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 2010  marzo 29 Lunedì calendario

IL BRASILE, L’ISOLA FELICE DELL’ITALIA SPA - RIO DE JANEIRO

La mappa della presenza dell’Italia Spa nei paesi emergenti è una carta geografica piena di buchi con un unico fiore all’occhiello: il Brasile. Un’oasi dove l’industria tricolore – un po’ latitante nel resto del mondo – è riuscita a mettere solide radici, grazie alle solite coraggiose Pmi ma, per una volta, persino con i suoi "campioni nazionali": la Fiat ha 26 stabilimenti nel paese e lotta con la Volkswagen per la leadership di un mercato dove le vendite del Lingotto (739mila auto nel 200) sono ormai a un soffio da quelle in Italia. Pirelli, numero uno nei pneumatici in America Latina, è presente da 80 anni e dà lavoro a quasi 10mila persone. Telecom ha in rampa di lancio un piano di investimenti da 2,6 miliardi per consolidare la presenza di Tim al vertice del mercato del mobile. Un tris di punte di diamante dietro cui però avanza un esercito del made in Italy forte di 600 imprese, con 66mila addetti e 16,6 miliardi di ricavi. Pronto a cavalcare non solo il boom dell’economia brasiliana ma anche i 150 miliardi di investimenti infrastrutturali previsti dal Plano de aceleracao do crescimento varato da Lula, nonché i piani per Mondiali di Calcio del 2014 (altri 70 miliardi) e per le Olimpiadi del 2016 di Rio.

