Filippo Rizzi, L’Avvenire 28/3/2010, 28 marzo 2010
«VI SVELO MIO PAPA’, ALDO FABRIZI»
Poeta e cantore del vernacolo romanesco, vetturino, fruttivendolo in Campo dei Fiori e bigliettaio a bordo dei tram sul set come nella vita. Ma soprattutto figlio di una romanità sparita, e di riflesso, della buona tavola. Il 2 aprile di vent’anni fa, si spegneva, dopo una lunga malattia nella sua città, Roma a 85 anni Aldo Fabrizi ( 1905- 1990). Un attore e regista, rimasto nell’immaginario collettivo per aver interpretato ruoli cult in Roma città aperta con Anna Magnani( 1945) nei panni dell’eroico don Pietro Pappagallo, Guardie e ladri di Steno e Monicelli ( 1951), i Tartassati di Steno con l’inseparabile Totò o lo scoliano
C’eravamo tanto amati ( 1974). Un personaggio che attraverso i suoi modi, la sua apparente bonomia, il suo carattere a volte spigoloso, la sua saggezza spicciola ha raccontato attraverso i suoi personaggi Roma, l’Italia postbellica, mettendo in evidenza i limiti ma anche le grandezze dell’italiano medio. ( Famosi i suoi
sketch anche in televisione come in teatro accanto a Mina, Paolo Panelli o Bice Valori). Di questo ne è convinto il figlio Massimo, musicista di professione grazie anche al sostegno di un amico di suo padre, il grande Nino Rota. « Mio padre oggi è un divo dimenticato ahimé – rivela il figlio e autore, tra l’altro, di un bel libro sul grande attore Aldo Fabrizi, mio padre
( Gremese editore, pagine 170, euro 15) – perché non esiste il mondo che lo ha visto grande regista e attore ma anche per il suo carattere difficile e ingombrante. La sua pignoleria nei copioni come nel recitare lo hanno portato a isolarsi e a farsi tanti nemici » .
Come fu il suo rapporto con i registi e con gli artisti in genere?
« Fu un rapporto splendido con registi e sceneggiatori come Mario Amendola e Mario Bonard che lo diresse nel suo primo film Avanti c’è posto . Non correva invece buon sangue tra lui e Rossellini. Pensi che fu mio padre a salvare la scena clou di Roma città aperta , dove la Magnani cade in modo naturale, ma non previsto dal copione.
Rossellini voleva rifare la scena. Mio padre si oppose e credo che abbia avuto ragione lui: perché quello spezzone è entrato nella storia e nell’antologia del cinema. Aveva una grande stima per Federico Fellini che visse da giovane spiantato nella nostra casa romana e fu, tra l’altro, mio padrino di cresima. Poi i rapporti si guastarono ma mio padre intuì prima di altri che quel giovane allampanato di Rimini era un genio » .
E tra i suoi colleghi di chi aveva stima?
« Certamente aveva un bellissimo rapporto con Ave Ninchi. Per anni ’ zia Ave’ visse nello stesso condominio di mio padre a Roma. Ed era per noi una di famiglia. E poi mi colpì, lui sempre avaro di giudizi lusinghieri verso i colleghi, quello su Marcello Mastroianni di cui lo udiì sentenziare:’ – Sto ragazzo diventerà un grande attore’… »
Quali sono stati i suoi grandi rammarici?
« Credo di non aver potuto realizzare il suo grande sogno il ’ Festival della pastasciutta’ all’Infernetto, una zona di campagna alle porte di Roma » .
Ma un grande sodalizio professionale fu soprattutto con Totò…
« Si volevano bene ed erano due giganti dell’improvvisazione. Quando giravano insieme dovevano rifare la stessa scena perché scoppiavano a ridere. Una volta dovettero ricomprare due intere pizze di pellicola al regista; tanta era quella che gli avevano fatto sprecare… » .
Come le piacerebbe tenere viva la memoria del grande attore romano?
« Vorrei poter mettere in ordine e pubblicare tutte le lettere, circa duemila, di mio padre a personaggi importanti come a gente comune e dedicare alla sua memoria un libro di sonetti. Il motivo? Sarebbe così come avverare il sogno della sua vecchiaia realizzare quel libro di memorie che avrebbe desiderato pubblicare assieme ai suoi tanti volumi sulle ricette... » .
Come dovrebbe essere ricordato oggi suo padre a vent’anni dalla morte?
« Come un uomo autentico alla cui tavola imbandita potevano essere invitati dai grandi artisti all’idraulico di fiducia. Mi ha sempre colpito il suo amore sempre corrisposto dalla gente come nel suo congedo dalla scena al teatro Sistina con Bramieri, in cui, oramai malato e debole, mima il gesto di prendere il cuore con le mani e di gettarlo al pubblico in delirio. Ebbene in quel gesto spontaneo ma sempre recitato è stata come la sua eredità che si lascia a qualcuno che si ama » .
Per il figlio Massimo «oggi è stato rimosso perché è il divo di un’era scomparsa. Formidabili le amicizie con Totò e Ave Ninchi». Difficili i rapporti con Rossellini: «Lui voleva rifare la scena della morte della Magnani. Mio padre glielo impedì»