Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 27 Sabato calendario

COURIR, LA MUSICA COME UMANITA’

Era nato da antica famiglia borghese dell’italianissima Zara; le comuni origini dalmate ne fecero un esule come Enzo Bettiza, al quale era legato da fraterna amicizia. Non accettò mai l’ingiustizia della patria perduta.
Si formò prima a Venezia, poi a Bologna. Sensibile pianista, la sua dottrina non si limitò alla musica. Claudio Magris, uno dei suoi modelli, gli riconosceva volentieri ampia competenza nelle letterature mitteleuropee; era fine giurista; nelle arti figurative, specie dell’epoca contemporanea e delle Avanguardie, possedeva conoscenze non di secondo piano.
Svolse un ruolo di rilevante importanza quale responsabile delle pagine culturali del «Resto del Carlino», in un’epoca nella quale il quotidiano bolognese era ancora fra i pesci pilota sul piano nazionale, e l’eredità di Spadolini incideva su quelle pagine come sulle prime sul piano nazionale. Ivi esercitò anche la critica musicale.
Il grande balzo, che lo costrinse ad abbandonare, almeno sul piano pubblico, i vari interessi, avvenne nel 1973. Alla direzione del «Corriere della Sera», auspice Giulia Maria Crespi, che di Courir fu estimatrice e affettuosa amica, subentrò Piero Ottone. Affiancandola a una svolta politica forse inedita nella storia del più prestigioso quotidiano nazionale, questi ne mutò la linea culturale, giudicata troppo accademica e paludata. Duilio Courir sostituì pertanto nella critica musicale Franco Abbiati.
Courir apportò una balsamica ventata d’aria completamente nuova. Di colpo, quasi avesse dato fiato alle trombe di fronte alle mura di Gerico, quelle mura ergentesi per impedire che nelle pagine del «Corriere» entrasse anche solo la notizia della vitalità dell’Avanguardia musicale, crollarono. Dallapiccola e Petrassi erano da decenni, per così dire, figure «istituzionali», e in quanto tali il «Corriere» di loro anodinamente si occupava. Ma sulle pagine degli spettacoli (purtroppo l’eccessiva umiltà di Courir lo portò sempre, pur sollecitatissimo, a rinunciare alle effimere glorie della Terza Pagina) irruppero Nono, Clementi, Berio, Boulez, Manzoni, Gentilucci, e infiniti altri. Divenuti protagonisti di un fecondissimo dibattito culturale seguito da migliaia di lettori anche per la classica limpidezza della prosa di Courir, il suo natural fluire e la perspicuità della sua argomentazione. La stessa struttura della programmazione dei teatri e delle principali società di concerti, non solo italiani – basti pensare all’influenza che gli articoli di Duilio Courir esercitavano sul Festival di Salisburgo – venne modificata da quest’opera di seminagione quotidiana, che, ripeto, si presentava giusta i caratteri della somma umiltà. Egli possedeva infatti le generosità intellettuale dell’ottimismo, di contro all’apparente razionalità del cupo teorizzatore la fine del linguaggio musicale. «La musica non può finire, come non finisce l’Uomo!», replicava egli fieramente. Stockhausen e Boulez e Nono e Berio sono, come sono, grandi quanto Bach, Beethoven, Wagner, Brahms. E noi viviamo un nuovo Rinascimento musicale.
Nemmeno qui si ferma la sua audacia novatrice: di un altro fenomeno interpretativo Courir fu tra i primi a cogliere la portata e indicare la non episodica importanza: l’esecuzione della musica pre-classica, ma diciamo pure senza timore di quella classico-romantica, alla stregua dei retti principî di prassi esecutiva (fraseggio, vibrato, colpo d’arco, arcata, dinamica, uso di strumenti originali), che oggi s’è imposta quale legge universalmente valevole ma che decenni fa vedeva schierarsi a suo favore pochi arditi in trincea di contro ai potenti della musica e dell’industria discografica i quali, in codesta occasione, si regolarono secondo un procedimento che sarebbe periglioso ma giusto definire mafioso: Karajan, Böhm, Jochum, Klemperer, Scherchen.
Tocchiamo da ultimo un punto intimamente delicato della personalità di Duilio Courir: la sua costante disposizione ad ascoltare, appoggiare, consigliare i giovani che a lui si rivolgessero. Tratto di generosità più unico che raro. Tant’è che le decine di brillantissime intelligenze che oggi corrono, non per l’Europa, per il mondo intero, intelligenze che si sono formate sotto la sua discreta guida emanifestate per la prima volta sulle pagine di una palestra di cultura e continuo dibattito come la rivista «Amadeus», da lui fino a poco tempo fa diretta, sono suoi figli spirituali.
Insomma, non v’è campo, dalla scelta e gerarchia del repertorio, agli stessi fondamenti dell’interpretazione, nel quale Duilio Courir non abbia lasciato un segno fondativo. Facile è dire che lascia un vuoto incolmabile. Doveroso è aggiungere un rimpianto: quel suo eccesso di umiltà sul quale tanto s’è insistito e insieme il suo culto per Karl Kraus lo portarono sempre verso la forma aforistica. Avesse disposto la sua dottrina in volumi, avremmo il Karl Dalhaus italiano.
Paolo Isotta