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 2010  marzo 30 Martedì calendario

Mazzini nel volume di Della Peruta • Nella lettera a Carlo Alberto (maggio-giugno 1831, vedi scheda 203

Mazzini nel volume di Della Peruta • Nella lettera a Carlo Alberto (maggio-giugno 1831, vedi scheda 203.796) «accanto a spunti già enunciati in precedenza (la legge del progresso, la "santità del martirio", la superiorità dell’"universale" sintetico sul "particolare" analitico, la potenza dell’"opinione") Mazzini formulava per la prima volta motivi ideologici che avrebbero poi rappresentato elementi centrali del suo sistema, come l’unità di pensiero e di azione («"or siamo a’ tempi ne’ quali... il pensiero, e l’azione son uno") e l’individuazione delle forze vitali, progressive della società: il genio, "scintilla di Dio", che pensa e dirige; la gioventù (implicitamente intesa come gioventù delle università e ceto intellettuale avanzato), che "interpreta il pensiero e lo commette all’azione"; e la plebe, "tumultuante per abito, malcontenta per miseria, onnipotente per numero". Va inoltre rilevato che il rapporto istituito tra le forze motrici dello sviluppo storico conteneva già in nuce, come si può notare, quella concezione del ruolo di mediazione tra Dio e popolo (le "moltitudini", oscillanti e bisognose della guida dei pochi, delle "anime di ferro") spettante al genio, agli uomini eccezionali, alle "intelligenze", che sarebbe poi stata un punto caratterizzante della visione mazziniana della democrazia, che non era di certo quella di una democrazia spontanea e liberamente svolgentesi dal basso verso l’alto, ma quella di una democrazia guidata, che insisteva sul momento necessario dell’"autorità" attribuita ai migliori per "genio" e "virtù". Che a ben guardare sono poi motivi nei quali è avvertibile l’influenza delle teorie della scuola sansimoniana ecc.» (64-65). • Primo statuto della Giovine Italia (giugno 1831): «La Federazione della Giovine Italia ... ha per iscopo: 1° La Repubblica una, indivisibile, in tutto il territorio italiano, indipendente, uno e libero. 2° La distruzione di tutta l’alta gerarchia del clero e l’introduzione di un semplice sistema parrocchiale. 3° L’abolizione di ogni aristocrazia e di ogni privilegio che non dipenda dalla legge eterna delle capacità e delle azioni. 4° Una promozione illimitata dell’istruzione pubblica. 5° La più esplicita dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino"» (70). Per iscriversi bisognava essere Italiani con meno di 40 anni d’età. Federati semplici e federati propagatori, «dato che la natura ha creato gli uomini diversi "dando cuore agli uni, senno e cuore agli altri"». Influsso del Bianco e rapporto con gli Apofasimeni in 71-72. Obbligo di «"spegnere col braccio ed infamare colla voce i tiranni e la tirannide politica, civile, morale" rinnegando ogni suo particolare interesse"; dal canto suo il milite apofasimeno giurava di "screditare colle parole, e cogli scritti... tutti coloro che sono partigiani della tirannia d’Italia" e di entrare nella società senza alcuna intenzione di favorire il proprio "interesse particolare". Identico era poi l’obbligo [...] di munirsi di fucile e cartucce"». • In "Dilucidazioni morali allo Statuto della Giovine Italia (in genere ritenuto del 1833, ma che FDP colloca alla fine del 1831) si sostiene che «"per produrre vivissimo nel popolo il desiderio della rivoluzione conviene infondergli la certezza che la rivoluzione si tenta per esso"» fino a proporre «"un sistema che s’appoggi sull’eguaglianza"». Fine dell’ereditarietà (ma non sul piano economico): «"Quando il potere è ereditario e nelle mani d’un solo, non v’è libertà durevole mai... Quando il potere è ereditario, gli acquisti del primo fruttano al secondo"» (74) • Stesso concetto («"Bisogna dunque convincere i popoli che quand’essi avranno sparso il sangue degli oppressori d’Italia, si troveranno a miglior partito"») nella lettera dell’8 ottobre 1831 a Ippolito Benelli (74-75). • Nell’"Istruzione generale per gli affratellati" «la teoria dei diritti cedeva definitivamente il campo alla legge del dovere, la Giovine Italia era sublimata da setta o partito in "credenza" e "apostolato", in associazione "educatrice", in "religione" della rigenerazione italiana». Idea di progresso. Distinzione tra stato dell’insurrezione e rivoluzione vera e propria (vedi Bianco). • Negli articoli apparsi sulla rivista "Giovine Italia". Marzo 1832: puntare sulla gioventù «"concorde, serrata a una lega di pensieri e fatti magnanimi"», «"oblio di ogni affetto individuale"» ecc. Contrapposizione con gli uomini del passato che «pretendevano di arrestare il progresso nei ristretti limiti del "giusto mezzo", incarnato nella monarchia censitaria di Luigi Filippo». «La responsabilità dei precedenti fallimenti ricadeva sui vecchi