NICOLA LOMBARDOZZI, la Repubblica 31/3/2010, 31 marzo 2010
LA PAURA DEI CAUCASICI IN CITT "ADESSO SIAMO TUTTI NEL MIRINO"
Mosca - Non li vedi più, si nascondono. Hanno paura della polizia che non ha più l´aria di fare sconti, della gente che a volte ha reazioni inconsulte, violente. Le migliaia, milioni per le statistiche ufficiose, di immigrati del Caucaso evitano di farsi vedere in giro per le strade di Mosca. I "musi neri" come li chiamano nella capitale hanno scelto di rimanere in disparte nel giorno del lutto e del ritorno ufficiale della paura del terrorismo. Molti banconi vuoti ieri mattina al mercato dei vestiti intorno allo stadio Luzhniki, tra le ceste di frutta del Dorogomilovskij. Pochi negozi di kebab aperti; raro, quasi scomparso, il ritmo martellante della Lezghinka, la danza caucasica più amata, che echeggiava forte fino a lunedì mattina dalle case e dalle auto nei quartieri periferici di Timiryazevka e Otradnoe o vicino alla grande moschea di Prospekt Mira. Nessuno che si fermi a parlare con uno straniero, tantomeno con un russo che non conosce.
I pochi che si avventurano in metropolitana sanno di essere destinati a perquisizioni e mini interrogatori da parte degli agenti e di concentrare su di sé gli sguardi preoccupati di migliaia di viaggiatori. L´episodio di lunedì sera, il pestaggio di due donne velate da parte di un gruppo isterico di passeggeri alla stazione Kuznetskij Most, ha suggerito prudenza, almeno per le prossime ore. E il popolo invisibile dei caucasici di Mosca ci mette poco a scomparire. Non esiste un quartiere di riferimento, un posto preciso dove cercarli, la maggior parte di loro sono immigrati illegali e non esistono nemmeno sulle carte della polizia. Secondo i registri del Comune in città ci sarebbero 300mila ceceni, 50mila daghestani, non più di 100mila tra circassi, kabardini, ingusci. Ma le cifre reali sarebbero almeno cinque volte più alte. Arrivati nella capitale per raggiungere i familiari, per cercare fortuna nei racket della malavita organizzata, o più semplicemente per trovare lavori saltuari presso i corregionali appellandosi alla fortissima solidarietà di clan. Una rete naturale perfetta per chi da quelle montagne lontane volesse arrivare in città per organizzare ogni sorta di attentati. Tutti i caucasici di Mosca hanno amici, parenti, che vivono in quello che il cosiddetto Bin Laden del Caucaso, il super ricercato Doku Umarov, ha proclamato come suo Emirato. Difficile dirgli di no in caso di una richiesta pressante. Gli invisibili lo sanno e hanno paura.
Già otto anni fa, nei giorni che seguirono al massacro del teatro Dubrovka conobbero la rabbia feroce della gente, le incursioni di bande di skinheads, perfino il linciaggio a morte di una "muso nero" inseguito, picchiato e finito da un gruppo di ragazze a colpi di tacchi a spillo sul cranio. Per questo preferiscono restare nell´ombra per un po´ aspettando che i loro rappresentanti più forti e potenti ristabiliscano il vecchio equilibrio e plachino le acque. La comunità dei caucasici può infatti contare su gente che ha un certo peso e sta già brigando per calmare le ansie di successi investigativi da parte della polizia. Dall´oligarca Ahmadov, ceceno, proprietario di una catena di officine e di distributori di benzina, all´altro ceceno Umar Dzhabrailov titolare di alberghi di lusso nel cuore della capitale, e tutta una rete di piccoli e grandi imprenditori al limite della legalità, abilissimi nel distribuire mance pesanti a poliziotti e funzionari comunali, per poter gestire case da gioco più o meno autorizzate, distribuzioni alimentari, negozi di parrucchiere, saloni di bellezza.
Non a caso proprio i rappresentanti ufficiali della comunità hanno chiesto chiaramente a poche ore dalle esplosioni che il governo non ritorca contro di loro la frustrazione e il dolore per le stragi. Hanno molto da temere e molto di più da nascondere: licenze commerciali illegali, permessi di soggiorno inesistenti, un´evasione fiscale senza limiti e perfino l´abitudine tribale, tollerata da molti poliziotti compiacenti, di andarsene in giro armati minimo di un coltello, spesso con un´arma da fuoco. Un equilibrio delicatissimo che è difficile far saltare brutalmente. Per questo in tanti aspettano come una liberazione la notizia di un blitz lontano, laggiù nel Caucaso, di un clamoroso arresto che possa rimettere tutto a posto agli occhi del mondo e far ripartire le note della Lezghinka.