Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 29/03/2010, 29 marzo 2010
IL MODELLO UNICREDIT E I SUOI NEMICI
In tre, quattro giorni, si decide se Alessandro Profumo sarà ancora l’amministratore delegato di Unicredit. Ma in gioco c’è qualcosa di più di una gran poltrona. In gioco è il modello di banca più eterodosso che sia stato perseguito in Italia negli ultimi vent’anni: un centro di potere programmaticamente attento ai soci, eccellenti e non, più che al governo e alle grandi famiglie dell’economia.
Prima degli amministratori, si esprimeranno il top management e le fondazioni, che detengono il 12-13% del capitale. Il chiarimento avviene in un clima di tensione di cui non si avvertono facilmente le ragioni reali. Un anno fa, la sostituzione di Profumo si sarebbe capita. Il titolo era precipitato all’inferno. La banca chiedeva soldi ai soci più importanti per le vie brevi delle obbligazioni cashes perché non avrebbe avuto la forza di varare un aumento di capitale. Oggi, come spiega il CorrierEconomia, la banca ha ripreso. E gli stessi analisti di Intesa Sanpaolo, la grande rivale, prevedono cavallerescamente che nel 2011 l’utile di Unicredit tornerà sopra i 4 miliardi.
Profumo ha governato la bufera tagliando gli attivi, per ridurre la leva finanziaria, e i costi, per avere maggiore efficienza. Purtroppo, il taglio degli attivi comprende anche gli impieghi, ma questo è un fenomeno comune alle banche maggiori. capitato che Unicredit sia stato di manica più stretta di altri istituti nelle trattative sulla ristrutturazione delle esposizioni di alcuni debitori d’alto rango: da Zaleski a Zunino, da Tronchetti Provera a Sensi. Ma prima di dire che ciò è dovuto a minor senso di responsabilità, bisognerà forse vedere quali erano le garanzie che ciascuna banca aveva spuntato in precedenza.
La politica del rigore di stampo anglosassone ha avuto le sue eccezioni. Profumo ha dato un contributo decisivo alla cacciata di Maranghi da Mediobanca, teleguidata dall’allora governatore Antonio Fazio, e poi si è trovato a sostenere i maranghiani nei successivi conflitti in piazzetta Cuccia. L’acquisizione di Capitalia era stata benedetta dalla politica, di ogni colore, e caldeggiata dalla Banca d’Italia prim’ancora che fosse approvata dai consigli. Ma alcune scelte di Unicredit restano quali segni di contraddizione nel capitalismo italiano: tenere la banca fuori dall’editoria, rifiutare di entrare nel salvataggio dell’Alitalia, oneroso per l’Erario ma non per chi l’ha promosso in sede politica, stare fuori da Telecom Italia. Non è detto che le scelte diverse fatte dalle altre banche siano sempre state sbagliate. Non è detto che abbia sempre torto chi talvolta ironizza sull’ anima bella del duro e puro. Ma un’economia di mercato è tanto più sana quando, nel rispetto delle regole, si confronta una pluralità di modelli. Il pensiero unico non è solo quello del capitalismo finanziario che ha dilagato dopo la caduta del Muro di Berlino ed è stato infine travolto dai suoi eccessi. Il primo dei quali era proprio quello di sentirsi unico. Pensiero unico è anche quello, poco pensoso e molto pratico, che estende il concetto di sistema fino al punto di far rifluire ogni iniziativa economica rilevante all’interno di uno scambio oligarchico e opaco.
Un eventuale ritiro di Profumo farebbe felici molti. Ma per la banca quali sarebbero i vantaggi? Sul tavolo c’è una riorganizzazione del gruppo che, nelle linee generali, è già stata accettata. La Banca d’Italia chiede più accountability? Ma la storia è piena di queste iniziative della Vigilanza, giuste per definizione. Il governatore Mario Draghi chiese a Mediobanca garanzie di governance; sembrava la fine del mondo, e invece le ottenne e tutto finì lì. Si mette in crisi la più grande banca italiana per questioni di carattere o per un country manager? La sproporzione parla da sé.
Certo, nemmeno questo banchiere potrà stare in eterno dove sta. Ma le successioni si preparano in un altro modo. E la Borsa l’ha già fatto capire. Per diventare Profumo, Profumo ha avuto bisogno di qualche anno di apprendistato a fianco di Lucio Rondelli. Diversamente, avrebbe esercitato un potere conferito e non ottenuto per autorevolezza propria. Ma forse è questa la tentazione che serpeggia tra i grandi elettori della grande banca. I quali rischiano a loro volta di essere eterodiretti dalla politica.
Massimo Mucchetti