Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 30/3/2010;, 30 marzo 2010
MA COM’ DIFFICILE INCASTRARE DON FEF - Q
uando ha letto su Repubblica la notizia di una possibile richiesta di arresto che potrebbe arrivare dalla Procura di Catania, Raffaele Lombardo ha sorriso sprezzante: ”spazzatura mediatica”. Prima ancora di smentire i suoi rapporti con Cosa Nostra, il Governatore ha attaccato la possibile fonte della soffiata: ”la matrice della diffusione della notizia è politica”. Lombardo teme più le congiure interne al Pdl (che lo vedono contrapposto al ministro della giustizia Angelino Alfano) che l’azione della magistratura. Arrestato due volte, per due volte è stato scarcerato con tante scuse. Il 22 aprile del 1992 era già un ras della politica catanese quando finì dietro le sbarre per un presunto abuso d’ufficio in un concorso. Si dimise da assessore, fu condannato in primo ma fu scagionato completamente in appello. Appena in tempo per essere arrestato la seconda volta nel luglio del 1994 per la presunta associazione a delinquere relativa a un appalto ospedaliero da 48 miliardi di vecchie lire vinto dall’ex presidente dell’I n t e r, Ernesto Pellegrini, con la sua società di ristorazione. I giudici cambiarono il reato in finanziamento al partito, ormai prescritto. Non sarà certo un’accusa per concorso esterno in associazione mafiosa a fari perdere il sonno a Lombardo. Allevato nel vivaio dei giovani Dc, in politica da quaranta anni, negli anni ottanta era uno dei delfini di Calogero Mannino insieme al suo ex amico Totò Cuffaro. Nonostante un destino comune (entrambi Governatori indagati per concorso esterno) la loro stoffa è ben diversa. Una volta Lombardo si vantò di avere regalato a Cuffaro un gallo e dopo qualche mese confidò ai cronisti ”Totò mi ha raccontato che il mio gallo ha ucciso il suo”. Tanto è caldo e passionale ”vasa vasa” Cuf faro, quanto è freddo e calcolatore Lombardo, che si circonda di collaboratori per filtrare i contatti con l’esterno. Anche nei rapporti con la magistratura hanno seguito strade diverse. Totò inviava cornici d’argento ai magistrati dell’antimafia nella speranza di creare un buon feeling con i pm che poi lo faranno condannare, Lombardo invece ha nominato assessore alla sanità quel Massimo Russo, ex segretario dell’associazione magistrati di Palermo, l’uomo che dava la caccia al boss Messina Denaro, il pm che aveva osato criticare il procuratore Piero Grasso per la sua moderazione e che ora resta al suo posto (senza essersi mai dimesso dalla magistratura) nonostante i suoi colleghi indaghino il suo capo. Ecco, quando hanno visto Lombardo che metteva a guardia del granaio elettorale di Cuffaro (la sanità e i rapporti clientelari che la pervadono) proprio il pm che aveva appena finito di coordinare le indagini sulla sanità trapanese (dominata dai cuffariani) tutti hanno capito che Raffaele Lombardo è uomo da non prendere sotto gamba. Anche nei contatti con la mafia, stando alle inchieste almeno, Totò e Fefé hanno seguito strade diverse. Prima ancora di essere eletto il nome di Totò era già finito in un’infor mativa sull’appoggio elettorale dei boss di Brancaccio. Mentre a due anni dall’elezione, Lombardo sembra un illustre sconosciuto per la Procura di Palermo. Se Cuffaro incontrava il re delle cliniche vicino a Provenzano, Michele Aiello, nei sottoscala e nel retrobottega dei negozi di biancheria, Lombardo è stato attento a evitare rapporti diretti con gli uomini del boss Vincenzo Aiello (solo omonimo dell’altro) il capo della provincia mafiosa di Catania, arrestato pochi mesi fa dalla Polizia. Sono stati proprio i presunti rapporti dei fratelli Lombardo con il boss Vincenzo Aiello, segnalati dai Carabinieri del Ros nell’inda gine segreta rivelata ieri da Repubblica, a portare la Procura a indagare i ”Lombardos”, come li chiamano a Catania. Ma in realtà dei due Lombardo a rischiare di più dal punto di vista giudiziario non è il Governatore (che finirebbe in carcere non essendo deputato) ma il fratello Angelo, più giovane di dieci anni ed eletto deputato nelle file dell’Mpa. Proprio Angelo è stato il coordinatore della poderosa macchina elettorale che, grazie alla rete dei patronati sparsi per i quartieri popolari di Catania, ha garantito una valanga di voti all’Mpa. Secondo le indiscrezioni riportate da Repubblica, entrambi i fratelli rischierebbero la richiesta di arresto. In realtà i pm, infuriati per la fuga di notizie, non erano affatto convinti di formulare una richiesta di arresto sul Governatore. Anche perché gli uomini legati al clan, pur riuscendo a contattare il fratello mediante il suo autista, si lamentavano perché Raffaele sfuggiva ai rapporti con loro. A Catania tutti sono pronti a scommettere su don Fefé: anche stavolta il gallo più furbo della politica siciliana uscirà vivo dalla battaglia.