Zornita Kratchmarova e Antonio Rossitto, Panorama 31/03/2010, 31 marzo 2010
DI PIETRO E IL BOSS
In Bulgaria le chiamano Zlatni Piasazi, Sabbie d’oro: chilometri di spiagge larghe e affollate, nella località balneare più chic del Mar Nero. Ogni estate, negli eleganti alberghi della riviera si ritrovano i più facoltosi uomini d’affari del paese. la sera del 19 agosto 2002: sono passate da poco le 10 di sera. La leggera brezza marina non smorza l’afa: il termometro segna più di 30 gradi. Al primo piano del Grand hotel International, un grattacielo di vetro alto 40 piani, i bocchettoni dell’aria condizionata sparano aria gelida. Ma nel resort a cinque stelle il clima si sta comunque surriscaldando: su una passerella sfilano aspiranti miss, piuttosto discinte. A osservarle dall’alto, nella sala riservata ai vip, c’è Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei valori, a quei tempi europarlamentare. Viene sorpreso da un paparazzo bulgaro: indossa camicia bianca a maniche corte e pantaloni color kaki.
Il fotografo coglie il suo sguardo sorpreso. Sembra preoccupato, Tonino. La sua espressione è probabilmente legata alla «qualità» dei commensali. Davanti a lui, in giacca mattone e maglietta bianca, siede Ilia Pavlov, 42 anni: un multimilionario che sette mesi dopo, il 7 marzo 2003, viene assassinato a Sofia. Un cecchino, nascosto fra i cespugli, lo centra da 70 metri: un solo colpo, dritto al cuore. Ucciso come un boss. Trud, il primo quotidiano bulgaro, annota: «L’omicidio è dovuto a interessi inconciliabili tra gruppi mafiosi». Mai condannato in patria, Pavlov viene considerato un tipo poco raccomandabile dalle polizie di mezzo mondo. Comprese l’Fbi e la Cia.
I sospetti trovano conferma in un dossier del 1998: l’ambasciata americana a Sofia lo invia in via riservata all’Uscis, l’ufficio immigrazione degli Stati Uniti. E si parla di Pavlov in questi termini: «Le società dell’imprenditore sono sospettate di riciclaggio, furti e omicidi».
Anche gli altri convitati hanno un passato oscuro. A capotavola, in camicia a quadretti e giacca color tortora, c’è Ahmed Dogan: 48 anni, leader del Movimento per i diritti e le libertà (Dps), il partito che rappresenta i turchi in Bulgaria. un personaggio molto discusso. Nel 1986 viene arrestato per attività terroristiche. A quell’epoca è a capo di un gruppo estremista, considerato responsabile di diversi attentati. Il più grave è quello del 9 marzo del 1985 alla stazione di Bunovo, minuscolo paesino a est di Sofia: muoiono sette persone, tra cui due bambini.
Dogan resta in carcere sei mesi e 15 giorni. Viene condannato a 10 anni. Ma nel 1989, dopo la caduta del comunismo in Bulgaria, gli concedono l’amnistia. E Dogan comincia la sua ascesa. Fonda il Dps, che diventa l’ago della bilancia nella politica bulgara. Spesso in totale spregio delle regole elettorali. Nel 2007 Dogan dichiara candidamente: «Comprare voti è una pratica europea, diffusa dalla Seconda guerra mondiale». Tanta disinvoltura costringe la Corte costituzionale bulgara a intervenire. Le elezioni parlamentari del giugno 2009 sono falsate: i giudici annullano migliaia di voti nelle sezioni all’estero. I brogli si concentrano nelle roccheforti del partito di Dogan. I 23 seggi incriminati sono tutti in Turchia e qui il Dps ha ottenuto un plebiscito: 18.140 preferenze su 18.358.
Dogan era fraterno amico di Pavlov. Giornali e politici sottolineano spesso il sodalizio. Lo spiega a Panorama l’europarlamentare bulgaro Dimitar Stojanov: «Il partito di Dogan è il volto politico della nostra mafia. E Pavlov è sempre stato sospettato di essere il braccio economico della criminalità organizzata».
