista, sembrava una povera vecchia serva di scena, le mancava solo il manico dello spazzettone a sostenerle il doppiomento. Le ho mandato il seguente sms: "Sei stata sublime darling, tanto più che nessuno ti ha dato una mano e che il tuo sguardo tradiva la stanchezza di essere sola"».
Ora che farà, Aldo?
«Intanto querelo. Tale Setta, già con una querela in arrivo per un’altra sua trasmissione, ha sostenuto che avrei subito un processo per atti osceni in luogo pubblico a Trieste, che non c’è mai stato nemmeno altrove. Io sono fiero di essere stato processato solo per la mia opera, a Trento, per il libro Sodomie in corpo 11, farsa che finì in un nulla di fatto per reato inesistente. Sono in buona compagnia: Flaubert, Pasolini... Ma quello che m’indigna di più è la storia dell’apologià della pedofilia, veramente assurda».
Racconti.
«Ero al Costanzo show, quindici anni fa. Narravo di una consuetudine tra i contadini delle nostre parti. La mamma fa il bagno al piccolo in pubblico e gli appioppa un bacino sul sesso; un rito apotropaico, pagano, tipo il famoso affresco a Pompei, per invocare la fertilità. Da scrittore prendo la palla al balzo e lancio delle verità sulla sessualità infantile, ma parlando di me bambino, di me che ero già un uomo pieno a 11 anni. Da scrittore io ho la capacità di far venire a galla non solo i cadaveri, ma i sepolcri imbiancati. Da scrittore io posso immedesimarmi in un pedofilo, in un bambino violato, in un genitore tradito dal migliore amico di famiglia o dallo stesso padre, ma questo non significa che io sia tutti loro, io uomo sto fuori, rappresento da scrittore i drammi e i crimini dell’umanità con parole dense, dolorose, che però danno mezzi psichici per far fronte al male assoluto, tutelarsi e, soprattutto, per non indicare un mostro troppo lontano, allorché i veri mostri stanno dentro, accanto a noi. E poi ne approfitto per fare una distinzione netta tra il bambino vittima totale e il minore, spesso complice, perché lo scrittore non può fare di tutte le erbe un fascio ed è solo con i distinguo che si distinguono le vittime vere e i mostri veri e le vittime finte e i capri espiatori. Insomma, in altre parole, si tenta di infangarmi perché ho asserito che c’è un incolmabile abisso d’infamia e di degrado tra la molestia a una bimba di 7 anni e una donna di 17. Oggi tutti lo capiscono, ma quindici anni fa questa linea di demarcazione, ormai entrata e accettata in ogni processo a proposito, era inaccettabile dai bacchettoni e dai difensori, sporchissimi, dei cosiddetti sacri valori. Lei si immagina se io, che mi ritengo e sono ritenuto lo zio perfetto e cittadino adamantino, posso mai legittimare un comportamento così o cosà nei confronti di un bambino, penso che se toccasse a un mio figlioletto di essere molestato avrei una reazione omicida e suicida, come qualunque genitore. Ma da scrittore io devo innanzitutto snidare i fantasmi dei pedofili in agguato, e secondo me sono proprio costoro ad accusarmi nel modo più inconsulto, perché ne ho scoperto la mellifluità e i nascondigli più segreti. Sarebbe come dire che Agatha Christie, poiché scrive gialli pieni di morti ammazzati, è un’assassina».
CHE NAUSEA GLI IPOCRITI
Ma che successe al Costanzo show?
«Bene, si alzò dal pubblico una donna che urlò al mio indirizzo: "Pedofilo". Una cosa senza senso che mi fa più incazzare che soffrire perché per me i bambini, almeno fino a 14 anni di età per entrambi i sessi, sono sacri e intangibili. Personalmente, non dovrei nemmeno dirlo, sono gerontofilo, si può dire sin dalle fasce, mi piacevano gli uomini più grandi di me. Adesso il problema vero è che non mi piaccio tanto nemmeno io, ma mai potrò farmi nausea quanto un ipocrita che sa di esserlo».