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 2010  marzo 31 Mercoledì calendario

IL SEGRETO DEI GIOVANI SENZA FRONZOLI

La Lega ha stravinto le elezioni regionali e un simile successo richiede una spiegazione che rinunci a ogni semplificazione. La Lega si afferma nella parte più produttiva del paese, in una delle zone più ricche d’Europa e del mondo non perché razzista e secessionista. In Veneto alle politiche del 2006 aveva l’11,1% dei voti, oggi ha il 35,15% e un raccolto tanto copioso in un solo quadriennio non è certo il frutto di una propaganda impostata su questi temi di rottura: evidentemente c’è dell’altro.
La Lega vince perché ha costruito negli anni una classe dirigente giovane, ma con esperienza e competenze di governo, integrata nel territorio e forgiatasi nelle amministrazioni locali: tra Roberto Cota, Luca Zaia, Flavio Tosi e Giancarlo Giorgetti,il più anziano è quest’ultimo, classe 1966, in Parlamento da 14 anni, per la gerontocrazia italiana ancora un virgulto. Comunicano l’idea di persone concrete, serie, con pochi fronzoli, che fanno quello che dicono; guardiamoli per un attimo tutti insieme, sono 4 "ragazzoni" dai visi, dagli sguardi, dai guizzi molto italiani e assai rappresentativi di un pezzo profondo e antico del nostro paese. Tra gli anni Settantae i primi Ottanta li avremmo visti affacciarsi rampanti alla politica tra il Psi di Craxi e la Dc dei Rumor, dei Bisaglia e degli Scalfaro, quella Dc che dragava, filtrava e selezionava in una cornice nazionale e cattolica gli umori e gli interessi che oggi loro rappresentano senza mediazioni e con un dinamismo allora sconosciuto, si direbbe puritano.
La Lega si afferma poiché intercetta i voti in uscita dal Pdl sfruttando la crisi della leadership di Berlusconi e la realtà di un partito del predellino che non è mai veramente decollato. Bossi è, come sempre, abilissimo a spostare l’attenzione verso la sinistra con l’ormai consunta retorica del voto operaio, ma i dati sono inequivocabili: il Pdl è andato male (meno 7% dei voti rispetto al 2008), la Lega ha sfondato al nord, il Pd tiene e dunque è difficile immaginare ipotetici travasi elettorali dall’opposizione al governo. Queste elezioni dicono una cosa sola e ampiamente prevedibi-le: chi in futuro vorrà vincere a destra le elezioni dovrà passare al nord per un’alleanza con la Lega. Nell’attuale sistema Bossi si è conquistato una posizione di controllo invidiabile, simile a quella di Craxi negli anni Ottanta e ora, è facile prevedere, incomincerà anche lui a parlare di "grande riforma". Va riconosciuto che se l’è meritata con atti di coraggio che forgiano un autentico leader politico: tra il 1994 e il 1995, resosi conto che Berlusconi si stava annettendo il suo partito per via parlamentare, ebbe la forza di uscire dal governo, di consegnare nel 1996 l’Italia al centro- sinistra per cinque anni, nella consapevolezza che, se Berlusconi e Fini avessero voluto riconquistare il governo, sarebbero dovuti tornare a prendere il caffè con lui, ma con al-tri rapporti di forza, tutti a suo favore. Per compiere simili operazioni servono determinazione e convinzione ideale non comuni: tenere un partito unito dal governo è facile, portarlo deliberatamente all’opposizione per difenderne l’identità è una prova del fuoco.
La Lega prevale in quanto riesce a incarnare il perduto slancio riformatore di Berlusconi, proponendo una mescolanza di localismo culturale identitario e di protezionismo che rassicurano una delle realtà a globalismo economico più avanzate in Europa. La Lega promette di coniugare la comunità del rancore, basata sull’invidia sociale, sull’esclusione del debole, sulla paura del diverso,con l’individualismo proprietario, la famiglia, le tradizioni di lingua e di valori. Si pensi solo al federalismo fiscale: una bandiera tecnico-economica difficile da sventolare, ma che diventa persuasiva nel momento in cui si trasforma in un messaggio chiaro: se voti Lega, i tuoi soldi resteranno qui; se voti Lega, sarai padrone a casa tua. Sono temi che incarnavano il populismo di Berlusconi ai tempi del "meno tasse per tutti" e che gli sono stati sottratti progressivamente insieme con l’idea di semplificazione amministrativa e antistatuale.
Tutto ciò ha un ideologo silenzioso e pragmatico, perché in politica il futuro non ha bisogno di troppe parole:il ministro dell’Economia Giulio Tremonti che scalda i motori in quanto è il fondatore, il garante e l’erede di quel patto tra ceti produttivi del nord e persegue un suo progetto di premiership, se e quando lo vorrà Berlusconi il quale intanto già dichiara di sentire al nord la Lega «come se fosse il mio partito, con Bossi ci metteremo d’accordo su tutto». Al sud ci penserà, come sempre, il Pdl.
La Lega vince perché ha saputo trasformarsi nel corso del tempo grazie a una non comune duttilità politica, adattando gli obiettivi ai mezzi e alle opportunità per raggiungerli. Eppure, il progetto della Lega propone un’idea di paese forte eancora coerente con i suoi programmi originari che può trovare numerosi e imprevedibili interlocutori anche nel meridione per la sua seducente miscela di populismo, localismo e leghismo antipartitico. Una secessione dolce e di fatto, per via elettorale, che insegue la stella polare del modello federale catalano. Non sembri un paradosso, ma la cultura leghista può avere una funzione di amalgama nazionale e assorbire la destra tradizionale con l’idea di tante piccole patrie, la rottura dei vincoli tributari e delle solidarietà fiscali, il contrasto ai corpi intermedi in nome della lotta al parassitismo. Conquistare lo stato promettendo di disgregarlo, corrodendolo dal di dentro, gradualmente.
Può non piacere, ma è la realtà con cui si è chiamati a confrontarsi che sarebbe bene non sottovalutare o pensare di riuscire a riassorbire nel quadro dell’attuale sistema di equilibrio fra i partiti, senza una proposta politica forte e alternativa e una leadership che entri in quel blocco sociale in nome dell’Italia, della Costituzione, della solidarietà, della sfida liberale e riformista.