Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 26/03/2010, 26 marzo 2010
VITA DI PAULUCCI DI CALBOLI DALLA DIPLOMAZIA AL CINEMA
Mi piacerebbe saperne di più su un personaggio che intuisco essere stato di grande rilevanza per l’Italia, e cioè Giacomo Paulucci di Calboli. Navigando in rete non ho trovato molto, se non la sua passione per il cinema e il ruolo chiave nei percorsi diplomatici prima e durante la guerra.
Salvo Matranga
smatranga@gmail.com
Caro Matranga, le segnalo anzitutto che esiste a Forlì, grazie a Raniero Paulucci di Calboli e a uno studioso, Giuseppe Tassani, un grande archivio in cui sono raccolte le carte di questa antica famiglia emiliana che comprende nel suo albero genealogico, tra l’altro, un condottiero, un podestà di Firenze (che Dante mise in Purgatorio), un capitano generale alla Chiesa Romana, una medaglia d’oro della Grande guerra e tre diplomatici dello Stato italiano. Giacomo, di cui lei vorrebbe avere maggiori notizie, non fu, strettamente parlando, Paulucci di Calboli. Si chiamava alla nascita Barone Russo, un nome in cui Barone non era un titolo nobiliare ma parte del cognome; e divenne Paulucci di Calboli quando, dopo il suo matrimonio con l’ultima discendente della dinastia, il nome della casata fu considerato, per decisione di Casa reale, una sorta di bene da conservare nell’interesse nazionale.
Come diplomatico Giacomo ebbe una carriera brillante e assai varia. Nel 1922 Mussolini lo volle capo di gabinetto al ministero degli Esteri. Il nuovo presidente del Consiglio non desiderava, in quel momento, mettere a soqquadro un palazzo molto monarchico e credette che Giacomo, parente di una nobile e ammirata medaglia d’oro, fosse la persona più adatta alla carica. Il sodalizio durò senza incrinature sino al 1927 quando Giacomo fu congedato ma promosso a un incarico di tutto rispetto: il posto di vice segretario generale della Società delle Nazioni. A Ginevra si occupò di problemi amministrativi e, con un certo successo, di una materia nuova che stava assumendo una considerevole importanza: la cinematografia educativa. Fu questa la ragione per cui Mussolini, nel 1933, gli affidò l’incarico di presiedere un ente, l’Istituto Luce, che esisteva da una decina d’anni e che sarebbe diventato uno dei migliori strumenti della propaganda fascista.
Sulla base delle carte raccolte nell’archivio di Forlì, Tassani racconta che durante l’incontro dell’investitura, a Palazzo Venezia, Mussolini e Paulucci parlarono anche del modo in cui i nazisti, da pochi mesi al potere, e in particolare Joseph Göbbels, ministro della Propaganda, si sarebbero serviti della cinematografia. Occorreva saper fare altrettanto. Quattro anni dopo, nel 1937, Mussolini e Paulucci avrebbero inaugurato insieme Cinecittà. Ma il regime si stava fascistizzando e le nuove leve si affollavano in sala d’aspetto. Restituito alla diplomazia per «far posto ai giovani», Paulucci fu incaricato di una missione straordinaria in Giappone, nominato ambasciatore a Bruxelles e finalmente, nel 1943, inviato a Madrid dove avrebbe dovuto darsi da fare, nei limiti del possibile, per schiudere all’Italia, nell’anno peggiore della guerra, una via d’uscita dal labirinto in cui si era cacciata. Come hanno ricordato Tassani e Francesco Perfetti in un numero recente di Nuova Storia contemporanea, ilmomento più drammatico della sua vita venne quando Mussolini, dopo la liberazione dal Gran Sasso, gli telefonò e disse: «Paulucci, ho bisogno di voi». Non conosciamo le parole esatte con cui il vecchio capo di gabinetto respinse la richiesta. Ma sappiamo che di lì a qualche settimana, divenuto ormai il principale ambasciatore del governo Badoglio nel mondo, dovette notificare al suo collega tedesco che l’Italia aveva dichiarato guerra alla Germania.
Sergio Romano