FILIPPO CECCARELLI, la Repubblica 29/3/2010, 29 marzo 2010
IL SEGGIO ELETTORALE COME UN BAR I SIPARIETTI ILLEGALI DEL CAVALIERE
Fra le varie leggi scampate all´accetta, al piccone e ai roghi del ministro Calderoni ci sarebbe ancora quella, numero 212 del 4 aprile 1956, che all´articolo 9 proclama: «Nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico…».
In tale formula troverebbe forma e sostanza ciò che talora si definisce "silenzio elettorale", ma siccome le definizioni sono una cosa e la vita un´altra, e spesso le norme non corrispondono alla realtà, bisogna precisare che con il tempo, grazie allo sviluppo delle tecnologie e al crepuscolo dell´antico riserbo, questo silenzio ha finito per configurarsi come un´entità abbastanza relativa. Un auspicio, più che un obbligo, una manifestazione di buona volontà e un po´ anche il tentativo di non tediare ulteriormente gli elettori.
La conseguenza pratica di questa indeterminatezza è che anziché muta e sorda, la domenica del voto viene più o meno regolarmente funestata da violazioni e stramberie non sai bene se spontanee, cialtronesche o in malafede – le varie fattispecie non essendo tra loro alternative. Sms, telefonate, trasmissioni radiofoniche e televisive, dichiarazioni di presidenti e governatori e altre vicende che, ricostruite a partire dalla denunce, si collocano lungo un orizzonte che nell´ultimo decennio va dall´imitazione di Cossutta fatta da Teo Teocoli ai manifesti di lutto, ma con i simboli dei partiti, affissi subito dopo la morte di Giovanni Paolo II in coincidenza con un turno amministrativo.
Nel quadro di questa multicolore casistica l´andata al seggio di Silvio Berlusconi alla scuola Dante Alighieri di via Scrosati raramente tradisce le sue indefettibili risorse. Fino a configurarsi come un gioiellino narrativo che anche ieri, con le valutazioni sul presente momento e con le accuse a Di Pietro, ha avuto il suo degno prosieguo. Disse un giorno La Russa che il Cavaliere è "un comunicatore ai limiti delle interpretazioni". Non che la frase, pure efficace, abbia un senso molto compiuto e immediatamente comprensibile. E tuttavia, anche senza porre in questione l´art.9 della legge 212/56, con la collaborazione del ministro La Russa si potrebbe azzardare che Berlusconi consideri il seggio elettorale non tanto un luogo sacro alla democrazia, ma un po´ come un bar. Che poi esso si trovi nel quartiere milanese del Giambellino rende la faccenda pregna di conferme e ricordi gaberiani sul Cerutti Gino, considerato un "drago" al bar appunto del Giambellino – con tutto il rispetto per la Dante Alighieri.
Era comunque il 1999 quando al momento di votare, scuotendo la testa con il sorriso di chi si sentiva non solo diverso, ma anche il migliore, un drago, comunque così se ne uscì al seggio: «Di tutti quei signori che ci sono nel Palazzo non ce n´è uno che assumerei in qualche mia azienda». Poi se ne andò dal giornalaio e acquistò "TuttoBenigni", pubblicazione e cd.
Nel 2004 in compenso, alle europee, la fece grossa. Era presidente del Consiglio e ritenne la legge un optional. Arrivato alla scuola prima disse una spiritosaggine: «Ci ho pensato un po´ stamattina e ho deciso di votare per un partito liberale che si ascrive alla tradizione cristiana». Poi si raccomandò: «Non votate i partiti piccoli e piccolissimi perché significa buttare dei voti e dei deputati». Quindi partì con la politica estera per poi sproloquiare sulla sinistra che da una parte era «sedicente riformista» e dall´altra «oltranzista radicale, antiamericana, antioccidentale, anticapitalista, antieuropea. Con una sinistra così l´Italia non può andare da nessuna parte». Era un comizietto, in effetti. Fassino telefonò al ministro dell´Interno per una vibrante protesta; Pietro Ricca denunciò Berlusconi; questi, qualche giorno dopo, disse che gli era stato teso «un agguato preordinato»: «Mi hanno fatto delle domande, io cortesemente ho risposto…». Tutto come da copione. Polemiche senza seguito.
Due anni dopo, 2006, il presidente Berlusconi se ne andò al seggio con mamma Rosa, 95 anni. La solita ressa di giornalisti, cameramen, flash, microfoni. Tutto intorno lampeggiava e ogni bisbiglio era pronto a essere riprodotto. Il Cavaliere, che ha innato il senso del siparietto, anche nella sua più candida versione, ritenne di dover istruire in pubblico l´anziana mamma: «Senti, allora fai una croce sul simbolo di Forza Italia». Insorse allora un rappresentante del centrosinistra: «Presidente, guardi che non può!». Berlusconi, sgomento, allargò le braccia: «Nemmeno con la mamma?». Quindi rivolto al pubblico: «Siete proprio l´Italia che non vuole bene». Era l´alba del partito dell´amore. Quasi nessuno colse il gemito del rappresentante dell´Unione: «Presidente, non dica così».