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 2010  marzo 31 Mercoledì calendario

IL MODERATO CHE NON RINUNCIA AL TE’ E ADORA NAVIGARE IN BARCA A VELA

«Giorgio, Giorgio, Giorgio», lo hanno accolto ieri i sostenitori a Ca’ Farsetti improvvisando un tifo da stadio. Un’atmosfera di festa davvero inusuale per il nuovo sindaco di Venezia, candidato vincitore del centrosinistra. Abituato a sentirsi chiamare professore, nelle aule di Ca’ Foscari, dove insegna, o nello studio più blasonato della città ereditato dal grande Feliciano Benvenuti, luminare del Diritto amministrativo, Giorgio Orsoni ha accettato con un sorriso quasi incredulo quel clima di entusiasmo. Ma quando ha preso la parola ha subito fatto capire di che pasta è fatto l’uomo che governerà Venezia nei prossimi cinque anni: «La mia sarà la guida tranquilla e sicura di una città che si rinnova con grande passione e fiducia nel futuro». Con stile ha salutato l’avversario sconfitto Renato Brunetta che lo ha chiamato per congratularsi e ha omaggiato Cacciari: «Un amico, un sindaco che ricorderemo per molto tempo».
Amante dei toni grigi, «non sono un politico di professione ma nemmeno un cantore dell’antipolitica», Giorgio Orsoni è nato 63 anni fa a Venezia, suo padre era un direttore di banca, ha trascorso l’adolescenza a Mestre e si è laureato nel 1972. I suoi collaboratori lo descrivono preciso (lui ammette di essere a volte tanto pignolo «da non riuscire a sopportarmi»), determinato, capace di raggiungere gli obiettivi senza far ricorso all’autorità. Sposato dal 1976 con la signora Agnese (l’unico colpo di testa della sua vita: le chiese la mano poche settimane dopo averla conosciuta), ha tre figli. Adora il tè, che beve caldo ogni giorno e in ogni stagione. Professionista radicato nella città (ieri indossava una sobria cravatta azzurra con una bandierina simbolo della Compagnia della vela, di cui è presidente), il professor Orsoni è stato assessore al Patrimonio nella giunta guidata da Paolo Costa, attualmente è vicepresidente della Fondazione Cini, consigliere della Fenice, membro del consiglio nazionale forense e Primo procuratore di San Marco. Naturale che il patriarca Angelo Scola abbia visto di buon occhio la sua candidatura a sindaco, così come è logico che molti si aspettavano, dopo la vittoria il 24 gennaio scorso delle primarie del centrosinistra battendo con il 46 per cento Laura Fincato e Gianfranco Bettin, un’apertura verso i moderati dell’Udc ma non verso Rifondazione. Lui ha spiazzato molti dicendo di essere l’uomo delle «inclusioni, non delle esclusioni». E per conquistare le simpatie dei Verdi non aveva bisogno di presentazioni, visto che ha fondato uno dei primi master in Diritto dell’ambiente.
Insofferente delle logiche spartitorie, ha detto fin da subito che formerà una squadra di governo formata almeno al 50 per cento da quarantenni. E si è smarcato anche dal mentore Cacciari quando in campagna elettorale ha polemizzato con lui sui commissari: «Una città con troppi commissari governativi è segno di un fallimento dell’amministrazione». Questa morbida determinazione, un programma centrato su tre temi principali, il lavoro per i giovani, l’efficienza della macchina comunale, la riqualificazione del territorio, a cominciare dal rilancio di Porto Marghera e dalla soluzione dei problemi di mobilità (con uno studio sulla fattibilità dell’avveniristica metropolitana sublagunare), sono stati elementi determinanti per il successo. Assieme alla consapevolezza che «questa città non la puoi capire se non ne conosci la storia e se non la guardi dall’acqua».
Dino Messina