Giorgio Manzi, Il Riformista 28/3/2010, 28 marzo 2010
DENISOVA, IL TERZO INCOMODO TRA NEANDERTHAL E HOMO SAPIENS
La notizia è carica di motivi d’interesse e già rimbalza sui mezzi di comunicazione di tutto il mondo. Tuttavia, non è una notizia facile da decifrare e nemmeno da divulgare, a meno di non voler cadere nei soliti luoghi comuni del tipo ”Un nuovo antenato porta a riscrivere la storia dell’evoluzione umana”. Vediamo di cosa si tratta, sia pure con la prudenza che dobbiamo avere nel valutare un dato scientifico nuovo, sorprendente e, per il momento, isolato (anche se lo è solo a prima vista, come vedremo).
La rivista internazionale Nature annuncia questa settimana il risultato dell’analisi genetico-molecolare di un fossile umano di 40mila anni fa rinvenuto in una grotta dei Monti Altai, in Siberia meridionale. Gli autori dell’articolo scientifico appartengono al gruppo leader nello studio del cosiddetto ”Dna antico”: quello guidato da Svante Pääbo, uno dei direttori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, in Germania. Pääbo e gli altri autori della ricerca mostrano, con dati robusti in mano, di aver potuto estrarre e di saper decifrare l’intera sequenza del Dna mitocondriale (un materiale genetico particolarmente utile in questo tipo di studi) dell’essere umano a cui il fossile siberiano apparteneva.
Il reperto è costituito da una minuta porzione d’osso: la falange di un dito. Qualcosa che non dice molto dal punto di vista morfologico. Si capisce che è umano, ma non può portare a una diagnosi di specie. Da questo punto di vista, l’attesa dei ricercatori che da tempo scavano nel sito preistorico, la Denisova Cave, era che potesse trattarsi della falange di un Neanderthal. I Neanderthal sono forse la forma umana estinta che conosciamo meglio; e da vari punti di vista: morfologico, archeologico e anche genetico. Sappiamo che i Neanderthal hanno popolato per centinaia di migliaia d’anni il continente europeo, diffondendosi in parti del Vicino Oriente e dell’Asia continentale, per estinguersi intorno a 30mila anni fa, a fronte dell’impatto ecologico di un’altro tipo umano: noi stessi, Homo sapiens. La nostra specie, all’epoca anch’essa nel pieno della propria preistoria antica, si era invece originata in Africa e aveva iniziato a diffondersi in Eurasia a partire da qualcosa come 100mila anni, raggiungendo più tardi l’Asia centrale. In effetti, la falange della Denisova Cave poteva anche essere di un Homo sapiens. Nella zona dei Monti Altai sono infatti evidenti le tracce archeologiche della frequentazione da parte di entrambi i tipi umani – Neanderthal e Homo sapiens – intorno a 40mila anni, la data del fossile in esame.
Il risultato della ricerca è sorprendente per almeno tre importanti ragioni. Innanzi tutto, perché il Dna estratto da quel pezzo d’osso apparentemente insignificante non risulta essere né di Homo sapiens né di Homo neanderthalensis, contrariamente alle attese. Conosciamo bene la variabilità interna alla nostra specie per quella porzione di Dna e da una dozzina d’anni abbiamo iniziato a conoscere anche quella dei Neanderthal. Le due specie sono geneticamente diverse fra loro, a tal punto che molti di noi sono convinti che non ci possa essere stata ibridazione quando esse condivisero per migliaia d’anni i territori dell’Europa e di parte dell’Asia. Questo significa che una terza forma umana, anch’essa probabilmente isolata dalle altre per la sua diversità genetica, era presente nelle valli dei Monti Altai intorno a 40mila anni fa. piuttosto suggestivo immaginare questo scenario. Da decenni cerchiamo di scrutare le dinamiche dell’interazione fra gli ultimi Neanderthal e i primi Homo sapiens. Ora sappiamo che, quanto meno in Asia centrale, c’è da valutare la ben più complessa (e affascinante) rete di rapporti fra tre diverse specie di Homo. Erano tutte e tre specie umane, ma al tempo stesso erano sufficientemente diverse da non potersi riconoscere come membri della stessa specie, né dal punto di vista genetico e, forse, nemmeno da quello morfologico e comportamentale.
Ma c’è di più ed è questo il secondo motivo d’interesse della ricerca. Non solo il Dna della falange della Denisova Cave è diverso da quelli di Neanderthal e Homo sapiens, ma la sua composizione in basi azotate è anche molto diversa da entrambi i campi di variabilità genetica. Più precisamente, se un Neanderthal e un Homo sapiens presi a caso sono distanti (diciamo) 100, Denisova è differente dallo stesso nostro rappresentante almeno tre volte questa cifra. La misura della distanza genetica porta, a sua volta, a una valutazione dei tempi di divergenza evolutiva. Con questi dati, infatti, si può stimare che le linee filetiche di Neanderthal e Homo sapiens si separarono intorno a mezzo milione di anni fa. Di conseguenza, c’è da ritenere che la separazione della linea evolutiva rappresentata dal fossile della Denisova Cave, cioè il momento in cui le tre specie avevano ancora un antenato in comune, sia da far risalire a prima di 1 milione di anni fa, con una proiezione probabilistica media di circa 1.040.000 anni.
Per capire la portata di questo nuovo dato, dobbiamo fare allora un salto ancora più indietro nel tempo profondo e ricordare cosa sappiamo dell’evoluzione umana intorno a un milione di anni fa, sia pur in modo assai sintetico. Peraltro, una simile digressione ci porta a navigare in una fase della storia naturale del genere Homo che comprendiamo ancora relativamente poco. In due parole, diciamo che il genere Homo (conosciamo ad esempio la specie Homo habilis) era comparso intorno a 2 milioni di anni fa in Africa orientale. Con esso, era iniziata una diffusione geografica inedita, che aveva portato forme umane primordiali a diffondersi anche in Eurasia: un fenomeno noto come out-of-Africa 1. Ma non è questa l’epoca indicata dal fossile della Denisova Cave. Dobbiamo allora pensare a una seconda grande diffusione di ominidi, avvenuta quasi un milione di anni dopo rispetto a quella dei 2 milioni di anni?
In effetti, abbiamo ormai abbondanti evidenze paleontologiche che proprio intorno a un milione di anni fa larga parte dell’Eurasia fu sottoposta a un colossale ricambio nelle flore e nelle faune. un fenomeno noto fra gli addetti ai lavori con l’acronimo MPR: la Middle Pleistocene Revolution. Personalmente, sono orientato a pensare che il risultato dell’analisi del fossile della Denisova Cave, per quanto sorprendente, punti proprio in questa direzione (già in parte nota, come si vede) e indichi che l’ultimo antenato in comune fra il ”terzo incomodo” dei Monti Altai, i Neanderthal e Homo sapiens sia figlio della MPR.
Il terzo notevole elemento d’interesse di questa ricerca è forse il più ovvio. Come ha avuto modo di commentare lo stesso Svante Pääbo (il leader del gruppo di autori dell’articolo di Nature): «Le analisi molecolari sui resti fossili possono dare oggi un contributo formidabile alla paleoantropologia, anche quando non vi è alcuna informazione morfologica conservata... siamo solo all’alba di nuovi affascinanti prospettive per la ricerca in questo campo».