Certamente il leader del partito turco non ha mai avuto problemi di finanziamento. Nel giugno del 2005 dichiara in tv: «Il mio partito è circondato da una serie di imprese. Loro ci danno soldi e noi le aiutiamo». Dove finiscano i fondi resta un mistero. Di certo, e alla luce del sole, Dogan sguazza nel lusso più sfrenato: in Bulgaria vive in residenze da favola. Per i giornali di Sofia, una sarebbe intestata a due prestanome: un ex manovale e un’ex parrucchiera. Ma sono almeno cinque le ville e gli alberghi riconducibili a lui, scrive la stampa.
La sera del 19 agosto 2002, in quella sala esclusiva del Grand hotel International, seduto a fianco di Di Pietro c’è un altro uomo: ha la camicia bianca e i pantaloni blu. Viene immortalato di spalle, ma un’altra foto scattata durante la serata non lascia dubbi. Il signore si chiama Ivan Slavkov: è un assistente di Dogan, poi diventerà assessore del Dps a Varna, a pochi chilometri dalle Sabbie d’oro.
Il 17 ottobre 2008 viene arrestato: «Sfruttamento della prostituzione, riciclaggio e traffico di droga». Per i magistrati è il capo di un’organizzazione criminale di 80 persone. Le sue prime prodezze risalgono al 1996: sei anni prima dell’incontro con Di Pietro. Slavkov è tuttora in carcere.
Il quinto commensale è una distinta donna di mezza età: Tania Tzvetanova Zhelyazkova. Vive tra Sofia e Vigevano, dove ha sposato un italiano. La signora compare anche in altre immagini con il fondatore dell’Italia dei valori: incontri che, a Sofia, Tonino ha con diversi politici e uomini d’affari bulgari. Viaggi istituzionali, perlopiù: dal 2001 al 2006 l’ex pm di Mani pulite è europarlamentare.
Va in missione nel paese balcanico almeno tre volte solo nel 2002: tra aprile e novembre. Mentre in agosto, quando viene sorpreso al concorso di bellezza, Di Pietro è in vacanza. Lo rivela a Panorama la stessa Zhelyazkova. lei a far conoscere Pavlov al leader dell’Italia dei valori. E perché? «Erano entrambi miei amici» spiega al telefono da Sofia, dove è proprietaria di due aziende. «Conosco Di Pietro da tanti anni: me lo ha presentato il mio dentista, Carmelo Tindiglia».
Il medico è consigliere comunale dell’Idv a Vigevano. E Tania Zhelyazkova è la persona che assiste Di Pietro nelle sue trasferte in Bulgaria. Interpellata sulle frequentazioni sospette dell’ex magistrato, la donna prima chiede a Panorama di inviarle le domande per email: «Risponderò entro mezzogiorno di domani» promette. Salvo poi fare marcia indietro, appena letti i quesiti. Nelle telefonate precedenti con Panorama, Zhelyazkova accenna però anche a un incontro fra Pavlov e Di Pietro: «Si sono visti all’hotel Excelsior di via Veneto» ricorda. «Una cena di lavoro: c’erano anche 30 imprenditori italiani interessati a investire in Bulgaria». E c’era anche Sergio De Gregorio, fondatore dell’Associazione italiani nel mondo. La sua presenza viene confermata dalla stessa Zhelyazkova.
Oggi De Gregorio è senatore del Popolo della libertà. Quell’incontro a Roma lo ha raccontato il 5 febbraio scorso al quotidiano di Sofia 24 Chasa: «Pavlov mi disse di essere l’incarnazione del potere politico ed economico della Bulgaria. Si vantava: ”Nel mio paese comandano persone come me”» ha ricordato De Gregorio nell’intervista. «Spiegai a Di Pietro che Pavlov non mi piaceva: parlava e si comportava come un mafioso. Mi rispose che era un grande imprenditore».
Il senatore non lesina dettagli: «Di Pietro aveva intenzione di portare in Bulgaria alcuni imprenditori italiani. Proprio attraverso Pavlov e la sua Multigroup».
La società era la holding del finanziere: la più grande della Bulgaria. All’apice della sua espansione, controlla 120 imprese. Sono attive in tutti i settori, dal turismo all’estrazione mineraria. Un impero costruito dal nulla. Pavlov in gioventù è un campione di lotta: come gran parte dei criminali che spadroneggiano nel paese dopo la fine del comunismo. Ex pugili, pesisti e combattenti ribattezzati dalla stampa bulgara «mutri»: brutti musi. La scalata inizia prima della caduta del regime. ancora uno studente universitario quando sposa Antoaneta, figlia di Peter Cherghilanov, dal 1973 al 1988 capo dei servizi segreti militari bulgari. il 1981. Il matrimonio dura solo due anni. Però il legame del rampante finanziere con gli 007 dura tutta la vita. Tanto che affida alcuni posti chiave delle sue aziende a ex agenti.
