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 2010  marzo 29 Lunedì calendario

FINANZA ISLAMICA

Ubbidire a Maometto in certi casi può far guadagnare di meno in Borsa. Nelle Filippine conviene investire nell’indice azionario convenzionale piuttosto che optare per quello islamico, cioè composto di azioni di società che rispettano i dettami della Shari’ah, e così anche in Tailandia o in Indonesia. A Hong Kong e in Pakistan, invece, è vero il contrario, come pure in Corea del Sud o in India. Complessivamente, nella prima analisi-confronto di questo genere diffusa dalla Dow Jones per il mese di marzo, le versioni tradizionali degli indici battono quelle islamiche per 16 vittorie a sette.
La Dow Jones Indexes, la società specializzata nella creazione di indici dei mercati azionari di tutto il mondo, ha introdotto negli anni recenti oltre una ventina di panieri particolari, che sono un obbligo per la clientela di investitori musulmani devoti ma che sono ovviamente accessibili anche al pubblico più generale, utilizzabili come riferimento per i relativi fondi indicizzati ed Etf. Se sulle piazze asiatiche la partita delle performance si è chiusa quasi in parità, otto a sei, è sul piano globale che l’Islam ha deluso quasi ovunque, con la sola eccezione del Dow Jones Islamic Market Titans 100 (le 100 maggiori azioni di società che rispettano la Shari’ah) che ha dato nel mese il 4,79%, più del 4,67% realizzato dal Dow Jones Global Titans 50 (le 50 azioni più capitalizzate al mondo). Altrove, la religione è stata un fardello. Il Titans 25 Islamic Asia/Pacifico è cresciuto del 5,43%, ma il Dow Jones Asian Titans 50 ha dato il 6,11%. In Europa, il Dow Jones Europe Index ha reso il 5,70%, battendo il 5,24% del Market Europe Titans 25 Islamic. Negli Stati Uniti, il Market Us Titans 50 Islamic ha dato il 4,49%, mentre il classico Dow Jones Industrial Average il 5,46%.
Il paniere di azioni del Dow Jones Bric 50 Index (il Dow delle borse di Brasile, Russia, India e Cina) ha guadagnato il 6,14%, mentre il Dow Bric Islamic Equal Weighted si è fermato a 5,95%. Anche sulle piazze prevalentemente islamiche, i relativi panieri religiosi casalinghi hanno fatto peggio: in Kuwait il Dow Islamic ha perso lo 0,24%, mentre il Kuwait Composite ha addirittura guadagnato il 3,29%; in Turchia il Dow Total Stock Market è balzato dell’8,97%, staccando il Dow Islamic finito a +6,75%; il Dow Islamic degli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo è cresciuto del 2,48%, meno della metà del Dow Gcc Index che ha reso il 5,11%.
La macroregione asiatica è dove i precetti della Shari’ah hanno dato le maggiori soddisfazioni. L’indice Dow Asia Pacific Im, Islamic Market (5,96% contro il 5,53% del paniere tradizionale), l’Hong Kong Im (7,96% contro il 5,61%), l’India Im (6,93% contro il 6,55%), il Japan Im (4,61% contro il 4,36%), il Dow Pakistan Islamic (3,74% contro il 2,41%) e il Dow South Corea Im (8,64% contro il 7,73%) hanno premiato chi ha rispettato l’Islam. Nel resto delle piazze orientali, la fede è costata cara, anche vari punti percentuali di differenza di performance dall’1 al 24 marzo: in Tailandia il Dow Im ha dato il 7,71% (contro l’11,13% del paniere normale), nelle Filippine il Dow Im l’1,64% (contro il 6,02%), in Indonesia il Dow Im il 5,72% (contro il 9,34%), in Cina il Cina Offshore Im l’1,95% (contro il 3,03%), in Malesia il Dow Im il 4,21% (contro il 5,67%), a Singapore il Dow Im il 5,27% (contro il 5,89%), a Taiwan il Dow Im il 5,03% (contro il 5,46%), e nello Sri Lanka il Dow Im ha perso il 2,02% (contro lo 0,19% dell’indice tradizionale).