Martin Wolf, Il Sole-24 Ore 31/3/2010;, 31 marzo 2010
NON IL FONDO MONETARIO IL SALVAGENTE PER L’EURO
«Il tentativo di legare insieme gli Stati potrebbe condurre a un enorme incremento delle tensioni fra di essi. Se così fosse, quello che succederebbe avrebbe tutti gli attributi della definizione classica della tragedia: hubris (arroganza),ate (follia)e nemesis (distruzione)». Così, nel dicembre del 1991, concludevo un articolo sulla corsa affannosa alla creazione di un’unione monetaria. So bene quale impegno abbia profuso la classe dirigente europea per garantire il successo del progetto comunitario. Ma la crisi è profonda: per Eurolandia, per l’Unione Europea e per il mondo intero. Come ha sottolineato Wolfgang Münchau, il Consiglio europeo della scorsa settimana non è stato una soluzione, ma un pasticcio.
La sfida immediata è la Grecia. Da questo punto di vista, i capi di governo hanno deciso che come parte di un pacchetto che comporta un sostanziale finanziamento da parte del Fondo monetario internazionale e una quota maggioritaria di finanziamento europeo, gli stati membri della zona euro sono pronti acontribuire a prestiti bilaterali coordinati. La dichiarazione prosegue: «Qualunque erogazione sarebbe decisa dagli stati membri della zona euro all’unanimità, in subordine a una stretta condizionalità e sulla base di una valutazione da parte della Commissione europea e della Banca centrale europea. L’obiettivo di questo meccanismo non sarà fornire il finanziamento ai tassi di interesse medi della zona euro, ma creare incentivi per ritornare quanto prima al finanziamento da parte del mercato».
La Germania, il paese più potente della zona euro, l’ha avuta vinta. Ma altrove, soprattutto a Parigi e nella Bce, che non vuole che l’Fmi intervenga sulla politica monetaria, il risultato del Consiglio non è stato accolto molto bene. Nicolas Sarkozy, il presidente francese, sicuramente è inorridito al pensiero dell’intervento di un’istituzione che ha sede a Washington ed è diretta da Dominique Strauss- Kahn, uno dei principali candidati a prendere il suo posto all’Eliseo. Ma sarebbe unerrore saltare alla conclusione che siamo di fronte a una vittoria importante dell’Fmi, o anche della Germania. L’
esito del Consiglio europeo appare impraticabile. Per cominciare, sarebbe un programma dell’Fmi o un programma della Ue? Che cosa succederebbe se Fmi e Commissione europea dovessero trovarsi in disaccordo? E non è un’eventualità improbabile. Il risanamento dei conti pubblici accettato dalla Grecia, pari al 10% del Prodotto interno lordo in un arco di tre anni, appare impossibile considerando l’assenza di flessibilità sul fronte della politica monetaria o del tasso di cambio. Forse nessun programma ha speranza di avere successo di fronte a condizioni di partenza tanto sfavorevoli.
In secondo luogo, quante possibilità ci sono che la zona euro agisca all’unanimità a sostegno di un programma del Fmi? Per finire, chi l’ha detto che gli aiuti ventilati saranno effettivamente di aiuto? Il problema immediato della Grecia sono gli alti tassi d’interesse che è costretta a pagare. Offrire liquidità a un tasso penalizzante, in un momento in cui la Grecia non ha accesso al mercato, aggraverebbe il suo problema di solvibilità. E inoltre, per il momento in cui questa assistenza verrebbe fornita, sarebbe decisamente troppo tardi.
Fin qui tutto male. Ma è quando si pensa alle grandi sfide incombenti che vengono davvero i brividi. Uno dei problemi è l’indisponibilità ad accettare il default. E ancora più importante è che le idee della Germania su come dovrebbe funzionare Eurolandia sono idee sbagliate.
Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio europeo, ha dichiarato dopo il vertice che «la nostra speranza è che questa decisione rassicuri tutti i detentori di titoli di stato greci: la zona euro non lascerà che la Grecia vada in bancarotta». Ci sono solo due modi per onorare questo impegno: o gli stati membri si firmano reciprocamente degli assegni in bianco, oppure sottraggono agli stati "peccatori" il controllo delle loro finanze pubbliche ( e quindi della loro sovranità di governo). La prima cosa la Germania non la permetterebbe mai, ma la seconda sarebbe la politica a non consentirla, specialmente nei grandi paesi. Ecco perché la dichiarazione di Van Rompuy appare assurda.
E ora passiamo al punto più importante. Nella dichiarazione della scorsa settimana si affermava anche che«l’attuale situazione evidenzia la necessità di rafforzare e integrare il quadro esistente per assicurare la sostenibilità fiscale nella zona dell’euro e aumentare la sua capacità di agire in periodi di crisi. Per il futuro occorre rafforzare la vigilanza sui rischi economici e di bilancio nonché gli strumenti per la loro prevenzione, compresa la procedura per i disavanzi eccessivi». L’idea dominante qui è che il peggioramento dei conti pubblici nei paesi della periferia sia il risultato di una mancanza di disciplina di bilancio. Questo vale per la Grecia e, in misura minore, per il Portogallo. Ma l’Irlanda e la Spagna hanno bilanci apparentemente solidissimi. Il loro punto debole sta nel disavanzo finanziario del settore privato. stato solo quando il settore privato ha accusato la crisi che è esploso il disavanzo di bilancio. Dal momento che il problema è nel settore privato, e non in quello pubblico, il monitoraggio deve estendersi anche al primo, e non solo al secondo.
Ma le bolle speculative e l’espansione del credito del settore privato nei paesi della periferia sono stati anche il risultato dell’assenza di crescita della domanda reale nei paesi del centro. questo che ha consentito alla politica monetaria della Bce di produrre un tasso più o meno adeguato di espansione della domanda complessiva nella zona euro. Perciò, se cerchiamo la causa di fondo dell’attuale disastrosa situazione dei conti pubblici, ci rendiamo inevitabilmente conto che sono il risultato, in ultima analisi, della centralità accordata a una politica monetaria accomodante, adottata per compensare la fragile crescita della domanda nel centro di Eurolandia e soprattutto in Germania.
Questo dibattito sulla domanda interna e gli squilibri della zona euro non è molto gradito alle autorità tedesche. Fintanto che sarà così, le prospettive per un «coordinamento delle politiche economiche», come scritto nella dichiarazione del Consiglio, sono pari a zero. Ancora peggio: la Germania vuole vedere da parte dei suoi partner un impegno a ridurre il disavanzo di bilancio. La zona euro, la seconda economia mondiale, si avvierebbe dunque a diventare una grande Germania, con una domanda interna cronicamente debole. La Germania e altre economie simili potrebbero trovare uno sfogo attraverso un incremento delle esportazioni verso i paesi emergenti. Per i suoi partner, strutturalmente più deboli, specialmente quelli afflitti da costi anticompetitivi, il risultato sarebbe, nella migliore delle ipotesi, una stagnazione lunga anni. Sarebbe questa la millantata stabilità?
Il progetto di unione monetaria si trova di fronte a una sfida colossale. Non c’è una soluzione facile alla crisi greca. Ma la questione più importante è che Eurolandia non funzionerà come auspica Berlino. Come ho detto precedentemente, Eurolandia potrà diventare tedesca solo esportando l’enorme eccesso di offerta, oppure condannando fette importanti dell’economia della zona euro a una stagnazione prolungata, o, più probabilmente, entrambe le cose. La Germania ha potuto essere tale perché gli altri non erano la Germania. Se Eurolandia dovesse diventare come la Germania, non vedo come la faccenda potrebbe funzionare.
La Germania può imporre la sua volontà sul breve periodo, ma non può sperare che Eurolandia diventi quello che lei desidera. Gli enormi disavanzi nei conti pubblici sono un sintomo della crisi, non una causa. Esiste una via d’uscita soddisfacente a questo dilemma? Per quanto riesco a vedere, no. Ed è qualcosa che fa paura sul serio.