Un commensale scomodo, per Di Pietro. Che conferma la sua tendenza a intrattenere rapporti conviviali con uomini legati ai servizi segreti. Meno di due mesi fa il Corriere della sera pubblica una foto del 15 dicembre 1992: una cena con carabinieri e uomini dei servizi (vedere a pagina 36). L’ex magistrato è accanto a Bruno Contrada, numero tre del Sisde, arrestato nove giorni dopo e poi condannato a 10 anni per «concorso esterno in associazione mafiosa». Di Pietro si è giustificato: «Per me era un funzionario dello Stato, nemmeno lo conoscevo». Ma nel dicembre 1992 la notizia dell’arresto di Contrada circolava da settimane negli ambienti investigativi.
Dieci anni più tardi, in uno sfarzoso hotel di Zlatni Piasazi, l’altra istantanea. Di Pietro siede davanti a Pavlov: un imprenditore in odore di mafia che ha costruito la sua fortuna anche grazie ai legami con gli 007 del regime comunista. Informazioni, stavolta, di pubblico dominio. Contattato più volte da Panorama, Di Pietro non ha voluto commentare le sue frequentazioni bulgare. La mattina di martedì 23 marzo il suo ufficio stampa ha solo fatto sapere che il leader dell’Idv «probabilmente ricorrerà alle vie legali». Senza entrare nel merito dei suoi incontri con Pavlov, né su ogni altro aspetto dell’inchiesta di Panorama.
Dopo il matrimonio con la figlia di Cherghilanov, nel 1988 il magnate conosce l’attrice Darina Gheorghieva, 25 anni (vedere il riquadro qui sotto). Per le cronache rosa è la «ragazza più bella di Sofia». Sono gli anni in cui Pavlov diventa l’uomo più ricco e potente della Bulgaria: alla sua morte ha un patrimonio di 1,5 miliardi di dollari. La presunta illiceità dei suoi affari è sulla bocca di tutti. L’unico inconveniente giudiziario gli capita nel 1998: il premier Ivan Kostov tenta di incastrarlo per contrabbando. Una delle sue società, la Barteks Trading, è sospettata di avere importato illegalmente 305.914 tonnellate di zucchero. L’azienda paga una multa esorbitante. Ma il finanziere evita il processo per un motivo che sa di beffa. L’inchiesta è archiviata: nessun danno per la concorrenza. Buona parte dello zucchero si sarebbe sciolta con le piogge.
La fama di Pavlov travalica i confini nazionali. Gli Stati Uniti gli negano la cittadinanza per due volte di seguito. Il rapporto dell’ambasciata americana a Sofia parla di riciclaggio, furti e omicidi. il 1998. Un anno dopo anche la moglie Darina incappa in un incidente diplomatico. Il 22 ottobre 1999 Hillary Clinton, in corsa per diventare senatrice del Congresso, organizza una festa per raccogliere fondi. Alla serata partecipa pure Pavlova, da poco cittadina americana. La donna stacca un assegno di 1.000 dollari per la first lady. Ma il 31 ottobre la donazione viene rispedita al mittente. «Ci sono forti sospetti sulla provenienza dei fondi» dichiara Howard Wolfson, portavoce di Clinton. La notizia fa scalpore: viene ripresa da molti quotidiani e agenzie americane. La signora sconta la poco lusinghiera fama del marito.
L’incontenibile ascesa di Ilia Pavlov termina però il 7 marzo 2003. Sono le 19.50 di un venerdì sera: il finanziere esce dal suo ufficio, nel centro di Sofia. La macchina lo aspetta fuori. L’autista ha già avviato il motore. Pavlov viene trafitto da una pallottola al cuore: muore 20 minuti dopo. Il giorno prima aveva testimoniato al processo per l’assassinio di Andrej Lukanov, l’ex premier bulgaro ucciso nel 1996. Anche lui freddato da un cecchino: un colpo alla testa e uno al petto. Un omicidio per cui viene sospettata la mafia russa. Lukanov era considerato l’artefice della fortuna di Pavlov. Poco prima della morte del primo ministro i rapporti però si erano incrinati. I quotidiani riferiscono di un burrascoso incontro fra i due, avvenuto a Mosca il 30 settembre 1996, due giorni prima dell’uccisione di Lukanov. Il politico sbotta: «Ti ho creato e posso distruggerti». Pavlov risponde a tono: «Non dimenticarti che sono io ora a guidare il treno».
