ROBERTO GIOVANNINI, CARLO GRANDE, La Stampa 26/3/2010, pagina 30-31, 26 marzo 2010
TORNANO LE FORESTE (2
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Oggi c’è un po’ più di speranza per la salvezza delle foreste della Terra. Oggi il rischio di perdere il tesoro rappresentato dalle foreste è più grande che mai. Sembra una contraddizione insolubile, ma invece è proprio così, a leggere il nuovo rapporto della Fao sulle Risorse Forestali Mondiali, presentato ieri.
I boschi sono non solo la più preziosa riserva di biodiversità, ma anche un fondamentale alleato dell’umanità nel (complicato) tentativo di combattere il riscaldamento del pianeta. Ebbene, tra il 2000 e il 2010 hanno relativamente meglio resistito alla deforestazione e alla pressione dell’uomo, che li distrugge per costruire e per convertire i terreni a produzioni agricole. In qualche Paese ci sono segnali positivi, con un vero contrasto al disboscamento illegale (vedi il Brasile di Lula), mentre altrove si sono fatti notevoli sforzi di riforestazione. Ma ogni anno, ancora oggi, in media il pianeta perde una superficie forestale pari a 51 mila chilometri quadrati. In altre parole, è come se ogni anno andasse in fumo un’area grande come Piemonte, Lombardia e mezza Liguria.
Lo studio della Fao esce ogni cinque anni, ed è considerato il più importante finora svolto per capire lo stato di salute delle foreste, che coprono il 31% della superficie totale emersa della Terra. Sembra tantissimo, ma una volta era molto di più. E di queste solo il 36% sono foreste primarie, vale a dire quelle mai intaccate dall’attività umana, una riserva di vita fondamentale per l’equilibrio del pianeta. A livello mondiale, dunque, nel decennio 2000-2010, ogni anno circa 13 milioni di ettari di foreste sono stati convertiti ad altro uso o perduti; nel decennio precedente erano stati 16 milioni l’anno. Un lieve miglioramento che come detto è dovuto ai progressi di Brasile e Indonesia, ma anche ai piani di riforestazione di Cina, India, Stati Uniti e Vietnam. Che però sostituiscono a boschi primigeni una foresta «artificiale» e con un potenziale di biodiversità che è decisamente inferiore.
Considerando i diversi continenti, nel decennio 2000-2010 Sud America e Africa hanno segnato la deforestazione più grave: è lì che si è registrata la maggiore perdita netta di foreste, rispettivamente con 4 milioni di ettari e con 3,4 milioni di ettari. Anche l’Oceania ha subito una perdita netta, in parte dovuta alla grave siccità dell’Australia a partire dal 2000. L’Asia, invece, nell’ultimo decennio ha registrato un guadagno netto di circa 2,2 milioni di ettari l’anno. In Nord America ed in America Centrale la superficie forestale è rimasta abbastanza stabile, mentre in Europa ha continuato ad espandersi, sebbene ad un tasso meno rapido rispetto al passato. In tutto, il 13% della superficie forestale totale è protetta all’interno di parchi nazionali o altre forme tutelate.
Positivo, almeno in parte, il giudizio del vice direttore generale della Fao Eduardo Rojas. «Per la prima volta - ha detto ieri - siamo in grado di mostrare che il tasso di deforestazione è diminuito a livello globale grazie ad interventi concertati fatti sia a livello locale che internazionale». Per Rojas, si sono fatti passi avanti per quanto riguarda le politiche e le leggi forestali, anche con una certa attenzione alle comunità e alle popolazioni indigene. Tuttavia come ricorda Mette Loyche Wilkie, l’esperta che ha coordinato il Rapporto, «nel 2020 i forti programmi di rimboschimento di Cina, India e Vietnam termineranno. Non abbiamo molto tempo per prendere misure efficaci e permamenti ed evitare di tornare allo scenario degli Anni 90».
Un decennio in cui la distruzione dei boschi ha gravemente aumentato la quantità di CO2 in atmosfera responsabile dell’effetto serra. Basti pensare che nella biomassa forestale sono immagazzinate in questo preciso momento 289 gigatonnellate di carbonio. Più di quanto ce n’è nell’intera atmosfera.
