Boris Biancheri, La Stampa 27/3/2010, pagina 1, 27 marzo 2010
USA E RUSSIA SIGLANO IL DISARMO
Si chiude una lunga vicenda con l’annuncio dell’accordo raggiunto tra Stati Uniti e Russia per un’ulteriore riduzione delle armi strategiche. Da tempo l’accordo era scaduto: disciplinava questa materia e stabiliva in 2200 per parte le testate nucleari consentite.
E già prima della sua scadenza erano cominciati negoziati ufficiosi tra russi e americani per il suo rinnovo. Obama e Medvedev ne avevano parlato insieme a Londra esattamente un anno fa. Quel colloquio aveva fatto intravedere la possibilità che un nuovo accordo strategico si potesse raggiungere prima che quello vecchio giungesse alla scadenza nel novembre scorso. Poi le cose parvero complicarsi e il clima complessivo tra i due Paesi restò variabile, malgrado il noto gesto distensivo compiuto da Washington in materia di difesa antimissili che, nelle intenzioni, doveva essere il segnale di «reset» nelle relazioni russo-americane.
Ora, in un momento particolarmente significativo sul piano interno per il presidente Obama, le cose si sono sbloccate ed è stata perfino annunciata la data precisa della firma che avverrà a Praga l’8 aprile prossimo. L’intesa sulla data sembra esser stata raggiunta in una telefonata intercorsa direttamente ieri tra Obama e Medvedev. Non soltanto l’equilibrio delle armi strategiche viene prorogato, ma il numero delle testate è ulteriormente ridotto e portato da 2200 a circa 1500 per parte. Se si pensa che nella fase terminale della Guerra Fredda gli americani detenevano circa 12 mila testate nucleari e i russi un paio di migliaia di meno, si vede quali drastiche riduzioni siano state compiute negli arsenali strategici in questi vent’anni.
Val la pena di aggiungere che l’accordo annunciato ieri - al cui raggiungimento la signora Clinton non è probabilmente stata estranea, nella visita a Mosca di pochi giorni fa - pur avendo comportato sacrifici da parte americana soprattutto riguardo la regolamentazione dei controlli, con il tempo avrà delle ripercussioni positive per gli Stati Uniti. Si tratta del versante della spesa, che costituisce al momento una delle maggiori preoccupazioni della Casa Bianca. Quale ne sia l’incidenza effettiva sul bilancio, è un fatto che la riduzione negoziata con il solo altro grande Paese nucleare al mondo può produrre benefici, senza compromettere in alcun modo la sicurezza del Paese e dei suoi alleati.
Per Obama è senza dubbio un traguardo importante. Dall’inizio della sua presidenza, si tratta infatti del primo significativo successo ottenuto in materia di politica estera e del primo momento in cui la teoria del dialogo e dell’amicizia universale da lui persuasivamente annunciata trova una concreta realizzazione. La trova, per di più, su un tema - quello dell’armamento nucleare - che tocca corde sensibili nelle opinioni pubbliche in grandissima parte del globo e che ha dunque un carattere che va ben oltre il fatto bilaterale, pur tutt’altro che irrilevante. Assume un valore quasi simbolico e globale. E’ molto probabile che l’accordo che verrà firmato a Praga dia lo spunto a una enunciazione più ampia e completa della politica nucleare complessiva da parte di questa presidenza, di cui a Washington si parla già da qualche tempo. E’ infatti prassi usuale che un presidente americano, nel corso del suo mandato, si pronunci sui princìpi generali che regolano la strategia nucleare del Paese e su quali siano le circostanze nelle quali possa farsi ricorso all’impiego dell’arma nucleare. A questo riguardo si era espresso più volte e non sempre in modo lineare e coerente. Parrebbe del tutto in linea con la sua visione politica, se anche Obama tracciasse la filosofia che illustra e giustifica in termini globali il possesso di quest’arma e i criteri del suo impiego. Tanto più che il tema nucleare è al centro di quelli che, al momento attuale, sono forse i due problemi più caldi del pianeta, l’Iran e la Corea del Nord: sull’uno e sull’altro è necessaria una convergenza internazionale di cui anche la Russia è un elemento essenziale. Una solenne riunione internazionale, da tenersi su questa materia in un futuro non lontano a Washington, della quale qualcuno fa cenno, potrebbe avere proprio questo significato.