Giovanni Caprara, Corriere della Sera 31/03/2010, 31 marzo 2010
IL CERN A UN PASSO DAL BIG BANG
Sembravano le fotografie di fuochi d’artificio meravigliosamente colorati quelle che i computer offrivano con rapidità ai ricercatori, silenziosi, incollati davanti ai monitor con gli occhi sbarrati. Quasi non ci credevano. Ma alle 13.06, dopo tre false partenze, l’incubo scoppiato con l’incidente del settembre 2008 che aveva paralizzato la macchina appena accesa è svanito. Il Large Hadron Collider (Lhc), il più grande acceleratore di particelle atomiche del mondo ha funzionato alla perfezione. I due fasci di protoni sottili come un capello si sono scontrati nel tunnel sotterraneo a cavallo tra Francia e Svizzera dopo essere stati accelerati quasi alla velocità della luce da magneti congelati alla temperatura di 271 gradi sottozero. E i «fuochi d’artificio» erano le tracce delle prime particelle generate dai violenti impatti registrati nei quattro giganteschi esperimenti distribuiti lungo l’anello.
«Per i fisici è un grande giorno’ dice Rolf Heuer, direttore generale del Cern, il grande laboratorio europeo ”. Molta gente ha aspettato questo momento ma la loro pazienza inizia a produrre risultati».
Seimila ricercatori di 37 nazioni faranno a gara per cogliere le opportunità offerte dal nuovo strumento costato 6 miliardi di dollari e che ha portato persino mille ricercatori americani a varcare l’Atlantico perché adesso la frontiera della fisica è a Ginevra. La fuga, almeno in questo campo, si è invertita grazie alla coraggiosa e lungimirante decisione dei Paesi europei che sostengono il Cern, a cominciare dall’Italia.
Il superacceleratore ha raggiunto ieri un’energia di 7 TeV, tre volte e mezza più elevata di quella ottenibile dall’acceleratore americano Tevatron, fino a ieri il più potente al mondo. «Con queste capacità Lhc ci porta a esplorare mondi sconosciuti – racconta con entusiasmo Fabiola Gianotti, alla guida dell’esperimento Atlas – iniziando la caccia alla materia oscura, a forze sconosciute, a nuove dimensioni e soprattutto al bosone di Higgs». la famosa «particella di Dio» che spiega perché le cose hanno una massa, diventata oggetto di sfida proprio con l’acceleratore concorrente Tevatron.
«Arrivando a indagare con l’Lhc i primi frammenti di secondo dopo il Big Bang ci aspettano momenti eccitanti», dice Guido Tonelli che dirige il Cms, l’altro grande esperimento.
La super macchina, nata da un’idea del Nobel Carlo Rubbia, e frutto di uno sforzo tecnologico che ha portato innovazione in vari campi coinvolgendo diverse industrie nazionali, ora sarà utilizzabile dagli scienziati fino alla fine dell’anno prossimo. Poi verrà fermata per un anno consentendo un’opera di manutenzione necessaria per raddoppiare la sua potenza fino a 14 TeV, come previsto.
Dai dati accumulati fino a quel momento arriveranno scoperte importanti. «Finalmente verificheremo teorie di cui si discute da vent’anni, eliminando ciò che si dimostrerà sbagliato – spiega Tonelli ”. Ma dovremmo pure riuscire a cogliere quel corteo di particelle nucleari in cui, forse, si nasconde la particella di Dio». La grande sfida scientifica ha preso il via e nessuno, ieri, davanti ai cancelli del Cern protestava per il temuto pericolo che lo scontro tra i minuscoli protoni provocasse un buco nero e la distruzione della Terra. E mentre nei computer zampillavano fuchi d’artificio il direttore Rolf Heuer brindava con una bottiglia di vino rosso del 1991, l’anno in cui è stato approvato il progetto del superacceleratore che ora rilancia la ricerca fisica garantendo, per almeno un ventennio, la supremazia dell’Europa.
Giovanni Caprara