ROBERTO GIOVANNINI
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IN BILICO SOPRA LA GIUNGLA -
Sospesi sul tetto della foresta tropicale, in bilico su passerelle di corda, sfiorati soltanto dalle farfalle e dal volo dei pappagalli.
Un’esperienza quasi onirica, che si può fare in soli quattro parchi al mondo: nel malese Mulu National Park (Sarawak, Borneo Settentrionale), in alcuni parchi del Costarica e nella Tahune Airwalk in Tasmania, Sud dell’Australia. Il quarto è il Kakum National Park, in Ghana, dove ponti di legno e corde, lunghi in totale 350 metri, sono sospesi a 40 metri di altezza. Galleggiano sulla foresta tropicale - uno degli ultimi ecosistemi intatti del continente africano - interrotti da sette piattaforme di osservazione, costruite sugli alberi più grandi, alti anche 70 metri. E’ il «Canopy Walk», un’attrazione che può contribuire a salvare l’ultimo lembo di vegetazione primigenia. Il Kakum è un’isola di foresta tropicale in un mare di terre agricole, un frammento di quello che una volta era un nastro di foresta pluviale che si estendeva dalla Guinea attraverso Sierra Leone, Liberia e Costa d’Avorio, fino al Ghana.
Saccheggiata dalle industrie del legname, dall’agricoltura e dai bracconieri, la foresta di Kakum copre ora poco più di 350 chilometri quadrati, ma è un’oasi di salvezza per molti animali: ospita una quarantina di specie di mammiferi (facoceri, elefanti, bongo, scoiattoli volanti, leopardi e scimmie), oltre 275 specie di uccelli e numerosi rettili, anfibi e invertebrati. Il Kakum, infatti, è anche un paradiso per gli appassionati di «birdwatching».
Ma le star sono loro, gli alberi: mogani possenti come colonne di un tempio, la Ceiba pentandra, l’albero bottiglia e il kapok. Quest’ultimo raggiunge una altezza di 60-70 metri e nel tronco anche i tre metri di diametro. Alti sulla passerella, si vedrà la meravigliosa stratificazione della foresta: piante d’appartamento giganti, un intrico di liane e arbusti alti parecchi metri, il «tetto» delle piante più grandi, che arrivano a 40 metri e il baldacchino dei fusti secolari ai nostri piedi.
Ora gli ecoturisti possono tentare di contribuire a salvare tutto questo con le passeggiate sugli alberi, che stanno diventando di moda in diversi Paesi, in particolare nelle foreste pluviali. Solo qui si incontrano alberi che crescono altissimi, grazie a condizioni climatiche particolari. I vegetali hanno quest’unico modo per sopravvivere: gli alberi più bassi della foresta restano all’ombra e sono destinati a rimanere senza luce, nani in un mondo di giganti.
Il polmone verde si trova presso Kakum, a circa 20 chilometri da Cape Coast, nella Regione Centrale, non lontano dalla costa. Un litorale, quello del Ghana, fatto di meravigliose spiagge di palme, sabbia bianca, villaggi di pescatori con le piroghe e acqua con molte file di onde, adattissima - con un minimo di prudenza - per piacevoli bagni.
Il parco si raggiunge attraverso una strada che corre verso l’interno, ma prima di arrivare al Parco vale la pena di visitare il porto di Elmina, lungo la costa, con la fortezza dove Werner Herzog ha girato con Klaus Kinski «Cobra Verde». Qui portoghesi, olandesi e metà degli Stati europei fecero a turno nel commercio degli schiavi.
L’ideale è arrivare nel Parco la mattina presto o la sera: anche se i grandi mammiferi sono difficili da incontrare, si hanno più probabilità di vedere gli animali. Il periodo migliore è da gennaio a marzo, durante la stagione dell’harmattan (il vento da Est-Nordest che soffia nel Sahel, spingendo masse d’aria calda e secca dal Sahara verso la fascia subsahariana). Inoltre è meglio evitare i weekend, perché il parco si affolla e in gruppi troppo numerosi si rischia di non godere appieno dello spettacolo, che consiste nell’abbandonarsi a un universo oscillante, ascoltare il silenzio mistico della foresta e i richiami degli animali, tendere l’orecchio al dramma della giungla sotto di noi, che non è né buona né cattiva, semplicemente bella. E che come la bellezza, ha bisogno di essere vissuta, senza troppe spiegazioni.
CARLO GRANDE