Giuseppe Galasso, Corriere della Sera 27/03/2010, 27 marzo 2010
GLI STORICI LIBERALI CONTRO BISMARCK
Bismarck è un grande nome della storia europea, e lo resterà, anche se oggi, in una Germania e in un’Europa tanto mutate a poco più di un secolo dalla sua morte, nel 1898, è meno ricordato. La grande impresa di Bismarck fu, com’è noto, l’unificazione della Germania a conclusione della trionfale guerra con la Francia, nel 1871. Allora sembrò quasi un miracolo. Lo storico Heinrich von Sybel si chiedeva, nota Anna Maria Voci nel suo Il Reich di Bismarck. Storia e storiografia (Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 324, 45): «Per quali meriti ci è stata dispensata la grazia divina di poter assistere a cose così grandi e possenti? E come potremo vivere dopo tutto ciò? Da dove attingerò nuovi contenuti da dare alla mia esistenza per gli anni che mi restano da vivere?».
Molti intellettuali tedeschi si chiesero, infatti, se il trionfo del 1871 non segnasse la fine della più autentica storia germanica, e se il nuovo Reich, opera di Bismarck, non desse inizio a una civiltà nuova, di altro segno e di altro destino. In gioco era il nesso tra causa nazionale e causa liberale nel grande Stato imperiale voluto per il popolo tedesco. Bismarck stesso ruppe coi liberali, coi quali era stato a lungo in accordo, alimentandone il sogno, come ben dice la Voci, irrealistico, di una Prussia che, non più tutta e solo militarismo e statalismo, e «convertita al liberalismo, potesse operare una "conquista morale" del resto della Germania».
A sua volta Nietzsche, già in sintonia anch’egli coi liberali, diceva che «una grande vittoria è un grande pericolo» e «la natura umana la sopporta più difficilmente di una sconfitta». A suo avviso, chi credeva che nel 1871 avesse «vinto anche la cultura tedesca» nutriva una illusione «capace di trasformare la vittoria in una completa disfatta, anzi nell’estirpazione dello spirito tedesco a favore dell’impero tedesco». Poi, in contrasto con la Germania post-1871, maturò l’idea che «l’individualità e la vera libertà di azione e di pensiero potevano esistere solo al di fuori dello Stato».
La Voci ha ben compreso che in questa vicenda la cultura e, in specie, gli storici tedeschi ebbero gran parte, contribuendo all’ «indebolimento del senso e dei valori di libertà» nella borghesia, e favorendo un atteggiamento intellettuale e morale che dava «maggiore importanza alla libertà interiore dell’uomo rispetto a quella esteriore del cittadino» con le sue istituzioni e le sue esigenze di progresso materiale e morale.
Vivo fu pure il confronto tra la Germania e l’Italia, allora unificatasi anch’essa. In Italia si contrappose Cavour, vero liberale, a Bismarck, «cancelliere di ferro». In Germania, peraltro, lo storico Georg G. Gervinus previde che col tempo l’Italia avrebbe retto all’unità solo «a certe condizioni» e al centralismo nato con l’unità ancora meno, anzi «a nessuna condizione», temendo lo stesso per i tedeschi, e vedendo a rischio la loro fama di Kulturvolk («nazione culturale») e di «potenza spirituale» ai fini di altre, meno pregevoli grandezze.
Giudizi profetici? La profezia ha poco senso in storia. Ma le figure (da Joseph Hillebrand a Nietzsche e a Harry Bresslau) e i punti di storia culturale (fra cui lo storicismo e il metodo storiografico) studiati dalla Voci confermano che il Reich di Bismarck non fu un mondo posseduto solo dallo spirito delle armi e dal demone della potenza, bensì anche il mondo di una cultura di grande spessore intellettuale e morale. Certo, sorgono anche dei dubbi (ad esempio, la «Considerazione» di Nietzsche sulla storia è solo una polemica col formalismo erudito e filologico di storici attenti esclusivamente ai testi delle fonti storiche?). Ma sono i dubbi che ogni buon libro solleva; e da questo si esce, tra l’altro, con la suggestione di quel quadrilatero Strasburgo-Magonza-Basilea-Bingen, sulle due rive del Reno, uno dei cuori della Germania sveva e medievale, tanto vagheggiata in molta cultura tedesca ai tempi di Bismarck, ma uno dei cuori anche della storia europea nella sua essenziale dimensione di grande sinfonia di culture, civiltà e popoli, europei tutti, pur se diversi, e spesso avversi, nei contrassegni delle loro vocazioni e dei loro destini.
Giuseppe Galasso