Marco Ludovico, Il Sole-24 Ore 31/3/2010;, 31 marzo 2010
PRESIDENZIALISMO SOLO CON IL FEDERALISMO - Sì
al presidenzialismo se passa la riforma federale. Per il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, la questione va messa in positivo: «A noi preme la riforma dello stato. Federalismo fiscale, quindi, e più poteri a comuni, province e regioni, meno al governo centrale». All’indomani delle elezioni regionali, Maroni considera un «risultato storico» quello «raggiunto dalla Lega». E traccia le prospettive di lavoro «dei prossimi tre anni: perché, fuori dall’assillo elettorale, possiamo fare davvero le riforme».
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiede ancora una volta che siano condivise.
Adesso si possono e si devono, credo, fare in questo modo.
Non bastano gli auspici, però. C’è un percorso concreto?
Vorrei suggerire il «modello Viminale» che proprio oggi (ieri per chi legge, ndr), al Senato, ottiene l’ok all’unanimità, maggioranza e opposizione, sull’istituzione dell’agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. Alla Camera ha già avuto analogo consenso.
Qual è l’arcano di questo metodo?
Nessun segreto: una proposta del governo, discussa e modificata in parlamento. Con grande concretezza. In questo modo abbiamo realizzato una struttura unica al mondo.
Converrà, ministro, che se si parla della riforma della giustizia o del federalismo, non è così facile.
Io sono ottimista e ci sono anche i tempi necessari per processi di questo genere. Poi, nel dibattito si capirà chi ci sta e chi no.
La Lega mette al primo posto il federalismo: riuscirà a condurlo in porto?
Lo scenario è cambiato e le vittorie in Piemonte e Veneto sono strategiche, direi decisive. Roberto Cota e Luca Zaia saranno i primi a dare attuazione al federalismo. Anche perché, come in ogni parto, c’è chi spinge e chi deve aiutare a estrarre il nascituro. Le due regioni che abbiamo conquistato avranno quest’ultimo compito.
Cambiano anche gli equilibri nella Conferenza stato regioni.
Mi auguro che il prossimo presidente della conferenza appartenga alla maggioranza. Comunque, ormai siamo quasi alla pari e potranno venir meno o ridursi certe posizioni pregiudiziali a priori, frutto solo di scontro politico.
Qual’è il ruolo del Viminale per il decollo dell’attuazione federalista?
L’ordine di scuderia è fare un gioco di squadra, così come è già stato finora, con il ministero delle Riforme, guidato da Umberto Bossi, e quello della Semplificazione, con Roberto Calderoli.
Ma i decreti attuativi a che punto stanno?
Sono quasi pronti.
Nel Pdl, intanto, torna la spinta per introdurre il presidenzialismo.
l’altra faccia della medaglia delle riforme. Va bene qualunque cosa, se passa la riforma federale. Si tratti dell’elezione diretta del premier o del presidente della Repubblica, la priorità per noi è la revisione della forma di stato. Più poteri agli organi di governo del territorio, meno a quello centrale.
Il Pdl ha altre priorità, ma in ogni caso: il risultato elettorale sposta i rapporti di forza con la Lega?
No. Non c’è mai stata e non ci sarà una discussione in questo senso.
Gianfranco Fini dice: sia il Pdl a dettare l’agenda, e non il Carroccio.
C’è un patto di governo tra noi e il Pdl.Nessuno detta l’agenda all’altro.
Intanto Luca Zaia deve lasciare il ministero dell’agricoltura.
Anche il successore deve essere un leghista?
Zaia è stato il miglior responsabile di quel dicastero. La Lega è la garanzia di un buon governo. Decideranno, comunque, Bossi e Berlusconi.
Il leader del Carroccio, poi, prenota il posto di sindaco di Milano.
Abbiamo davanti un anno. E non sarebbe la prima volta della Lega a palazzo Marino, visto che c’è già stato Marco Formentini.
A chi dovrebbe toccare, stavolta?
Un fatto è certo: nelle nostre fila è cresciuta una generazione di amministratori locali capaci, concreti, determinati, in grado di rispondere alle esigenze del territorio e, sottolineo, persone per bene.
Un esempio per tutti?
