Sergio Marchionne, Corriere della Sera 27/03/2010, 27 marzo 2010
LE DIMENSIONI DELLA CRISI INDUSTRIALE CHE LA POLITICA NON RIESCE A CAPIRE
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni su un aspetto che mi sta molto a cuore e che riguarda il modo in cui la Fiat viene vista in Italia in questo periodo e il modo in cui se ne parla. (...) Stiamo vedendo un gioco pericoloso, un tiro al bersaglio contro la nostra azienda. Penso ad alcune dichiarazioni di esponenti del mondo politico, sindacale e qualche volta’ purtroppo’ anche imprenditoriale. La Fiat non pretende di essere salutata ogni giorno con le fanfare, come è successo quando siamo tornati dall’America con i due miliardi di dollari della General Motors o quando il Presidente Obama ha annunciato l’accordo con Chrysler. Ma non troviamo giusti neppure i fischi gratuiti. Ci piacerebbe vedere un po’ più di equilibrio nei giudizi. Per questo sento il dovere di fare chiarezza su alcuni aspetti e difendere le ragioni, il comportamento e l’onestà della Fiat. Tra le tante cose che ho sentito dire sulla Fiat, ce n’è una che trovo particolarmente ingiusta e riguarda la nostra presunta disattenzione per l’Italia. Non voglio girare intorno alla questione. So bene che molte delle accuse sono legate alla decisione di smettere di costruire automobili a Termini Imerese alla fine del 2011. Non è stata una decisione presa alla leggera. Non l’avremmo mai fatto se non fosse stato più che necessario, se ci fosse stata una reale alternativa. (...) Produrre un’auto a Termini Imerese costa fino a mille euro in più. Per molti anni la Fiat si è accollata l’onere di gestire questo stabilimento in perdita. Avevamo elaborato un progetto di rilancio di Termini Imerese. Poi, è esplosa la crisi ed è cambiato il mondo intero.(...). Nel giro di tre anni, il mercato europeo ha perso quasi un quarto dei volumi. Bisognerà aspettare circa quattro anni perché il mercato torni a livelli normali. Di fronte a questa situazione, la scelta di cessare la produzione di auto a Termini è diventata un passo obbligato. Ma la Fiat intende assumere pienamente la propria responsabilità. (...) La nostra attenzione per l’Italia non si ferma qui. A dicembre abbiamo presentato un piano ambizioso per rafforzare la presenza industriale del Gruppo nel nostro Paese. Prevediamo di aumentare in modo significativo i livelli di produzione di autovetture in Italia. Il progetto più rilevante è quello che riguarda lo stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco: prevede, infatti, di costruire a Pomigliano la futura Panda, che è l’auto più venduta del segmento A in Europa. Sarebbe la soluzione della grande svolta perché garantirebbe volumi elevatissimi. Riteniamo che questa sia l’unica ipotesi per assicurare al sito un futuro serio. Anche sul fronte degli investimenti complessivi, per tutte le nostre attività nel mondo, la quota destinata all’Italia è enorme. Nei prossimi due anni verranno spesati, per investimenti e attività di ricerca e sviluppo, oltre 8 miliardi di euro, di cui due terzi in Italia. A volte ho l’impressione che il mondo politico e i sindacati non si rendano conto delle dimensioni della crisi che ha investito il nostro Paese, che riguarda solo in parte il settore dell’auto. Tutto il sistema industriale italiano è stato duramente colpito. (...) Spesso ho l’impressione che la politica e i sindacati non abbiano compreso gli sforzi che la Fiat ha fatto per gestire la situazione critica del mercato senza creare allarme sociale ma cercando di limitare al massimo le conseguenze sulle persone. I toni e i comportamenti di alcuni esponenti, specie di parte sindacale, mi danno l’idea che queste cose o non sono state capite oppure non sono state apprezzate intenzionalmente. Continuare a chiedere soluzioni incompatibili con il quadro della crisi globale significa vivere in un altro mondo.(...) Tutti noi esaltiamo il cambiamento come uno straordinario motore di progresso, come la più grande fonte di opportunità. Troppo spesso, però, l’elogio del cambiamento si ferma sulla soglia di casa. Va bene finché non ci riguarda. (...) Su un punto vorrei essere chiaro. Cambiare – e crescere’ non significa rinnegare le proprie radici. Vuol dire, semmai, proteggerle. Vuol dire garantire al passato anche un futuro. La Fiat ha le radici in Italia. E come succede in ogni rapporto, anche quello tra la Fiat e l’Italia si basa sulla stima, sul rispetto e sulla libertà. (...). C’è, però, una cosa da aggiungere: non esistono rapporti a senso unico. La Fiat – allo stesso modo – merita stima, rispetto e libertà. La stima siamo pronti a conquistarla ogni giorno, sul campo (...). Il rispetto per questa azienda si dimostra abbandonando, una volta per tutte, i vecchi pregiudizi. Nessuno, in buona fede, può guardare la Fiat negli occhi e accusarla di vivere alle spalle dello Stato o di abbandonare il Paese. Alla Fiat, però, va riconosciuta la libertà di agire in un contesto globale. (...) Lasciatemi concludere con una riflessione. Capita di rado nella vita che ti venga data una seconda chance. (...) Noi oggi’ grazie anche all’accordo con Chrysler – abbiamo una seconda possibilità. Possiamo ricostruire una base industriale forte nel nostro Paese. Non sprechiamo questa opportunità.
Sergio Marchionne
Sintesi dell’intervento dell’amministratore delegato all’assemblea degli azionisti Fiat