Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 28/03/2010, 28 marzo 2010
ROMANZI E MANAGER. RACCONTI DI UNA CRISI
«Il perché, Marco, mi sembrava di avertelo già chiarito ieri sera… Avremmo gettato al vento decine e decine di milioni di campagne pubblicitarie passate. E una simile follia, per quale motivo?... So bene che liberarsi di tanti colleghi, anche se sono degli scansafatiche’ e vi assicuro che nella nostra azienda di scansafatiche ce ne sono parecchi ”, non è esattamente piacevole. Ci vuole coraggio… Ma siamo pagati anche per questo, per prendere decisioni difficili. Espellere i pigri e gli incapaci, affondare i denti nelle carni malate e strapparle via per salvare le sane… Un po’ di sangue rigenera». Richard, capo del Nord Europa, sta intervenendo al summit della multinazionale che si tiene a Waterloo, quando Marco Leoni lo interrompe: «Ti piace il sangue, Richard? La carne umana? Cosa sei, un cannibale?». Anche Leoni è un top manager, ma ha un’idea diversa su come affrontare la crisi. Un’idea minoritaria. E quella rottura del galateo aziendale contro la retorica lacrime e sangue (degli altri) lo mette in cattiva luce presso il Capo e pregiudica la nuova carica che lo aspetta. il momento centrale del nuovo romanzo di Sebastiano Nata (l valore dei giorni, Feltrinelli, 16 euro).
Nata racconta cinque giorni di un alto dirigente, uomo di successo, che incontra il fratello, generoso, forte e spiantato, sulla tomba del padre, va al meeting in Belgio e torna a Porto San Giorgio perché il fratello improvvisamente muore. La vita reale irrompe a destrutturare quella artificiale che pone la ricerca del valore per gli azionisti e del bonus per i dirigenti al di sopra di tutto. Il bagno di umanità nella cittadina marchigiana induce Marco, che aveva ottenuto la carica rinnegando se stesso, prima a voler fuggire e poi a tornare al lavoro e a riprovarci. Finale ottimista, da New Deal: pensiero forte in una vita debole. La letteratura comincia a seguire il cinema nel raccontare l’irragionevolezza dell’homo oeconomicus. Viene in mente, per opposizione, un altro romanzo, Le mosche del capitale, di Paolo Volponi, un grande ormai scomparso che Einaudi dovrebbe ripubblicare o lasciare che altri ripubblichino, anziché blindarne furbescamente i diritti. Volponi dipinge il fallimento industriale del professor Bruto Saraccini, manager umanista, e chiude con il Presidente che morendo urla al tirapiedi Sommersi Cocchi: «Quel pazzo di Saraccini, idiota megalomane, invasato populista, misticheggiante, con il suo Galbraith e la sua nuova frontiera… Saraccini non troverà più un lavoro, dovrà andare a ritrovare il suo Roosevelt e la sua Tennessee Valley. Dovrà ridursi a fare il professore! Ingegnere! Lei non si lasci intimidire dalle false culture. Sia sicuro della nostra scienza e del nostro diritto: i conti sono i conti». Volponi, un olivettiano poi allontanato dalla Fondazione Agnelli per le sue simpatie di sinistra negli anni Settanta, finì parlamentare di Rifondazione comunista, che oggi è fuori dal Parlamento. Il suo romanzo, dallo stile barocco e sperimentale, risale al 1989, quando crolla il Muro di Berlino. Quello di Nata, secco come un film di Ken Loach, è del 2010, dopo la caduta di Wall Street. Anche Nata è manager.
Massimo Mucchetti