FABRIZIO D´AMICO, la Repubblica 27/3/2010, 27 marzo 2010
FAUSTO PIRANDELLO IL DOPPIO SPECCHIO DI UN ARTISTA
Il tempo maggiore d´uno dei principali pittori italiani del ventesimo secolo è oggi riunito in una mostra affollata di capolavori che la Galleria nazionale d´Arte moderna di Roma dedica a Fausto Pirandello: una cinquantina di dipinti datati ai secondi anni Trenta, la maggior parte dei quali fu esposta dal pittore, figlio di Luigi, nelle due vaste sale personali destinategli dalle due Quadriennali, del ”35 e del ”39, che ne affermarono per prime la statura (catalogo Electa). Ed è, diciamolo subito, una mostra memorabile, forse più intensa di quella che la stessa Galleria nazionale dedicò a Pirandello l´anno successivo alla morte, nel 1976: proprio per essere così concentrata nel tempo coeso che indaga; ma anche per esser venuta, quella del 1976, al termine di lunghi anni in cui la sua figura era stata un po´ accantonata dalla memoria storica, e questa di oggi - invece - per esser giunta in un momento in cui la sua pittura è stata in molte occasioni cruciali rivisitata e pienamente compresa.
Una mostra pensata da Claudia Gian Ferrari subito prima della sua scomparsa - alla quale, come a colei che più d´ogni altro ha lavorato per una corretta conoscenza dell´opera di Pirandello, essa è dedicata - e che la sovrintendente Maria Vittoria Clarelli potrà incaricarsi forse con successo di proporre altrove in un´Europa che conosce ancora poco del nostro artista, ma che se ne è mostrata sedotta.
Appena prima di preparare l´invio per la Quadriennale del ”35, Pirandello aveva esposto a Milano una grande tela, Il remo e la pala, con cui si apre cronologicamente la mostra di oggi. Il soggetto della tavola è in parte oscuro: una donna è intenta a scavalcare una panca posta in tralice lungo la composizione, e a venire verso il primo piano, dove ad attenderla è un robusto marinaio. Verso il fondo, stanno un giovane emaciato e un vecchio, pensosi. Fausto - se, come mi pare, egli ha inteso rappresentarsi nel giovane che appoggia il braccio sulla figura del vecchio (Luigi?) che gli è accanto - guarda la donna che, un piede oltre e uno al di qua della panca che taglia in due lo spazio, sembra protendersi verso il marinaio, ma facendo cenno nel contempo con l´altra mano al luogo donde essa proviene.
«La vita, o si vive o si scrive. Io non l´ho mai vissuta, se non scrivendola», aveva detto Luigi: e su questa antinomia - così fondante per il pensiero pirandelliano, e che è qui simbolicamente rappresentata dalla figura della donna, allegoria appunto di quella vita in bilico - pare riflettere Fausto, che certo in questi suoi primi anni definitivamente maturi pensa ancora alla "doppia verità" del padre come a una fonte per lui cruciale di poetica.
Ambiguità ricercata, dunque, fra una vita flagrante, odorosa di una quotidianità fin grevemente narrata, e una sua simbolica amplificazione; una contaminazione fra realtà e sogno, fra allucinazione e ingombro dell´esistenza: di qui, da questa frizione lasciata in vista in una materia quasi drammaticamente aggrondata, stesa a grumi e densi spessori con la spatola, e che tante volte anticiperà la turbolenza che sarà tanti anni dopo dell´informale, sgorgheranno le allucinate "storie" narrate da Pirandello nelle grandi composizioni del decennio che s´è aperto. Che manterranno a lungo questo loro precario, slittante equilibrio fra l´ottusa banalità del quotidiano e la sua trasfigurazione in mito, in rito. Quel mito che risuonava parimenti come dimensione "altra" dell´umano in tanta parte della coeva scuola romana: in Mafai, o in Cagli, o nei più giovani Ziveri e Guttuso. Ma che in Pirandello si veste di panni da un canto più prosaici, dall´altro più tragici: comunque più carichi di verità e di dolore.
Talora la sospensione dall´imminenza della realtà blocca, come farebbe un fotogramma, un istante di vita e ne prolunga l´eco nel tempo, amplificandolo: così avviene ad esempio in Gioventù, uno dei quadri esposti alla Quadriennale del ”35 e oggi riproposti: dove padre e figlio sono intenti a un gioco innocente, ma insieme attendono trepidi una sorta di sconosciuta rivelazione che venga dall´alto. O in Testa di bambola, in Giochi in terrazza: dove tutto ha l´immota fissità e il rigore d´impaginazione di un bassorilievo (mentre la figlia maggiore ricorda, non certo per caso, l´Apollo di Veio di Villa Giulia, il museo etrusco ove Pirandello spese molte ore, certo proficue per far crescere in lui quella percezione del rito come forma privilegiata di conoscenza).
Poi, a partire dal ”37, un nuovo dolore par scendere sulle scabre tavole di Pirandello: e l´equilibrio fra verità e trasfigurazione mitica propende improvvisamente verso una realtà vieppiù ostica, e tragica: come se Fausto presentisse (in accordo stavolta con la parte migliore della pittura italiana, Mafai in testa) il dramma della guerra imminente. Vengono allora Siccità, La tempesta, La tenda rossa, i tavolati sul mare e le spiagge: ove un´umanità disperata si raccoglie in tumulto, in affanno, come stupefatta dal nuovo dolore che adesso scopertamente la opprime.
Ed è sui primi Bagnanti del 1940 che si chiude la mostra di oggi.