dirigenti, e non sulle masse. A suo giudizio infatti le moltitudini oppresse e sofferenti, "conculcate dall’aristocrazia, immiserite dai dazi, dalle imposte, e dalle dogane, dissanguate da’ frati" anelavano ad un cambiamento profondo [...] Nella realistica valutazione di Mazzini il "barbaro" per il contadino o l’artigiano non era tanto il soldato straniero, quanto l’esattore dei tributi, il doganiere, il birro, strumenti immediati dell’oppressione; e più che della privazione dell’indipendenza le masse si dolevano della tassa prediale, delle gabelle, della carta bollata, della coscrizione, delle mille vessazioni "d’un insolente potere, d’una esosa aristocrazia", della mancanza di ogni diritto politico [...] i giovani rivoluzionari avrebbero dovuto calarsi nelle viscere della questione sociale [...] respingendo qualsiasi tentativo di "privilegio"». E però non «va dimenticato che il richiamo ricorrente agli interessi materiali delle masse discendeva pur sempre dalla constatazione di una realtà che al genovese riusciva dolorosa, quella dell’"ilotismo politico delle moltitudini", che non potevano essere mobilitate, come sarebbe stato preferibile, soltanto con motivazioni ideali" [...] le nazioni si rigenerano cioè materialmente soltanto dopo che si è conclusa la loro rigenerazione morale [...] l’intervento delle masse nella lotta rivoluzionaria, sotto la guida ed a fianco dei giovani e degli uomini del ceto medio, era auspicato da Mazzini anche per dare al movimento un carattere di concordia generale, così da ridurre al minimo i contrasti e le lacerazioni interne e togliere alla rivoluzione le asprezze della guerra civile, realizzando gli intenti "senza gravi perturbazioni, senza spoliazioni, senza inutili carneficine"; che se invece la rivoluzione, da esplosione unitaria contro l’oppressione domestica e straniera si fosse confertita in "guerra di classi", o sarebbe fallita, o si sarebbe sostenuta a prezzo di inaudite violenze e di nuove tirannidi. Ed è in questa prospettiva di concordia nazionale che avveniva una significativa oscillazione di significato del termine "popolo"m che tendeva ad indicare sempre meno l’insieme delle classi inferiori, dei ceti più numerosi e più poveri, e sempre più la "grande unità che abbraccia ogni cosa [...] "Abborriamo del sangue fraterno; non vogliamo il terrore eretto a sistema; non vogliamo sovversione de’ dritti legittimamente acquistati, non leggi agrarie, non violazioni inutili di facoltà individuali, non usurpazioni di proprietà" affermava in implicita polemica col Buonarroti». (81-85). Debolezza nella definizione del concetto di "associazione" (86-87). «La cesura tra obiettivi finali e strumenti per la loro realizzazione pratica risulta poi confermata dalla constatazione che negli scritti ideologici e programmatici mazziniani di quegli anni le campagne italiane non avevano alcun rilievo particolare [...] Mazzini non aveva allora, e l’ebbe neppure in seguito, una conoscenza approfondita dell’articolato mondo rurale italiano, fatto in larga parte di contadini senza terra, di coloni e mezzadri soffocati da patti angarici e semifeudali, di salariati e braccianti sempre alle prese con la miseria. Mazzini sottovalutava inoltre il peso che l’aristocrazia terriera e la grande proprietà fondiaria avevano nella struttura agraria del Paese, e quindi poteva affermare, come faceva nel 1833, che in Italia l’elemento aristocratico era debole e ormai affratellato con il popolo, o sostenere (l’asserzione è del 1839) che nella penisola trionfava l’eguaglianza, e non quella giuridica, ma quella della "costituzione sociale", perché non vi era "servitù feudale, non concentramento di proprietà territoriale in poche mani". [Considerava] l’Italia come un paese abitato in prevalenza da contadini piccolo-proprietari». Conosceva meglio la questione agraria polacca e russa (87). «Ma nell’esitazione di Mazzini [...] entrava anche per qualche parte l’impostazione da lui data al problema delle "forze motrici" della rivoluzione. A suo giudizio la rivoluzione doveva essere realizzata dall’azione congiunta dei ceti borghesi e delle classi popolari, indispensabili gli uni e le altre al vittorioso coronamento del moto risorgimentale; e fu una convinzione costante [...] che le forze popolari, nonostante la loro massa d’urto e la loro potenziale energia, non erano in grado di portare a compimento da sole il risorgimento ed avevano perciò bisogno della direzione degli "intelletti" della classe media, perché l’iniziativa delle grandi battaglie rivoluzionarie non saliva dal basso verso l’alto, ma scendeva dall’alto verso il basso, dai ceti colti, dagli uomini migliori per intelletto e per cuore alle moltitudini. Date queste premesse, è comprensibile che Mazzini esitasse a introdurre nel suo programma misure sociali troppo radicali che potessero