Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 29 Lunedì calendario

L’ALTA VELOCIT RIDISEGNA IL PAESE MA A COSTO/CHILOMETRO DA RECORD

Il progetto "Alta velocità/Alta capacità" (Av/Ac) è molto ambizioso, perché riguarda il ridisegno del sistema di trasporto passeggeri, merci e il riordino di vaste aree centrali nelle aree metropolitane, ed ha peculiarità tali da renderlo difficilmente comparabile con quanto realizzato in altre realtà europee.
I costi hanno raggiunto i 32 miliardi di euro per i circa 1000 chilometri fra Torino e Salerno e nel contratto di programma fra Rfi e lo Stato del 2008 sono previste spese per ulteriori 25 miliardi per opere prioritarie da avviare per lo sviluppo nel brevemedio periodo.
Per comprendere le forti differenze nei costi chilometrici medi dei nuovi binari italiani, pari a 32 milioni di euro per le tratte già realizzate, rispetto ai 9 e 10 di Spagna e Francia, si devono evidenziare alcuni passaggi cruciali del processo decisionale dell’opera avviato nei primi anni ”90.
Gli strumenti per la programmazione, decisione, finanziamento e gestione dei cantieri dell’Alta Velocità sono stati, infatti, lo specchio di un Paese confusionario, in cui la politica non ha reso esplicite le sue vere priorità e spesso è stata prigioniera di una tecnica opaca in cui è stato difficile introdurre innovazioni.
L’evoluzione è stata caratterizzata da una gestazione approssimativa, da continue modifiche nelle ipotesi di finanziamento e da una scelta politica che ha fortemente condizionato lo sviluppo del progetto anche nei decenni successivi, cioè quella di individuare general contractor fondati sui quattro maggiori gruppi industriali di allora (Iri, Eni, Fiat e Montedison). Il tutto avvenne nel 1991 pochi giorni prima dell’entrata in vigore delle direttive europee sulle gare pubbliche e con l’idea che i principali gruppi bancari nazionali potessero finanziare per ben il 60% gli sviluppi della neocostituita società Treno ad Alta Velocità, concessionaria della costruzione, della gestione e dello sfruttamento economico della nuova linea.
In sintesi: il gigante nasceva con i piedi di argilla. Infatti, i presupposti economici e tecnici delle prime ipotesi progettuali si sono rivelati non efficienti e per di più i tracciati non avevano alcuna autorizzazione territoriale, costringendo nel corso del decennio successivo ad un ripensamento totale dell’opera.
Nel 1997 il Parlamento chiese la modifica degli obiettivi, suggerendo un sistema fortemente integrato con la rete esistente in modo da poter valorizzare non solo i traffici passeggeri ad alta velocità, ma anche le reti dei traffici regionali nelle aree metropolitane e il trasporto merci. Nel 1998 il gruppo Ferrovie dello Stato, similarmente a quanto accaduto nel resto d’Europa, assunse su di sé l’intero rischio progettuale acquisendo il 60% del capitale dei privati che non avevano rispettato i patti iniziali in materia di finanziamenti.
Nel decennio fra il 1992 e il 2002 i costi previsti in termini correnti sono triplicati, finendo per divergere in modo eclatante rispetto a quanto accadeva in Spagna e Francia.
Un audit interna alle Fs ha permesso di identificare le principali voci differenziali di costo: logica del general contractor concepita nel 1991 senza contrattazione, i requisiti tecnici necessari per accogliere i treni merci e le pesanti prescrizioni imposte dagli Enti locali attraversati. Questi tre fattori rendono l’investimento molto diverso dagli altri contesti europei e ciascuno comporta un aggravio dei costi compreso indicativamente fra i 5 e gli 8 milioni di euro a chilometro.
In particolare, la scelta di adottare degli standard tecnici per i più lunghi e pesanti treni merci implica che per i tracciati collinari e montagnosi si debbano ridurre le tratte in rilevato ed incrementare i viadotti e le gallerie, aspetto che può comportare sino ad un sestuplicamento dei costi.
Fra le prescrizioni imposte dai diversi enti territoriali interessati, alcune sfiorano l’assurdo, ma aiutano a comprendere le differenze di costo fra la Milano Torino e la Milano Bologna, entrambe linee di pianura. Infatti, nei costi della prima tratta sono inclusi gli investimenti sostenuti per realizzare una strada ad uso della protezione civile tra l’autostrada e la ferrovia sulla tratta Torino Novara, ma anche gli oneri di dover rifare tutti i cavalcavia con una pendenza del 34 per cento invece del 6 per cento, allungando i viadotti e rendendoli molto più impattanti sul paesaggio, oltre all’obbligo di realizzare pannelli fonoassorbenti rivolti anche verso l’autostrada.
Nel corso degli ultimi anni la complessa macchina organizzativa di pianificazione di questo intervento, che ha una forte valenza non solo trasportistica, urbanistica ed ambientale, ma anche di politica internazionale, si è affinata molto, ma nonostante ciò le scelte tecniche e la necessità di interloquire con territori fragili e fortemente urbanizzati comporteranno sempre un differenziale di costo rispetto ad altre nazioni.
D’altro canto, adattare ed integrare alla realtà territoriale e infrastrutturale esistente il più rilevante progetto di ridisegno del territorio avviato nel corso degli ultimi decenni nel nostro Paese, implica costi da comparare con benefici intergenerazionali in grado di valorizzare numerosi settori dell’economia.
OLIVIERO BACCELLI, Vicedirettore CERTeT Bocconi