Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 28 Domenica calendario

COME ERAVAMO NELL’ANNO ZERO

Il sogno politico della sinistra è tutto in una data: 27 marzo 1994. Lì c’è il paradiso perduto. una finestra nel tempo, una sliding door, una porta scorrevole, un contro passato prossimo, un futuro che non è mai diventato realtà, un mondo senza berlusconismo. Sono più di tre lustri che laggiù, sulla rive gauche, si vive con questo rimpianto, una sorta di grande freddo che ha ibernato idee, uomini e futuro. da più di quindici anni che tutto ruota intorno a un dilemma, come cancellare questa parentesi e ricominciare da quell’anno fatale. Quelli che un tempo si chiamavano progressisti tirano a campare come stregati, tutto ciò che sperano è spostare indietro le lancette. un incantesimo. La maledizione del «fare passato». Com’erano quegli anni? Le procure stavano decimando la politica. Il potere giudiziario era il fulcro del destino. Tangentopoli era una sorta di Armageddon, il giudizio finale, la resa dei conti. Destra e sinistra, fascisti e comunisti, democristiani e socialisti dispersi in un deserto ideologico. Erano i giorni della grande diaspora e tutti vagavano in cerca di una nuova casa. A sentirli, dopo che il Muro era caduto, non ce ne era uno che non si certificasse liberale, liberista e libertario. Veltroni giurava di essere sempre stato amerikano. Qualcuno si guardava intorno incredulo e disgustato. Erano quelli che leggevano i romanzi di Ayn Rand e studiavano von Hayek. Ogni tanto li sentivi bestemmiare: ma da dove è uscita tutta questa gente? Il Novecento tirava le cuoia e tutte le mappe si stavano sbiadendo. Il problema è che il mondo ti stava cambiando davanti agli occhi con una fretta incredibile. La classe dirigente italiana aveva una sola certezza: non ci stava capendo un cacchio. Non era facile. Pochi parlavano della grande rete. Il viaggio su Internet per i primi navigatori era un’avventura elitaria. Era snervante. Il browser si chiamava Mosaic ed era di una lentezza snervante. Se provavi a parlarne con qualcuno ti guardava come ti fossi innamorato di un pulcino virtuale. Quello che fecero in molti due anni dopo con il Tamagotchi. La rivoluzione virtuale non era ancora nella mente di Dio. Smarrirsi era legittimo. Non c’era Google map e neppure i navigatori satellitari. I «social network» erano pub puzzolenti senza partite in diretta. Il fumo (allora si poteva fumare) ti restava addosso per una settimana. lì che per la prima volta le ragazze iniziarono a sbronzarsi sul serio, le più toste con una Ceres, le altre con la Corona messicana e uno spicchio di limone. Il Cuba libre era già fuori moda, qualcuno si sparava un mojito, filosofeggiando che piaceva a Ernest Hemingway. Mariotto Segni aveva in mano il biglietto vincente della lotteria e non sapeva ancora che l’avrebbe perduto. L’Italia scopriva una strana razza di professori chiamati costituzionalisti e, si diceva, stavano lì a preparare le riforme. Il guaio è che ci stanno ancora provando. L’illusione è di fare come in America. Basta con pentapartiti, partitini, partitucci, finanziamento ai partiti, partitocrazia. Ne bastano due e un presidente, che magari poi suona il sassofono e giura di non fare sesso con le stagiste nella stanza ovale. La guerra in Irak, di due anni prima, sembrava un’Olimpiade con i fuochi d’artificio. Tutti dicevano: guarda, guarda la guerra in diretta. E tu vedevi solo dei traccianti rossi con la voce di Walter Cronkite che urlava dal balcone di un albergo: un missile, un missile. Qualcuno poi raccontò che il cormorano zuppo di petrolio era una bufala. Cominciò l’era delle emozioni taroccate. Achille Occhetto si baloccava con la sua gioiosa macchina da guerra. Nessuno gli aveva ancora regalato una biografia di Filippo II e quei capitoli su dove andò a schiantarsi «l’invincibile armada». D’Alema tramava nell’ombra. Pier Ferdinando Casini non era ancora il genero di Caltagirone e guardando Forlani in tv si domanda preoccupato: e ora che faccio? Nell’Emilia rossa erano ancora tutti comunisti e nessuno di loro avrebbe mai immaginato di votare Lega. Bossi parlava di federalismo e secessione. Tre quarti d’Italia rideva. Il professor Miglio teorizzava che Frosinone sarebbe diventata capitale del Centro Italia. A Roma erano pronti a suicidarsi in massa. Ma poi si arriva alla casella imprevisti. Il futuro ipotetico scarta di lato. la crepa che spezza la storia della sinistra. Berlusconi fa un giro alla Standa e dice che se lui fosse romano voterebbe Fini. l’ultima volta nella sua vita che gli è passata in testa un’idea del genere. Il Movimento sociale italiano fa un passo fuori dal ghetto. Robert Murdoch è per i radical di tutto il mondo solo uno squalo australiano. Non c’è Sky. Nessuno sa cosa sia il digitale terreste. Fiorello fa il karaoke e Ambra fa sbavare, con Boncompagni che le auricola all’orecchio, una moltitudine di professor Humbert Humbert. Ozpetek non sa neppure chi sia. Al cinema c’è Jurassik Park ed è già un segnale. Aleardo Baldi vince il Festival di Sanremo con «Passerà». Troppo presto per diventare l’inno del Pd. I telefonini sono mattoni e ci puoi solo telefonare. La cabine a gettoni cominciano a scomparire. I genitori mandano i figli all’università per garantire loro il posto fisso. Poi dicono che stanno su Scherzi a parte. L’euro è una moneta virtuale. La crisi è già arrivata e gli economisti studiano manovre lacrime e sangue. Stiamo ancora aspettando che finiscano le sanguisughe. C’è ancora qualcuno che compra i quotidiani. L’Adriatico è un viavai di carrette e gli albanesi scoprono che l’Italia non è quella vista in tv. Se per sbaglio incroci una donna con il chador pensi alle Mille e una notte. Siedi tranquillamente in aereo accanto a un signore islamico con la barba e non temi neppure per un attimo che sia un terrorista. Se vai a New York ti fai una gita sulle Twin Towers e se ti manca il tempo dici: vabbè, la prossima volta, tanto stanno lì. Non metti sul biglietto da visita l’indirizzo e-mail. Il 5 maggio per i tifosi dell’Inter è ancora una poesia di Manzoni. Berlusconi ha due coppe dei campioni in bacheca e per tutti è il presidente del Milan. Bertinotti tifa per lui. Quando la sinistra si risveglierà questi quattro appunti, magari, diventeranno utili.