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 2010  marzo 31 Mercoledì calendario

UN’APERTURA DI CREDITO A COTA NELLA CITTA’ DEL RISORGIMENTO

La prima è martedì prossimo, al Carignano. Nel teatro di Carlo Alberto, oggi diretto da Mario Martone, artista da sempre impegnato a sinistra, va in scena Staseira, «stasera» in piemontese. Show di Gipo Farassino: canzoni in dialetto, cabaret e sei ballerine.
La caduta di Torino nelle mani della Lega non poteva trovare un simbolo più efficace. Gipo Farassino è stato a lungo il proconsole di Bossi a Torino. Anni ricchi per il Carroccio in tutto il Nord, tranne qui: nel ”93 il candidato sindaco Domenico Comino fu eliminato al primo turno, al ballottaggio andarono il comunista Novelli e il riformista Castellani. Oggi la Lega è tornata in Piemonte sulle percentuali, tra il 15 e il 20%, di quando Forza Italia e Berlusconi non c’erano ancora. La Regione che ha fatto l’Italia, e si appresta a celebrare i 150 anni dell’unificazione, sarà governata da un presidente che considera il Risorgimento un mito da riscrivere. Torino, la città degli azionisti e dei comunisti, la capitale dell’intellighentsia progressista – e dell’immigrazione meridionale ”, si consegna al Cavaliere e alla Lega. E la Regione della Fiat si affida al partito che contro la Fiat conduce una polemica ultradecennale. Il partito di Mario Borghezio, sino a due mesi fa molto più conosciuto del vincitore Cota.
Eppure le élites torinesi non sono né sorprese, né maldisposte. A parlare con grandi banchieri e manager, che chiedono sabauda riservatezza, si ricava l’impressione di un’apertura di credito a Cota. Conseguenza anche della fine di una stagione, segnata dall’egemonia culturale prima che politica della sinistra. E più d’uno vede nella Lega non soltanto il partito di raccolta del voto operaio – non a caso a Mirafiori Bersani è stato accolto con freddezza ”, ma anche l’erede del vecchio Pci: sia per il controllo del territorio, sia per l’aspettativa del cambiamento.
«Non c’è il tabù della Lega. Neanche qui a Torino – dice Franco Debenedetti, una vita tra Fiat e Olivetti prima di approdare al Senato ”. Innanzitutto Cota è il meno leghista dei leghisti, il più governativo, il più istituzionale. Il moderatismo cattolico ha preferito affidarsi a lui piuttosto che alla Bresso, nonostante la scelta dell’Udc». Chiamparino, è l’opinione comune, avrebbe vinto. «Ma si sarebbe dovuto dimettere da sindaco, esponendosi a una figuraccia. La verità – sostiene Debenedetti – è che pure il Piemonte risente della tendenza nazionale. Per quanto possa sembrare incredibile, gli italiani credono ancora a Berlusconi. Il Pd non lo vogliono neppure dipinto. Con il Cavaliere, Torino è sempre stata freddina; proprio per questo le classi popolari hanno votato volentieri un leghista».
Non tutti gli intellettuali però accettano la vittoria di Cota; o, meglio, denunciano le responsabilità della sinistra. Per Giovanni De Luna, storico del partito d’Azione, «oggi si consuma il fallimento di una classe dirigente che ha regalato una Regione a una banda di lanzichenecchi». Ieri sera, alla libreria di don Ciotti, De Luna presentava il carteggio tra Bobbio e Viglongo, incentrato proprio sull’identità piemontese. «Bobbio attribuiva grande importanza al dialetto, alle radici, alla cultura locale – spiega De Luna ”. Ma non la concepiva come qualcosa di statico, di definitivo; anzi, per lui l’identità piemontese era fatta dall’accostamento dei contrasti, Gianduia e Alfieri, Gozzano e Gobetti. Oggi tutto questo è finito. Torino era l’altra Italia. Il fascismo la considerava una Vandea: comunisti, valdesi, ebrei, massoni; operai e imprenditori impossibili da domare. Un’Italia moralista, rigorosa, seria, distante dall’Italia profonda, cattolica, conservatrice. Oggi Torino è una città come tutte le altre».
