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 2010  marzo 29 Lunedì calendario

2 articoli - LA FLOTTA GLOBALE DELLE NAVI FANTASMA - Cambiano nome, bandiera e carico. Dichiarano una rotta e ne seguono un’altra

2 articoli - LA FLOTTA GLOBALE DELLE NAVI FANTASMA - Cambiano nome, bandiera e carico. Dichiarano una rotta e ne seguono un’altra. A volte si nascondono nei tanti angoli che riserva il mare: un’isola, un porto dove non si fanno controlli, un’area sotto costa poco vigilata. Rifugi capaci di avvolgere e coprire le navi che trasportano qualcosa di inconfessabile. Con il 90 per cento del commercio che si muove lungo le rotte marittime è inevitabile che si creino spazi per i cargo fantasma, pronti ad accogliere nelle stive armi, clandestini, droga e tutto quello che si può contrabbandare. Ma può anche capitare che i capitani non sappiano cosa stiano realmente portando o facciano finta di non saperlo. Sono mercantili con le carte in regola. Si limitano a imbarcare delle casse che, secondo la documentazione, contengono «tubi» o «apparecchiature petrolifere». Solo aprendole si può scoprire che in realtà si tratta di missili e spolette. Nel 2009 il giallo dell’estate è stato il caso della «Arctic Sea», il mercantile russo sparito nel Baltico e poi riapparso a Capo Verde dopo uno strano episodio di pirateria nelle tranquille acque svedesi. Ancora oggi nessuno è riuscito a scardinare il segreto. Chissà cosa trasportava. E per conto di chi? Ed erano davvero corsari i protagonisti dell’arrembaggio? Perché la flotta russa si è lanciata all’inseguimento? In attesa di risposte che forse non arriveranno mai la «Arctic Sea» ha ripreso il suo peregrinare per mare, molto spesso sulla tratta Nord Europa-Nord Africa. Come in estate chi è al comando, ogni tanto, spegne il transponder, il segnalatore elettronico. Poi lo riattiva.  un piccolo quanto frequente espediente usato dai capitani dei vascelli fantasma. Con l’aiuto di esperti e funzionari della sicurezza di Stati Uniti, Italia, Israele e Colombia abbiamo cercato di ricostruire i loro movimenti. Il traffico più interessante è quello che riguarda la tecnologia doppio uso’ a scopo militare e civile’ o ilmateriale bellico. Durante gli ultimi mesi sono stati registrati numerosi fermi di cargo: tra gli 8 e i 10 quelli conosciuti, ma sono sicuramente di più. Il flusso per le armi è planetario, tuttavia ha delle rotte più «calde». La prima è quella che riguarda l’Iran. Teheran, colpita da embargo, acquista armi dove può. Quindi ne trasferisce una parte ai suoi alleati regionali, come Hamas, l’Hezbollah e le milizie sciite nello Yemen. Proprio in quest’ultimo Paese, le autorità hanno intercettato, di recente, due piccoli mercantili che portavano aiuti ai ribelli: ad esempio, nell’ottobre 2009, la guardia costiera ha bloccato la «Mahan 1» con un carico per gli Houthi. I grandi rifornitori degli iraniani sono i coreani del Nord. Fanno favori agli amici e soprattutto incassano denaro. Le loro navi o quelle con bandiere di altri Paesi di comodo – ad esempio la Mongolia, malgrado non abbia sbocchi al mare – raggiungono il Golfo dopo frequenti soste. In Birmania – altro stato beneficiario di trasporti illegali ”, in Malaysia, in India e negli Emirati. La Marina indiana, in agosto, ha inseguito la «Mv San» ed è stata costretta a sparare per fermarla: a bordo c’erano solo sacchi di zucchero, ma il cargo ha fatto strane soste in Cina e Singapore. Qualche settimana dopo sono le autorità di Abu Dhabi a rincorrere la «Australia»: scoprono container con 10 tonnellate di armi provenienti dalla Corea del Nord e acquistate dagli ayatollah. La nave ha come base Melbourne ma batte bandiera delle Bahamas. Sembra che abbia imbarcato il carico in Cina. Coinvolta anche una società di spedizionieri italiani. Ai primi di ottobre cade nella rete americana la «Hansa India». Cargo tedesco noleggiato dagli iraniani: trasporta armi e munizioni. Viene ispezionata a Suez dopo un intervento Usa. Altro episodio. Con un blitz, il 4 novembre, gli israeliani fermano in Mediterraneo la «Francop». Equipaggio polacco, proprietari tedeschi, bandiera di Antigua, nei container 500 tonnellate di razzi e granate. Il fornitore è l’Iran, il destinatario è l’Hezbollah. Gli stessi israeliani ammettono che capitano emarinai ignoravano di trasportare armi. Poiché l’intelligence è in allerta, chi fa i traffici ricorre a una manovra classica: i container partono a bordo di una nave, poi vengono scaricati in un porto e trasbordati su un altro vascello. In alcune situazioni c’è un cambio in alto mare. Di solito in uno dei «boschi», così li chiamano gli ufficiali del centro Nato di Nisida (Napoli) che sorveglia il Mediterraneo. Zone al largo di alcuni Paesi arabi dove la vigilanza è meno stretta o comunque più tollerante. Manovre evasive che conducono anche i mercanti dei nuovi schiavi, gli immigrati clandestini. Se nel Canale di Sicilia si affidano a barconi e alle famigerate carrette, in altri