PATRIZIA FELETIG, la Repubblica Affari&Finanza 29/3/2010, 29 marzo 2010
L’ULTIMA SFIDA DELL’ENERGIA EOLICA IMBRIGLIARE IL VENTO AD ALTA QUOTA
Dieci chilometri sopra lo skyline di Manhattan c’è uno dei punti ottimali per catturare energia eolica d’alta quota. Risulta dalla mappa elaborata da Ken Caldeira del Carnegie Institution Department of Global Ecology di Stanford e Cristina Archer della California State University. E’ il primo studio sui siti potenzialmente più adatti per sfruttare le correnti a getto, quei flussi d’aria che si formano negli strati alti dell’atmosfera. Chiunque abbia viaggiato in aereo sa quanto potenti, a volte fastidiosi a volte utili, siano i venti in quota. Denominati jet stream, sono venti forti e costanti: ora si sta studiando il modo per sfruttarli per l’energia eolica e una serie di prototipi industriali, realizzati dai principali gruppi mondiali del settore, sono in "in volo" per cercare l’alternativa migliore.
Dall’analisi dei dati meteo, le top location sono in Giappone, Cina orientale, Australia meridionale, Nord Africa e sulla costa ovest degli Usa. Ubicazioni dove la densità di potenza del vento per area occupata sarebbe superiore ai 10 chilowatt per metro quadrato, un fattore decuplicato rispetto all’energia fornita dall’eolico a terra (considerando solo gli impianti con più alti rendimenti). Sebbene stagionalmente variabile, il fenomeno ricorre puntualmente assicurando una fornitura di vento continua. Focalizzandosi sulle aree urbane "energivore", i ricercatori hanno individuato 5 metropoli dove l’offerta di vento ad alta quota è ideale: Tokyo, San Paolo, Seul, Mexico City, e New York. In quest’ultima si registrano correnti con una densità di potenza di 16 kW/mq. «L’1% della potenza del vento d’alta quota basterebbe per generare sufficiente energia per tutta l’umanità», affermano Archer e Caldeira, alimentando le aspettative e catalizzando gli sforzi per escogitare aerogeneratori ancorati tra i 6 e 15 chilometri che attingano a quest’inesauribile fonte.
Siamo ancora a livello di progetti, prototipi e sperimentazioni. Oltre alla difficoltà di realizzazione, c’è il problema della sicurezza (rottura di un cavo, spazio aereo, fulmini). Eppure il fermento è notevole nell’avveniristico comparto dei "mulini a vento volanti" in grado, come profetizza Bryan Roberts, di generare elettricità a meno di 2 cents per kWh, oscurando ogni altra tecnologia energetica sia fossile che pulita. L’idea di sfruttare la crescente intensità del vento man mano che ci si sposta verso fasce alte dell’atmosfera, supera il concetto delle turbine tradizionali che al massimo possono sfiorare i 100 metri. Gli aerogeneratori ad alta quota si riconducono a tre tipologie: palloni aerostatici, pale volanti e aquiloni. Nell’ultima configurazione, quella maggiormente esplorata, una delle proposta più affascinanti appartiene a Saul Griffith fondatore di Makani Power, società nella quale Google ha investito 15 milioni di dollari a valere sul fondo "green" dell’azienda che tra l’altro finanzia la californiana eSolar. Griffith ha presentato un modellino del suo concetto di aquilone la cui ascensione a mille metri produce energia in una conferenza poche settimane fa.
L’olandese Wubbo Ockels guida la squadra della Delft University of Technology che, con il supporto della Shell e della compagnia di gas Nederlandese Gasunie, ha sviluppato un profilo alare somigliante in grande alle vele dei kitesurfer. L’ala è sollevata grazie a un sistema di traino, dopodiché la forza del vento la sospinge a diverse centinaia di metri, come un aquilone, e in questa fase di risalita attraverso la trazione su un generatore elettrico al suolo a cui è collegata, produce corrente. Quando raggiunge la quota prefissata, si modifica la forma dell’ala affinché la sua ridiscesa consumi pochissima energia. E così via con percorsi alternati di salita e discesa. L’evoluzione del prototipo, denominato Laddermill, può raggiungere una potenza di 50 MW ed è formato da più aquiloni disposti a scala. In una configurazione con più serie di aquiloni collegati, Laddermill arriva a 100 MW, spiega Ockels, ex astronauta oggi professore di ingegneria sostenibile.
I progetti più innovativi appartengono alla categoria delle "pale volanti". La Airborne Wind Power lavora al progetto Sky Wind, un apparecchio composto da 4 rotori disposti su 2 assi di metallo di 30 metri di lunghezza e collegate tra loro. La struttura decolla come un elicottero, grazie a un motore e sfruttando il movimento delle pale per raggiungere fino ai 1000 metri. Raggiunta l’altitudine prefissata, il vento si sostituisce al motore e l’energia è trasmessa a terra mediante un cavo. L’idea si è guadagnata il riconoscimento di Time come una delle migliori 50 invenzioni hightech già nel 2008. Diversi anni saranno però necessari per rendere attuabile un progetto il cui peso e ingombro non complichino la guida automatizzata.
Joby Energy, l’invenzione di Ben Joe Bevirt, per intercettare a 10 chilometri di altitudine i famosi jet stream, consiste in una mastodontica struttura di 200 metri di larghezza con 96 pale interconnesse con fibra di carbonio e sostenute da ali autoportanti. Potenza stimata: 50 MW. Un po’ macchinosa e costosa, Joby Energy deve risolvere non poche incognite, non ultima quella di tendere un cavo per quella distanza. Bevirt però ne annuncia la messa in funzione per il 2016. Diverso l’approccio del canadese Maggen Power che sperimenta vicino alla capitale Ottawa il Mars (Magenn Air Rotor System). Si tratta di un pallone aerostatico di 30 metri di diametro sollevato con elio che galleggia a 300 metri di quota. Il suo profilo è sagomato con 8 alettoni. Il vento fa girare su se stessa la mongolfiera che, ruotando attorno ad un asse stabilizzatore orizzontale, alimenta il rotore collegato a generatore, che trasmette l’energia a terra. Il vantaggio di Mars è la sua leggerezza e versatilità: può essere utilizzato su una piattaforma estrattiva off shore e spostato rapidamente in una remota zona rurale oppure in un luogo dove è accaduta una catastrofe. India e Pakistan si dicono interessati.
Una soluzione solo apparentemente semplice è invece il "cargo sostenibile": non va a vela, ma il principio è lo stesso. Si usa un aquilone gigante come sistema di propulsione aggiuntivo capace di sostituire circa il 20% della potenza del motore della nave per ottenere un risparmio di carburante tra il 10 e il 35%. Il sistema ibrido eolico/combustile brevettato dalla società di navigazione tedesca Beluga Shipping è stato testato per la prima volta nel 2009 con un cargo fra Amburgo e il Venezuela. A prua è agganciato con un cavo un aquilone di 160 metri quadrati somigliante a un parapendio e modellato per funzionare con vento a partire da 7 nodi, indipendentemente dalla sua direzione. L’aquilone vola a circa 300 metri di altezza dove le correnti sono più forti e costanti. Il controllo (inclinare, spiegare, ammainare) è affidato a un software. I buoni risultati delle sperimentazioni hanno indotto la compagnia a raddoppiare la superficie dell’aquilone per armare due altri cargo di stazza superiore.