Su questo è difficile dissentire da De Luna. Un tempo Torino era tutta giallina. Oggi è coloratissima. La città non è mai stata così bella, nel vecchio
quadrilatero romano già quartiere degradato si aprono enoteche, hammam, scuole di recitazione, si cena per strada già a marzo attaccati alle stufe a forma di fungo come nelle città turistiche, per tacere dello sballo dei Murazzi. Torino ha cambiato umore e abitudini. Certo pesa meno di un tempo, in termini demografici, economici, politici. «L’eredità del Novecento è arrivata miracolosamente fino a oggi. Ora non esiste più» dice De Luna. La città che all’inizio del secolo scorso era divisa, con il passaggio a livello che Bobbio bambino non aveva il permesso di valicare in bicicletta perché separava la Crocetta da Borgo San Paolo, il quartiere borghese dal quartiere operaio, si era contaminata. «Il lavoro, le sezioni di partito, il sindacato, la fabbrica fordista erano fattori di integrazione. Lo slogan era: ”Alla catena di montaggio siamo tutti uguali”».
La vittoria leghista, secondo De Luna, ha una sorta di antecedente nel 1980, l’anno della marcia dei 40 mila che mise fine alla stagione delle lotte operaie e segnò il ristabilirsi dell’ordine a Mirafiori. «Allora fu il sociale che si organizzò, indipendentemente dalla politica. L’unico politico che si presentò alla marcia, Biffi Gentili, fu fischiato e allontanato. E i 40 mila erano tutti piemontesi, parlavano dialetto, avevano mansioni più qualificate di quelle dei meridionali. Pure oggi la Lega è il sociale che si organizza, e torna a costruire compartimenti stagni, a separare ciò che era unito». Anche De Luna è un immigrato: arrivò alla scuola di Bobbio e Galante Garrone da Battipaglia. «I meridionali votano Lega perché ormai si sentono torinesi, al punto da partecipare ai funerali di Agnelli, ma nello stesso tempo vivono nei quartieri più duri, da San Salvario alle Vallette, dove è più stretta la contiguità con lo spaccio e la delinquenza, gli stereotipi razziali e la paura dell’altro. Che la sinistra, di fronte a una sconfitta culturale di tale portata, se la prenda con Beppe Grillo, è ridicolo».
« vero, la lontananza della sinistra è evidente» dice Evelina Christillin, presidente del Teatro Stabile («ma Gipo Farassino era in cartellone molto prima che si sapesse della candidatura di Cota...» sorride lei) e donna-simbolo delle Olimpiadi 2006. «Ma eviterei di gridare ai barbari alle porte. L’eredità culturale della grande storia torinese per me non è morta: i 150 anni dell’unificazione sono molto sentiti in città, alle lezioni su Bobbio c’è la fila fuori dal teatro. Questo non impedisce ai piemontesi di votare una Lega che peraltro è cambiata, ha moderato il linguaggio, si è data una classe dirigente, rappresenta l’unica forza ancora attiva sul territorio». E il partito più critico verso la Fiat. «Ma Cota in campagna elettorale si è mosso con molta prudenza – racconta la Christillin ”. Ci siamo trovati insieme a discutere di Fiat in tv, a Tetris, e Cota non si è unito alla polemica contro l’azienda assistita, anzi. Non a caso è andato a visitare lo stand Fiat a Ginevra, e ha proposto di riportare il Salone dell’Auto a Torino. La Bresso ha lavorato molto bene, e meritava di più. Ma la mia impressione è che il nuovo governatore sarà rispettoso della tradizione della città e anche del suo establishment».
Aldo Cazzullo