scacchieri sono più sofisticati. Intrigante la vicenda di una nave arrivata in Canada. Partita l’8 settembre da Mundra (India nord occidentale) con il nome di «Princess Easwary» diventa la «Ocean Lady» e si presenta davanti a Vancouver. A bordo 76 profughi tamil. Le indagini accertano che aveva bandiera cambogiana mentre la proprietà è di una società registrata alle Seychelles ma con un indirizzo a Cebu, Filippine. Un recapito «vuoto». C’è il sospetto che la «Ocean Lady» faccia parte di una serie di unità legate alle Tigri Tamil e gestite da un’organizzazione con base in Indonesia. Sconfitti militarmente dall’esercito dello Sri Lanka, i separatisti hanno riattivato la loro flotta segreta. Una volta serviva per alimentare la ribellione: è così che per anni hanno portato sull’isola cannoni, munizioni e persino degli aerei smontati. Adesso si servirebbero delle navi per far scappare i dirigenti. Non meno intraprendenti i narcos sudamericani, tra i primi a usare la via del mare. La loro «armada» è composita. Si parte dai piccoli velieri e si arriva alle navi tradizionali. Senza dimenticare la novità dei mini-semisommergibili in fibra. Come per i grandi commerci, loro hanno bisogno di stive capaci. E non faticano a trovarle. Il problema è quello dei «gusci», ossia gli oggetti all’interno dei quali celare la cocaina. Ma dimostrano fantasia e inventiva. Una volta confezionati i pacchi li infilano in uno dei 500 milioni di container che vanno in giro per il mondo. O li affidano ad una delle 30 mila unità sopra le 10 mila tonnellate che incrociano gli oceani o, ancora, ai mercantili noleggiati per l’occasione. Riuscire a intercettarli equivale a una scommessa. Guido Olimpio ZoomCondivideteStampaAscoltoTradurre IL DETECTIVE DEGLI OCEANI E’ UN SOTTOMARINO ITALIANO - Per seguire una «nave fantasma» serve uno squalo invisibile e silenzioso. Capace di tallonare la preda, di studiarne i movimenti, di capire cosa possa avere nella «pancia». E il sottomarino italiano «Scirè» è davvero uno squalo silenzioso. Lo è talmente che l’Us Navy lo ha accolto, nei mesi scorsi, all’interno di un suo apparato per sofisticate e complesse esercitazioni in Atlantico. Nel settembre 2008 era stato il gemello «Todaro» a interpretare la parte del nemico, riuscendo a cogliere di sorpresa una gigantesca portaerei e il suo scudo difensivo. In estate è toccato invece allo «Scirè» che ha mostrato le sue capacità nel ruolo di amico. In diverse occasioni, sotto la guida del capitano di Corvetta Alberto Tarabotto, ha ingaggiato finti duelli con le unità «avversarie». E in un’occasione è riuscito a seguire, per ore, senza essere visto un gigantesco sottomarino nucleare statunitense. Un buon test per un mezzo competitivo. L’unità, che ospita 28 uomini e un eventuale nucleo di incursori del Comsubin, è l’ideale per missioni di intelligence. Dispone di sensori e sistemi in grado di captare comunicazioni o segnali elettronici. Il periscopio scatta foto all’infrarosso che possono poi essere ritrasmesse via satellite al comando. Dunque nel caso il battello stia «filando» un cargo, può seguirlo a distanza, vedere cosa combina in alto mare omentre si avvicina ad un porto. Si verifica «l’identità» così come se mantiene la rotta annunciata. L’equipaggio non è solo addestrato a lanciare siluri’ opzione remota di questi tempi – ma è ben preparato nel condurre ricognizioni sensibili. Può restarsene rintanato al largo oppure infiltrarsi. Costruito dalla Fincantieri nell’ambito di un progetto comune con la Germania, l’U212A è un gioiello di tecnologia. Compatto, aggressivo, lascia una traccia acustica ridottissima grazie al particolare sistema propulsivo. Ma è anche «amagnetico», la sua traccia è pari a quella di un peschereccio di legno. Molto bassa anche la traccia radar e all’infrarosso. Il teatro operativo dello «Scirè» e del «Todaro» è ovviamente il Mediterraneo. Un mare dove ogni giorno transitano non meno di settemila navi. E tra queste – suggeriscono fonti Nato’ ve ne possono essere una dozzina di sospette o comunque da non perdere di vista. Vengono filate da «sotto», con i sottomarini, oppure con le unità di superficie della Marina. Per allungare il raggio di esplorazione si ricorre alla ricognizione aerea e a un’attività informativa a terra. I servizi di intelligence dell’Alleanza Atlantica hanno poi buoni occhi e orecchie in scali importanti. Sono le vedette che segnalano la presenza di un cargo interessante. Dal giugno 2007 gli Stati Uniti, preoccupati per la proliferazione di armamenti non convenzionali, hanno migliorato la sorveglianza strategica. Sono stati, infatti, messi in orbita due satelliti-spia (costo, 700 milioni di dollari). Devono monitorare i movimenti di navi che potrebbero essere coinvolte in traffici illeciti. E il sistema sembra funzionare. Se è aumentato lo stop in alto mare o nei porti di navi da perquisire lo si deve anche alle informazioni raccolte dai due «falchi» che volano a migliaia di chilometri di altezza. G.O.