MIMMO CÁNDITO, La Stampa 31/3/2010, pagina 21, 31 marzo 2010
NELLA CITTA’ CHE INGOIA LE DONNE (III
puntata vedi frammento 203561) -
Avevamo appena sentito alla radio della nostra auto che nel Lote Lomo, un pezzo di campagna fuori città, era stato trovato il corpo di una ragazza, violentata e strangolata. Con Mike, il vecchio fotoreporter che sa tutto dell’inferno di Ciudad Juárez, eravamo propria sulla pista delle donne che vengono uccise o fatte sparire, e andavamo nella zona più pericolosa di questa città, dietro la storia di una ragazza desaparecida. Ma finiva che quasi ci menavano. O peggio.
«E tu, perché l’hai portato qui, questo pezzo di merda?», aveva subito detto uno avvicinandosi a muso duro a Mike, che, appoggiato al bancone di legno, stava tentando di scucire qualche parola dal barista. Il «caraco de mierda» ero io, che in questo sudicio antro stipato di ragazzi con la faccia dura apparivo stupidamente per quello che sono, un «gringo» che lì non doveva starci, e che faceva domande che, nemmeno queste, dovevano farsi. Eravamo entrati nelle penombra collosa del «El Rincòn» perché qui ci lavorava Alina Consejo Ronda, una ragazza di 19 anni che di giorno faceva l’operaia e la sera arrotondava il salario come «chica de bar». Divideva la sua stanza con un’altra ragazza, anche lei montata fin quassù dalle terre povere del Sud. Juanita è andata alla polizia quando erano 5 notti che Alina non tornava a casa: «Mi hanno detto che cercheranno, ma me l’hanno detto come quando a uno non glie ne frega niente».
A Ciudad Juárez un sociologo ha inventato una parola che prima non c’era, «feminicidio», per dire che questa è una strage delle innocenti.
Siamo filati via dal bar mentre i ragazzi che s’erano fatti zitti all’improvviso, e ci guardavano storto. Fuori, appeso sopra la porta, una sorta di lenzuolo nero diceva a grandi lettere bianche: «Se buscan chicas de barra». Alina era una delle ragazze che avevano risposto a quell’offerta di lavoro.
Un tempo, Ciudad Juárez era una città di divertimento, più o meno come Cuba quando governava Batista; un gran bordello, di bar facili e di casinò che bastava passare il ponte sul Rio Bravo e già sei in Messico. E in più, dall’altra parte del ponte c’è anche Fort Bliss, la seconda base militare degli Usa, con un’infinità di soldati tirati dalla voglia matta di spassarsela se non vanno in guerra. Però poi crearono il mercato libero tra Usa e Messico, e i dollari piombarono qui a palate, allupati dalla facilità di tirar su fabbriche a basso - bassissimo - costo di manodopera. Le chiamano «maquiladoras», si cominciò con i laboratori dove si cucivano i jeans e le camicette che Wal-Mart vendeva a New York e Los Angeles, e ora si è passati alla componentistica dell’elettronica e dell’automobile.
Con le maquiladoras arrivarono anche, a ondate travolgenti dal Sud, treni stipati di braccianti senza terra e di bambini, come nell’Italia degli anni ”50 con la Freccia del Sud, e la città cambiò vita, costumi, identità. Si fece moderna, scattante, industriale, e però obbligata a convivere con il corpaccione contaminato dal suo proprio passato; e questo significava indifferenza alla legge, soldi facili, corruzione dovunque. Mi diceva il sindaco con orgoglio, qualche giorno fa: «La polizia qui ha un organico di 1.600 agenti. Quando sono stato eletto io, gli ho fatto fare, a tutti, test psicologici, esami psicometrici, e patrimoniali, inchieste fiscali. Ne ho dovuto licenziare quasi mille». Ma un giornale, «El Norte», ieri pubblicava i risultati di un sondaggio: il 90% pensa che la polizia è corrotta tuttora.
Se corruzione c’era già al tempo dei bordelli e dei casinò, ora che i cartelli della droga hanno scoperto quanto facile sia il passaggio in Usa attraverso il ponte sul Rio Bravo - di qua Messico e di là, subito, America - Ciudad Juárez è diventata come una Chicago negli anni ”20. Sono 40 miliardi di dollari l’anno, e dieci morti ammazzati al giorno. E le ragazze, quelle che nelle maquiladoras si accontentano di pochi dollari a giornata, finite chissà come. Un migliaio, e forse anche più; scompaiono, che non se ne sa niente. O quando le ritrovano, l’esame autoptico scrive cose angosciose: mutilazioni estreme, stupri multipli, strangolamenti, decapitazioni. Se ne tentano le spiegazioni possibili, forse rituali di iniziazione per le bande della mafia, forse perversioni di potenti protetti da complicità e impunità insormontabili. Ma è un mistero inquietante. Sergio Gonzàlez, un giornalista messicano che ci stava indagando, lo hanno pestato e lasciato a terra per morto; Diana Washingvton Valdès, giornalista americana che lavora a El Paso e sul femminicidio ci ha scritto un libro, ha il divieto dell’Fbi di passare il ponte senza scorta; e Marisela Ortìz Rivera, la sociologa che più si è impegnata a tentare di penetrarlo, questo angoscioso mistero, ora deve muoversi protetta da una scorta federale.
Fuori da Ciudad Juárez, a una decina di chilometri, c’è un cimitero - qui lo chiamano Pantheon - dove in una fossa comune finiscono corpi di chi non è stato identificato, gli uomini, le ragazze. Ieri tirava un forte vento sotto il sole crudo, e al Pantheon c’era la gente di questi giorni di festa. Accanto a una tomba, non lontana dalla fossa comune, una piccola folla stretta addosso a una decina di Suv con i vetri oscurati accompagnava una sepoltura; e tutt’attorno alla tomba, le teste a guardare in alto, una banda di mariachi con sombrero d’ordinanza e grandi chitarre suonava «Cielito lindo» a voce spiegata: «Piccolo dolce cielo/ canta e non piangere/ perché cantando/ i cuori si allegrano». Mike ha detto sottovoce: «Saranno sicuramente narcos».
Quando siamo tornati in città, si passa accanto a un altissimo monumento fatto da un grande arco di metallo, «è il simbolo della porta di Ciudad Juárez», ha detto Mike. Siamo montati su quel rialzo di terra; accanto alla «porta», la sociologa Marisela ha fatto piantare una croce di ferro, su un blocco di cemento che nessuno la possa tirar via. La croce è dipinta di rosa, e ha una scritta a lettere nere: «Justizia».
Soltanto in quello che va di quest’anno, a Ciudad Juárez sono state ammazzate, o sono desaparecidas, 54 donne. 23 soltanto a marzo.Una si chiamava Alina Consejo Ronda.
(3 - Fine)