Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 30/03/2010, 30 marzo 2010
I LUMBARD ALLE PORTE DI ROMA
Tempi duri, per i tori. Dicono le cronache che ogni volta che vince una sfida Luca Zaia festeggia passando dei tori allo spiedo. Non passerotti: tori. Due tori da presidente della provincia di Treviso, tre tori da vicepresidente regionale, sette tori da ministro.
Per adesso, stando alle agenzie, gli amici leghisti avrebbero preparato oltre un quintale di sopressa, pancetta e salame più mezzo quintale di braciole. Ma il momento dello spiedo arriverà. E allo spiedo, prima o poi, rischia di finirci Berlusconi.
Certo, non subito. In un momento come questo, dopo un trionfo impensabile solo pochi mesi fa, Bossi non ha interesse a forzare i tempi. Ha detto mille volte che «la Lega è leale». Ha dato disposizioni ferree ai suoi perché facessero una campagna elettorale senza strilli. Da forza tranquilla. Così da allagare, sempre più, i bacini che una volta erano della Dc. Tornato al governo nel 2001 disse che lui aveva fretta di cambiare tutto: «Quando sei lì fai quello che vuoi. Iministri della Lega le riforme le fanno subito per subito». Poi ha scelto tempi diversi.
Al di là dei sorrisi, però, il Cavaliere ha buoni motivi per non sentirsi del tutto rassicurato. Non che tema, oggi, che l’amico Umberto torni a certi toni del passato, quando diceva che «Berlusconi è la bistecca e la Lega il pestacarne». Ma dopo lo sfondamento di ieri, è difficile che il Senatur non passi prima o poi all’incasso. I numeri, anche al di là della vittoria di Roberto Cota su Mercedes Bresso, non meno clamorosa, dicono che il Carroccio raddoppia in Piemonte passando dall’otto e mezzo al 16%, raddoppia in Lombardia salendo dal 15 a oltre il 27%, raddoppia in Liguria inerpicandosi al 10%, sfonda in Emilia-Romagna triplicando dal 5 scarso a quasi il 14%, penetra nelle Marche e in Toscana superando il 6%, si incunea in Umbria dove arriva ad avere un peso superiore all’Udc. Per non dire, appunto, del trionfo nel Veneto. La terra in cui la prima Liga Veneta era riuscita a farsi largo mandando un deputato e un senatore a Roma nell’ormai lontano 1983.
Soltanto l’anno scorso, dopo le Europee, al sindaco di Verona Flavio Tosi che si era sbilanciato («Supereremo il Pdl in modo assai più netto di quanto non si pensi») sul sorpasso, viceversa mancato di un soffio (finì 29,3% per il Pdl contro il 28,4%) Giancarlo Galan rispose con uno sberleffo: «Vi ricordate di quel detto che canta per un punto Martin perse la cappa?». Parole sulle quali molti leghisti oggi sarebbero tentati di maramaldeggiare.
Sceso nel 2006 al suo minimo storico, l’11%, il Carroccio non solo va a conquistare oggi per la prima volta il voto di oltre un Veneto su tre (quasi il 35%, fatta la tara, si capisce, all’astensionismo) ma stacca il Popolo della Libertà di 10 punti. Di più, arriva con Luca Zaia a un siderale 60%. Una quota alla quale il «Galan Grande» non si era mai neppure avvicinato sfiorando al massimo, nel 2000, il 54,9%.
Quanto basta perché l’onorevole Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella, esulti rivendicando di aver mandato l’altro giorno agli amici un messaggio sms che, al di là dello strumento, pareva scritto intingendo il pennino nel calamaio: «Lunedì Luca Zaia sarà il nostro Doge. E’ dal 1797 (la caduta della serenissima) che aspettiamo. Alla Lega Nord-Liga veneta il compito di guidare la riscossa per la nostra gente! Una buona stella veglia sul nostro cammino e ci guida verso la libertà!». Parole che per il neogovernatore sono miele. Lui stesso, nel ritratto a tinte pastello pubblicato sul suo sito, dove ricorda che «la famiglia Zaia è venetissima» e che «si era stabilita nel Coneglianese già cinquecento anni fa» e che «a tavola erano diciassette i piccoli da sfamare» e che la casa paterna è «immersa nella natura: qui Luca conosce i cicli delle stagioni e la socialità rurale» e che lui si è guadagnato la vita «come cameriere, uomo delle pulizie, muratore, docente privato di chimica, istruttore di equitazione, operaio in un’impresa di pellami, pr in discoteca e organizzatore di feste» e come amministratore ha fatto fare «400 rotatorie», il punto di riferimento è sempre quello: «La Serenissima, fondata sull’idea della sua autonomia».
Dirà qualche storico che non è proprio così. E ricorderà quanto già ha detto più volte uno come Alvise Zorzi, che ha avuto dei Dogi (veri) in famiglia e secondo l’indice delle biblioteche universitarie italiane ha firmato 151 libri, saggi, lavori vari tradotti in tutte le lingue dedicati alla Repubblica del Leone: «La Venezia dei dogi non si è mai ritenuta la capitale di una federazione ma «il potere». Un potere gestito con oculatezza e intelligenza, ma assoluto. Era la città dominante sulle città suddite. Insomma, il Veneto era una colonia. Come la Nigeria dell’Inghilterra». Ma che importa? Si faccia festa e basta. Sotto con il prossimo toro allo spiedo.
E lì torniamo, a Berlusconi. Che potrebbe fare qualche scongiuro ripensando, al di là dei «complimenti» di Patrizia D’Addario («è infaticabile: un toro»), a tutte le volte in cui lui stesso si è dipinto come il fiero animale emblema della forza.
Capiamoci: Luca Zaia può passare per un leghista anomalo, rispetto a certi stereotipi. Mai una sparata razzista. Mai una esagerazione polemica. Mai una rissa tivù. Non bastasse, dice che i suoi personaggi preferiti sono l’imperatore Adriano (un romano!) e Napoleone, cioè l’uomo che abbattè la Serenissima e il famoso Leon della colonna a San Marco se lo portò a Parigi, da dove la povera bestia sarebbe tornata rotta in 84 pezzi. Ma «el Governador» ha già spiegato pochi giorni fa al «Giornale di Vicenza» come intende esercitare il suo dogato: «Noi veneti abbiamo perso tempo in questi decenni perché comunque non abbiamo trovato un governo che desse ascolto». Ma come: neanche quelli berlusconiani? Macché.
Obiettivo? Modello Catalogna. Sbuffava già Galan, su certe cose. Fino a dire dell’attuale esecutivo: «Questo governo si sta meridionalizzando». Sarà interessante da vedere, adesso, i nuovi rapporti. Molto interessante.
Gian Antonio Stella