Gilberto Mastromatteo e Marco Benedettelli, L’Avvenire 27/3/2010, 27 marzo 2010
MALTA, GLI ULTIMI «PRIGIONIERI»
una gigantesca scatola, tutta di lamiera. Giace sotto il sole. Senza finestre, senza porte. Nell’hangar di Hal Far, estremo Sud Est di Malta, sono accampate 800 persone. E questa è solo una piccola parte dei 4mila rifugiati che vivono negli open centre
dell’isola, gli accampamenti destinati ai migranti che hanno già scontato la detenzione amministrativa.
L’hangar era una rimessa di aeroplani usata dalla Raf durante la Seconda guerra mondiale. stato riadattato a dormitorio nel giugno del 2008. Si entra solo dalla fessura lasciata aperta fra i due portelloni scorrevoli dell’ingresso. Dentro è quasi buio, l’odore buca le narici. Cibo, corpi umani e aria viziata, tutto mescolato. Alcuni occhi sbirciano da dietro veli e asciugamani stesi a fare da divisorio nell’alveare di letti a castello che si estende in quell’immenso androne, grande come un campo di calcio. Il tempo, qui, quello della clessidra, sembra annegato.
Un ragazzo somalo dallo sguardo scavato parla un po’ di italiano e si capisce che ha voglia di fare da guida. Racconta che prima della guerra, in Somalia, la sua famiglia era benestante. Ora ha perso tutto. Ha 22 anni, si chiama Mohammed Weli, ci mostra la sua tessera per gli approvvigionamenti mensili. Vive con ottanta euro al mese, il suo ’ vitalizio’ è stato decurtato di 50 euro. La multa per chi tenta di abbandonare l’isola, ma non può perché gli accordi di Dublino lo vietano. A Malta è arrivato per sbaglio. In realtà voleva approdare in Italia. Naufrago per errore. Qualcosa di simile accadde a san Paolo. Quest’anno ricorrerà l’anniversario numero 1950 del naufragio che portò l’Apostolo sull’isola, mentre era in viaggio verso Roma. E per l’occasione, il 17 e 18 aprile, papa Benedetto XVI sarà a Malta, dove, probabilmente, parlerà anche d’immigrazione. Anche se il Santo Padre difficilmente potrà osservare come vivono gli inquilini degli
open centre.
Negli ultimi due anni il numero degli immigrati accolti in queste strutture è quasi raddoppiato. « Fino alla scorsa estate l’emergenza era nei detention centre – spiega Alexander Tortell, direttore dell’Awas, l’agenzia che si occupa dei richiedenti asilo ”, ma ora che non ci sono più sbarchi i centri di detenzione si sono progressivamente svuotati, e tutti gli immigrati vivono nei centri aperti » . Chi vi risiede percepisce dal governo maltese 130 euro al mese. Poco più di 4 euro al giorno. Bisogna mettersi in fila e apporre la propria firma, tre volte alla settimana, la pena per ogni assenza è una decurtazione di 10 euro sul ’ vitalizio’. Chi tenta di lasciare l’isola, come Mohammed Weli, perde in un colpo 50 euro. E così dal campo ci sia allontana poco, anche perché trovare lavoro a Malta è un’impresa disperata. Qualcuno ci prova. All’alba ci sono gruppetti di africani che attendono, un po’ spauriti, nella piazza antistante l’ingresso alla Valletta. Aspettano qualcuno che gli paghi una giornata, spesso invano.
Ad Hal Far, oltre all’hangar, ci sono sedici container, stipati oltre ogni limite. Per cucinare si utilizzano pericolosi fornelli da campo, mentre l’espletamento dei bisogni corporali è delegato a otto bagni chimici in tutto. Il governo sta costruendo nuovi servizi igienici e uno spazio per le cucine. Ma i lavori sono appena iniziati. Immagini che riportano alla mente quelle di Rosarno e degli accampamenti nella ex cartiera di San Ferdinando e Rizziconi. In alcuni edifici a ridosso del campo vivono, invece, le famiglie, i minorenni non accompagnati e le donne.