spaventare quella "classe media" che egli voleva invece tranquillizzare con l’assicurazione che la rivoluzione non aveva tendenze terroristiche o di sovversione sociale». Questo nonostante che nello scritto vi siano accenni episodici alla «"miseria immensa che preme la popolazione delle campagne" rendendola "disposta a’ tentativi i più disperati" come a un elemento cospirante a una rottura esplosiva della situazione italiana» (88-89) • Definizione di setta: «un’associazione di uomini collegati per scopi almeno parzialmente occulti o non conosciuti da tutti, diretta da un centro anonimo e misterioso, aggrovigliata da complicati viluppi gerarchici ed intrisa di vacui formalismi predominanti su principii ideali». Se è questo, allora la Giovine Italia «quale si venne strutturando tra il 1831 e il 1833, si lasciò alle spalle la setta». Tommaseo: «Primo esempio di società secreta senza perfidia, gran passo a non ci essere bisogno di società secreta nessuna» (90 n. 54). Aveva tutti i tratti distintivi del partito quale noi lo intendiamo: «un programma pubblico chiaramente definito; l’adesione individuale dei militanti, sulla base dell’accettazione di quel programma; una struttura articolata con semplicità di criteri e in modo coeso dal centro alla periferia attraverso una trama di comitati provinciali (le "congreghe" periferiche, in rapporto diretto con quella centrale), di "ordinatori" nei centri urbani e di federati propagatori e federati semplici (ad esclusivo contatto per esigenze di sicurezza i primi con i rispettivi ordinatori, e i secondi con i rispettivi propagatori); una ramificazione diffusa in misura più o meno larga in tutti gli stati della penisola; un sistema di finanziamento poggiante sul regolare versamento di quote e su sottoscrizioni; una rete di collegamenti mantenuti attraverso corrieri (i "viaggiatori"); una propaganda svolta attraverso un lavoro capillare sostenuto dalla diffusione di una vasta gamma di stampati che andavano dalla rivista ideologica per i quadri e gli intellettuali ai fogli volanti e agli opuscoli indirizzati alle classi popolari» (90-91). • «Dopo i primi mesi di lavoro organizzativo, Mazzini poteva ritenersi soddisfatto dei risultati conseguiti sia tra gli esuli [...] sia all’interno del Paese». Tentativo di propaganda verso le classi popolari (anche se la Giovine Italia era «concepita però pur sempre dal suo fondatore come un partito di quadri, da reclutare soprattutto tra gli studenti, i giovani intellettuali, i professionisti, gli uomini della classe media») con il libretto "Istruzione pel popolo italiano" (1831-1832). Indipendenza raggiungibile senza fare affidamento sullo straniero e puntando sui giovani; formazione di un solo grande stato unito; assetto istituzionale democratico da decidere attraverso un’assemblea elettiva da riunire a guerra vinta. «Lo scritto insisteva sui vantaggi materiali che sarebbero derivati dall’indipendenza e dall’unità» però senza gli eccessi della Rivoluzione francese «non avrebbe sconvolto l’ordine esistente, rispettando gli "interessi costituiti" e il diritto di proprietà» (95). • Difficoltà per la diffusione della Giovine Italia in Piemonte a causa «di un aggrovigliato mondo settario che si poneva su posizioni concorrenziali» (101-102) Simpatie del clero progressista per la Giovine Italia, lettera del Gioberti, «allora democratico e republicaneggiante» con sua lettera del 1833 (104-105). Adesione operaia nel canavese 104, n.118. Azione di proselitismo in direzione dei militari (105-106) «soprattutto tra gli ufficiali inferiori, i sottufficiali e i graduati, cioè tra quei quadri intermedi che qualora il moto fosse scoppiato più avrebbero potuto orientare il comportamento dei loro subordinati (nel giorno del movimento, depose uno dei militari arrestati a Genova dopo le prime scoperte fatte dalle autorità, "sarebbe stata incombenza mia, e degli altri bassi uffiziali compartecipi, di profittare dell’influenza nostra sull’animo de’ soldati per indurli a non far fuoco, né rivolgere le armi contro i sollevati, osservando loro che fra essi vi erano i loro fratelli e parenti") [...] Il lavoro di propagazione tra i soldati semplici, oltre a presentare troppi rischi, sarebbe risultato assai difficile sia per la condizione di ignoranza e passività delle truppe» (secondo il sottotenente Paolo Pianavia Vivaldi, i soldati della truppa agivano «"come automi per prepotenza di meccanismo"») «sia per la struttura delle forze armate sarde [...] poco permeabili alle suggestioni rivoluzionarie». La propaganda mazziniana puntava da un lato sulla superiorità della repubblica sulla monarchia, i tradimenti di Carlo Alberto tiranno ecc., dall’altra sulla «gravosità della disciplina, gli abusi negli avanzamenti di carriera, le malversazioni degli ufficiali superiori, l’insufficienza del soldo» (106).