I rapporti tra il finanziere assassinato e Di Pietro vengono confermati a Panorama dall’ex braccio destro di Pavlov, Stojan Denchev, vicepresidente della Multigroup fino a gennaio 2002: «So che si conoscevano. Anzi, erano amici» assicura. Il manager non aggiunge dettagli. Ma le agenzie di stampa bulgare testimoniano che fu proprio Denchev a invitare Di Pietro a Sofia nel novembre del 2002.
un periodo in cui l’ex magistrato bazzica la Bulgaria non solo in veste istituzionale, ma anche per interessi personali. Il 28 dicembre 2002 a Varna, a pochi chilometri dalle Sabbie d’oro, viene iscritta nel registro bulgaro delle imprese la Suko: una società immobiliare di cui Tonino ha metà delle quote. Un affaire raccontato da Panorama nel novembre del 2007. L’altro 50 per cento è dell’imprenditore Tristano Testa. Di lui si sa poco o nulla. Tranne una sospetta coincidenza: il 26 marzo 2007 diventa consigliere d’amministrazione della Brebemi, l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano.
Nello stesso periodo Di Pietro è ministro delle Infrastrutture nel governo guidato da Romano Prodi. Panorama ha cercato di contattare Testa tramite la Brebemi, una società pubblica. Ricevendo però sempre cortesi dinieghi.
Le attività immobiliari di Di Pietro lasciano sorpreso Nicolaj Kamov, un ex parlamentare bulgaro. Uno di quelli che rimase affascinato dalla fama d’integrità dell’ex pm di Mani pulite. Tanto da invitarlo a Sofia nel giugno 2002. «Non sapevo che avesse interessi economici nel nostro paese» dice Kamov a Panorama. «E nemmeno che frequentasse gente come Pavlov. Non sono un magistrato, però la mia opinione su di lui è chiara: era parte della criminalità organizzata. E la sua Multigroup era uno stato nello stato». Anche su Dogan, l’altro commensale di Tonino, il giudizio di Kamov è categorico: «Da vent’anni il suo partito fa brogli elettorali» accusa. «I turchi che non votano per lui sono minacciati. L’ho visto con i miei occhi. L’ho denunciato in parlamento. Ma non è servito a niente».
Le frequentazioni pericolose di Tonino non si limitano però a quelle immortalate la sera dell’elezione di Miss Grand hotel International. A Sofia, Di Pietro incontra anche il deputato Alexander Tomov. L’occasione è una tavola rotonda sulla giustizia. E sei anni dopo, nel 2008, anche Tomov finisce nei guai. In luglio viene indagato come presidente della squadra di calcio del Cska Sofia: avrebbe distratto fondi per 3,5 milioni di euro. La stessa accusa che gli contestano quattro mesi dopo: 15 milioni sottratti dalle casse della Kremikovtzi, la più grande industria metallurgica del paese di cui Tomov era manager. Ora rischia 15 anni di carcere. «Sono una vittima della piovra politica che stritola la Bulgaria» si difende Tomov. E racconta a Panorama dei suoi rendez-vous con Di Pietro: «L’ho visto molte volte, anche all’estero. Sono un suo grande ammiratore e condivido le sue battaglie».
Giudizi lusinghieri. Condivisi anche da Anton Stankov, ex ministro della Giustizia: «Per noi era il simbolo della battaglia contro la criminalità» ricorda. «Tanto che gli ho chiesto consigli per il nostro nuovo codice penale». Tra la primavera e l’estate del 2002, anche Stankov vede Di Pietro un paio di volte. Il 3 giugno 2002 l’ex magistrato è addirittura l’ospite d’onore di un convegno sulla «lotta alla corruzione»: il suo pane quotidiano. Passano due mesi: l’uomo simbolo di Mani pulite si trova a banchettare amabilmente con Pavlov e compagni. Tra i ficus di un lussuoso resort affacciato sul Mar Nero.