A poche centinaia di metri sorge la tendopoli di Tent Village, che negli ultimi anni ha quasi raddoppiato la sua estensione per via dei nuovi arrivi. Qui, fra tende piene a dismisura e servizi igienici insufficienti, sono accampate altre 800 persone. E la promiscuità tra uomini e donne rende abituali i casi di violenza e stupro. I più fortunati – quasi un migliaio – vivono a Marsa, il centro aperto maschile, adiacente alla Valletta e ricavato da un ex edificio scolastico. Sono queste le strutture che si dividono il peso di 4mila rifugiati. Tutti hanno un solo obiettivo: continuare il proprio viaggio, non fermarsi lì. Sono arrivati dall’Ovest e dall’Est dell’Africa. In molti con le dita della mano rappresentano dei numeri: tre, sette, dieci. Sono i compagni di viaggio che hanno visto morire accanto a loro. Raccontano di aver subito percosse e violenze dalla polizia di Gheddafi: « In Libia, chi aveva i soldi per corrompere la polizia, continuava il suo viaggio verso Nord. Per gli altri, erano solo botte e prigione » , racconta un somalo, seduto sul suo letto mentre nella sua pentola sta bollendo del riso.
A Malta non vogliono mettere radici, ma sono bloccati qui dal regolamento europeo ’ Dublino II’, secondo il quale a doversi far carico dell’assistenza burocratica è il primo Paese dove il richiedente asilo ha messo piede. E dal quale, quindi, non può andarsene. Chi lascia l’isola, vi è riportato di peso una volta scoperto. Come Ale, un ingegnere chimico arrivato dalla Somalia cinque anni fa per scappare dalla guerra. stato in Olanda, è stato in Svizzera, ma poi è dovuto sempre ritornare a Malta perché qui c’è la sua pratica di richiesta d’asilo. Ha 47 anni, la sua famiglia è sparpagliata tra Africa ed Europa. Un figlio è ancora in Somalia con la nonna, un altro in Svizzera con la madre. Parla perfettamente l’italiano e dal fondo della sua voce cantilenante emerge un tormento rassegnato. « Qui ci sono tantissimi problemi, la gente è stanca, c’è chi parla da solo, chi si è completamente isolato dagli altri, chi si attacca al bere » , dice Ale.
Il governo si sta affidando a programmi europei ed extraeuropei per l’accoglienza degli stranieri ancora sul suo territorio. Per il 2010 gli Stati Uniti si sono offerti di ricevere 550 persone. Ma per tutti gli altri i tempi si annunciano molto lunghi.
« Sono sempre di più gli immigrati con forti disagi psicologici – conferma padre Joseph Cassar, responsabile dei Jesuit Refugee Service di Malta che ha sede a Birkirkara ”. Depressi, poverissimi. Il loro numero è aumentato negli ultimi anni. Molti di loro sono uomini senza famiglia, senza un mestiere che dia scopo alla loro vita » . Soprattutto, senza un orizzonte cui approdare.
Gilberto Mastromatteo e Marco Benedettelli, L’Avvenire 27/3/2010
LA SITUAZIONE
Dopo l’intesa sbarchi quasi azzerati
N essuno sbarco dallo scorso mese di ottobre. Circa 300 persone ancora in detenzione e quasi 4mila nei centri aperti. La fotografia della situazione attuale sull’isola di Malta restituisce qualche tono chiaro e parecchie zone d’ombra. Ad alleggerire la pressione ci ha pensato il calo negli arrivi, diretta conseguenza dell’accordo italo-libico. Il 2008 è stato l’anno di picco degli sbarchi nell’isola: 2.275. Nel 2009 sono stati 1.475. Simile anche l’andamento delle tragedie in mare. Se nel 2008 i dispersi nelle acque maltesi sono stati 1274, nel 2009 assommano a 425. A Malta, poi, ogni immigrato senza permesso di soggiorno compie un illecito amministrativo, pertanto viene trattenuto in detenzione. Il limite massimo, secondo la legislazione locale, è di 18 mesi. Fino allo scorso anno quella maltese era considerata un’anomalia in Europa. Oggi è la regola, dopo la direttiva adottata dalla Commissione europea all’inizio del 2009.
Eppure, la muraglia libica mostra già i primi segni di cedimento: il 24 gennaio, una barca con 25 immigrati tunisini è attraccata a Lampedusa, a tre mesi dall’ultimo arrivo di irregolari. E la crisi diplomatica in atto tra Libia e Svizzera rischia di far saltare l’intesa raggiunta nel canale di Sicilia. Le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani in Africa, non di rado spalleggiate dai governi locali, continuano a riversare migranti sulle coste nord-africane.
Basta un cenno perché il rischio di nuove stragi riprenda. ( G.M.; M.B.)