Flavio Tosi, primo cittadino di Verona. Perciò, siamo pronti anche per guidare Milano.
Difficile, del resto, che nel 2011 manchino i consensi alla Lega. Ma tornando a queste elezioni, come spiega il risultato?
Per la Lega, è proprio la risposta a scelte di concretezza e di determinazione. Quelle sulla sicurezza, l’immigrazione e la lotta alla mafia, per esempio. Senza indugi, incertezze o marce indietro.
stata sconfitta la linea di opposizione rilanciata più volte da Fini sugli stranieri?
Il presidente della Camera ha firmato la principale legge sulla materia, la Bossi-Fini. Poi, lui ha una posizione diversa da quella della maggioranza su un aspetto specifico, cioè la cittadinanza.
L’esito delle urne alle regionali, secondo lei, è dunque anche una legittimazione dell’azione di governo.
Mi pare difficile negarlo. Nonostante tutte le accuse più incredibili, come quella di essere collusi con la mafia, i cittadini ci hanno premiato. Un’altra risposta chiara è stata la sconfitta del candidato Pd alle provinciali dell’Aquila: al di là del cosiddetto movimento delle carriole, i nostri sforzi e il nostro impegno per la ricostruzione sono stati apprezzati .
Però il sottosegretario Castelli ha perso la corsa a sindaco di Lecco. E Renato Brunetta non ce l’ha fatta a Venezia, accusando il Carroccio di non averlo votato.
Con Brunetta abbiamo fatto il nostro dovere lealmente come sempre. Mi dispiace per la sconfitta di Roberto Castelli: purtroppo il suo carisma e la sua energia non sono stati sufficienti. Siamo stati puniti perché la coalizione che non ha saputo governare è andata in crisi, ma il motivo della sconfitta è assolutamente locale».
In ogni caso, ministro, un livello di astensione alle elezioni mai così alto chiama in causa tutti. Esecutivo compreso.
Ho detto fin da subito che il fatto mi preoccupa. Sulla disaffezione dei cittadini dobbiamo riflettere tutti. Va da sé che, visti i risultati, il fenomeno certo non ha toccato la Lega.
Ma è stata comunque una risposta molto critica e trasversale ai partiti.
Non ha avuto, però, l’effetto francese che ha punito il governo di Sarkozy. Sono state smentite certe solite previsioni, che ipotizzavano avrebbe favorito l’opposizione.
Riconoscerà, come ha scritto ieri il Sole 24 Ore, che si è trattato di una delle più brutte campagne elettorali.
Adesso siamo fuori dalle scadenze ravvicinate delle urne e, ripeto, abbiamo tre anni davanti: con la calma, la forza e la lucidità, spero, per recuperare la disaffezione dei cittadini.
Occorre fare i conti anche con un sistema di imprese, come quello italiano, che attende da anni riforme efficaci.
La nostra avanzata anche nelle regioni "rosse" lo dimostra: il ceto produttivo ha capito che le scelte della Lega sono valide. Vorrei ricordare che per ceto produttivo noi consideriamo sia i datori di lavoro, sia i lavoratori, due soggetti che non devono sentirsi contrapposti. Bossi lo scrisse 15 anni fa, parlando anche di ceto parassitario.
Vale a dire?
Le imprese che accedono alle sovvenzioni statali. Per questo, quando ero al Welfare, ho introdotto la cassa integrazione in deroga, per le aziende con meno di 15 dipendenti.
L’economia del Nord,in particolare, vede la presenza di numerose fondazioni bancarie. I leghisti sono pronti a entrare?
Sì. Ma non si tratta di un’occupazione di poltrone, non ci interessa il manuale Cencelli. In gioco, invece, dobbiamo mettere l’uso di ingenti risorse non per destinarle ad acquisizioni societarie o altre speculazioni finanziarie, ma per investire sul territorio.
Proviamo a fare un esempio concreto.
Ce n’è già uno recente. In Lombardia la fondazione Cariplo, d’accordo con il Viminale e una provincia che per ora non posso citare, hanno stretto un accordo: la fondazione acquisterà un bene confiscato, necessario alla provincia per fini pubblici, e lo darà all’ente, che non lo avrebbe potuto comprare.