I due eventi sportivi hanno tolto a questo paese di 195 milioni di abitanti l’etichetta di eterna promessa (mancata) dello sviluppo mondiale per traghettarlo definitivamente nel gruppo dei trascinatori dell’economia globale. La forza economica ha fatto il resto. «Grazie a un lungo periodo di stabilità politica e valutaria la crisi mondiale qui è durata solo due trimestri», assicura il numero uno dell’Istituto del Commercio Estero a San Paolo, Giovanni Sacchi. «Definire oggi il Brasile un paese emergente è riduttivo» aggiunge Francesco Gori, amministratore delegato di Pirelli Tyre.
Dieci anni di politica economia rigorosa, fatta sia dalla destra che dalla sinistra, hanno cambiato il volto del paese. «Sono state ammodernate spiega ancora Gori infrastrutture e servizi, il boom è stato sostenuto da un’attitudine al lavoro che non sempre si trova nelle nazioni emergenti. Il risultato è che noi qui cresciamo il doppio rispetto all’Europa e agli Usa, abbiamo superato Goodyear diventando i numeri uno nel continente. E il mercato interno ha ancora tanto spazio per crescere».
Il gruppo guidato da Marco Tronchetti Provera, non a caso, ha deciso di alzare del 25 per cento i suoi investimenti previsti (oggi 400 milioni) mettendo in cantiere un nuovo impianto per pneumatici speciali. Ma un po’ tutta l’Italia ne sta approfittando. «L’export verso il Brasile nei primi due mesi del 2010 è cresciuto del 40%», dice Sacchi. Merito forse anche della recentissima missione di Confindustria. E le nostre imprese stanno accelerando i loro investimenti. «La Tim qui ha 41,5 milioni di clienti, più che in Italia, in un mercato del mobile in progresso del 57% annuo», racconta Luca Luciani, amministratore delegato di Tim Brasil. «Crescere è obbligatorio. Telecom ha già un piano da 2,6 miliardi per il prossimo triennio, ha appena acquistato Intelig e punta a sviluppare soprattutto la banda larga».
Il Pil del resto è previsto in crescita anche in questo 2010 del 3,4% e di rischi sistemici all’orizzonte, uno spettro sempre in agguato in Sudamerica, non se ne vedono. «La stabilizzazione degli ultimi anni è una garanzia anche per le imprese», dice Gianfranco Panizzoli, numero uno della Brembo presente con due stabilimenti nel Minas Gerais e a San Paolo. Il reais tiene fin troppo bene, nelle casse dello stato ci sono 230 miliardi di dollari di riserve valutarie, l’inflazione è sotto controllo e la disoccupazione è all’8%. Numeri e cifre ormai da paese più che sviluppato. «Questa è una nazione che ti apre le porte – continua Panizzoli – Pensi che noi qui siamo riusciti a costruire uno stabilimento e a farlo entrare in funzione in sei mesi...».
Crescita e stabilità, oltre che due atout, sono anche un (relativo) problema: attirano concorrenza. «Certo il Brasile è un paese che, per dimensioni del mercato interno e tassi di sviluppo, nessuna grande azienda internazionale può permettersi di ignorare – spiega Marco Bonati, responsabile per le esportazioni della Barilla – Ma sul mercato della pasta ci sono già tutti i big e noi abbiamo deciso di insediarci solo con una realtà commerciale. Per fare impianti di produzione, ad esempio, riteniamo più promettente un’area come la Russia».
Le opportunità a breve comunque non mancano. «La classe media brasiliana è cresciuta di 20 milioni di persone in cinque anni – dice Sacchi – Il reddito è stato ben redistribuito e gli investimenti in nuove infrastrutture porteranno senz’altro nuove aziende tricolori qui». Impregilo, Astaldi e Ansaldo puntano alle grandi opere legate a mondiali e Olimpiadi. L’Enel è pronta a mettere un cip da 5 miliardi sull’energia locale. FinmeccanicaFs è in gara per il treno superveloce RioSan Paolo – uno dei tanti tasselli del maxiprogramma di spesa sul trasporto – mentre Prysmian sta lavorando a un maxistabilimento per Petrobras. Un faro sul paese sudamericano l’ha acceso anche la Saipem.
Qualche problema, naturalmente, c’è ancora. «La burocrazia in qualche caso è un po’ farraginosa, la protezione dei marchi è un discorso delicato soprattutto per i grandi marchi che si avventurano nel largo consumo», dice il numero uno dell’Ice. «La fiscalità differente tra i vari stati è un nodo che prima o poi andrà affrontato perché ci complica molto la gestione», spiegano sia Panizzoli che Luciani. Il vero buco nero del Made in Italy brasiliano è però un altro: se la grande e la piccola industria sono riusciti a mettere radici da queste parti, non altrettanto si può dire della finanza. «I tassi sono altissimi, finanziarsi non è facile», si lamenta l’ad di Brembo Do Brasil. Avere come interlocutori degli istituti che parlano la stessa lingua sarebbe un vantaggio, almeno su questo fronte. Soprattutto ora che la banca centrale ha ventilato un possibile aumento dei tassi per tenere sotto controllo l’inflazione e non surriscaldare l’economia.
Ma le banche tricolori latitano. Bnl ha lasciato il Brasile anni fa. Banca Intesa ha ceduto Sudameris nel 2005 alla Abn Amro. E oggi, probabilmente, si morde le dita visto che il Santander – che ha tenuto duro – è riuscito a raccogliere quasi 5 miliardi di euro alla Borsa di San Paolo collocando qualche mese fa solo il 30% della sua filiale locale. Un altro segno dello straordinario ritorno finanziario incassato da chi, negli ultimi anni, è riuscito a cavalcare il boom del paese.
Certo, come assicura Sacchi, «Simest e Sace stanno lavorando bene». E qualche ufficio di rappresentanza (ultimo in ordine di tempo quello della Popolare di Vicenza) lo sta aprendo anche il mondo del credito di casa nostra. Ma per strada si è perso molto tempo. «Certo il sistema bancario italiano qui non è molto forte – conclude Panizzoli – I nostri concorrenti spagnoli, che si sono presentati qui trovando in loco tutte le maggiori banche nazionali, hanno avuto di sicuro la vita più facile».
La robusta pattuglia tricolore in Brasile, pur orfana del credito, è riuscita però a consolidare ugualmente la sua presenza nel paese. L’Italia già oggi è l’ottavo fornitore e l’undicesimo cliente di San Paolo, due classifiche dominate da Stati Uniti e Cina. E se la presidenza spagnola della Ue riuscirà a mandare in porto il sogno di tutti gli esportatori e costruttori in quest’area – i dazi zero tra Europa e America Latina – il futuro rischia di essere ancor più roseo di quanto prometta già ora.