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 2010  marzo 30 Martedì calendario

«L’EPILOGO DEL PSI FU IL MIIO VIETNAM. NON FESTEGGIO, PENSO AL LAVORO»

No, non sorride neanche adesso, «eh, non mi viene da dire: che bello, ho vinto». Sospira: «Pare che stiamo 57 a 39», dice serissimo, annunciando un vantaggio su Enzo De Luca che alle sei e mezzo del pomeriggio sa alquanto di trionfo. Diavolo, ci dia un’emozione! «Guardi, io sono fatto così, non mi potete cambiare: penso alla responsabilità piuttosto che alla festa». Cappottino blu, gessato blu, soliti occhialini, Stefano Caldoro s’affaccia al cancello del villino plurifamiliare bianco, in cima alla collina di Napoli, e più che il nuovo presidente della Campania sembra un notaio che legge un testamento. Primo pensiero, a Bassolino: «S’è chiuso un ciclo, lui ha fatto molti sbagli, ma ha una sua grandezza, il suo discorso d’addio è stato straordinario... ci sentiamo di sicuro in queste ore». Secondo pensiero, al Vietnam: «Sì, è vero, ero al Raphael con Craxi nel ”93, e quei due anni, il 92-93, gli anni in cui è morto il mio partito, sono stati il mio Vietnam. Ma mi hanno formato. Anche per questo sono qui».
Più che un «padre di Napoli», l’ennesimo, questo socialista riemerso pare un figliolo timido nonostante i 49 anni, un soldatino disciplinato, smilzo e silenzioso, un antinapoletano. «Ero un bambino pieno di malattie, tre operazioni chirurgiche, la disciplina l’ho imparata allora». Sale sulla Skoda blu che ha usato in campagna elettorale con il fido autista Nicola, «uno della nostra famiglia socialista». La famiglia vera sta nel villino, al sicuro. Il papà, Antonio, suo mito, ex Cgil ferroviaria, ex deputato vicino a Signorile: «Si dimise quando io entrai in politica a 23 anni. Disse: è "disadorno" che ci siano due cariche elettive nella stessa casa. In questi mesi mi ha detto: stai freddo», come se ce ne fosse bisogno. La moglie, Annamaria, «una tedesca, una macchina da guerra. Mi diceva: tranquillo, ce la fai. Lei è una grande ricercatrice, un’endocrinologa al top. Di cognome fa Colao, non ha bisogno di me per essere famosa». La figlia, Alessia, che ha votato per la prima volta: «Dovevo calmarla, è molto ansiosa, mi chiedeva di continuo come stavo». Giù, al comitato, nell’hotel Mediterraneo che si prepara alla festa, c’è la sorella Alessandra, un’architetta che fa filare da due mesi l’organizzazione a scudisciate: «Sì, è molto tosta...». Ci fermiamo su via Petrarca, al bar Miranapoli. Caffè e primi abbracci dei supporter. Passa una rossa vistosa, «auguri presidente». «Poi mi fumo una sigaretta, lo faccio sempre dopo il caffè». Bum! Non le pare di essere smodato? «Non scherzi...». Per carità.
Lo ammetta, politicamente lei è un figlio di papà: «Macché. I voti non si ereditano. E io ne ho sempre presi più di mio padre. Sa perché? Perché lavoro più di lui». Caldoro ha un’avversione maturata dai tempi del suo «Vietnam», quasi un’ossessione. «Beh, lo ammetto. Sono culturalmente molto anticomunista». Ma dove li trova i comunisti? «Guardi, ne conosco a bizzeffe. Però, quando arrivano a un certo livello, hanno una loro originalità». Tipo Bassolino. «Sì, ma anche tipo D’Alema. Da 15 anni è il loro vero capo, è il Migliore, con la emme maiuscola togliattiana. Solo che a un certo punto i comunisti si fermano, non lanciano il cuore oltre l’ostacolo come i grandi leader socialisti, come Mitterrand o Craxi». Doveva andare ad Hammamet e non c’è andato per la campagna elettorale... «Io ci sono andato quando Bettino era vivo, non so se ci tornerò, sono poco formale in queste cose e non ho un atteggiamento revanchista. Dico solo che di quella cultura politica ci sono tra noi Tremonti, Frattini, Sacconi, Brunetta, Cicchitto e spero di non dimenticare nessuno». Il rapporto con Berlusconi? «Lui è Maradona». Il cellulare s’infiamma («lo uso poco e male»). Le tv incombono. Il fido Nicola scalpita. I maligni dicono che Caldoro sia il fantoccio di un’altra cultura politica, di Italo Bocchino, per dire: «Basta guardare i consensi che ho preso nella vita... l’ho detto anche a De Luca. Ecco, di Enzo mi hanno ferito gli attacchi personali, sempre per quella storia del Vietnam». Cosentino peserà? «Io non faccio trattative». Alle otto di sera, la festa comincia al Mediterraneo. Cori, tricolori, insulti dei militanti a Bassolino e alla Iervolino. Il Raphael è lontano, il soldato Stefano è tornato dal Vietnam.
Goffredo Buccini