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 2010  marzo 24 Mercoledì calendario

ADDIO PIRELLA UNA VITA SULLA BOCCA DI TUTTI NOI



Era un’altra Milano quella in cui Emanuele Pirella era sbarcato, come tanti giovani padani, in cerca di fortuna. Molto diversa da quella «da bere» degli anni 80 e della moda, e molto lontana da quella «da edificare» dei 90 e delle archi star. Ancora con il «coeur in man» ma anche quella dei lavoratori e studenti assieme in corteo e degli intellettuali dirompenti, eccentrici e straordinariamente fattivi. La Milano di Camilla Cederna, Umberto Eco, Oreste Del Buono, Fulvia Serra, del Piccolo di Strehler e Piero Manzoni.
Emanuele Pirella, uno dei protagonisti più vitali di questa Milano poliedrica e impegnata, a settant’anni, dopo una lunga malattia, si è spento ieri in quella che era diventata la sua città.
Il più importante dei suoi compagni di viaggio creativo, il pittore e illustratore Tullio Pericoli, coautore di Tutti da Fulvia sabato sera, parla con misura e quasi a fatica. La discrezione è la cifra che hanno avuto in comune, e i sodalizi profondi lasciano comunque vedovi: «Il primo lavoro assieme, più di 40 anni fa - ci dice Pericoli - per il giornale Erba Voglio, era una doppia pagina scritta da Emanuele e disegnata da me. Un finto interrogatorio della polizia al tassista Rolandi, quello di Piazza Fontana. Subito dopo cominciammo con il dottor Rigolo su Linus e poi Tutti da Fulvia sabato sera, prima sulla terza pagina del Corriere e poi su Repubblica. L’idea era stata di Emanuele. Era un uomo molto discreto e il meno salottiero dei due, ma lui aveva il talento di radiografare gli umori e le trame di un Paese attraversato dal cambiamento. Il metodo di lavoro lo abbiamo inventato mano a mano. La nostra Fulvia si affacciava dalle pagine del quotidiano e commentava. Ormai ha quasi 40 anni ed è cambiata, ma è sempre stato il nostro altoparlante. Forse più un bassoparlante. Con lei sul divano si sono seduti: Umberto Eco, Oreste Del Buono, Manganelli e Moravia. Poi lei da sola, protagonista. Ho disegnato tutto e tutti, ma il mio amico Emanuele, mai».
Pubblicitario, giornalista, autore di satira, Emanuele Pirella era soprattutto un intellettuale, prestato alla pubblicità e al giornalismo. Eclettico e lettore onnivoro di libri, fumetti e giornali, coltivava una meticolosa divisione tra i suoi campi d’azione: pubblicità, giornalismo e testi satirici. Su suggerimento di Vittorini e Calvino va a lavorare in un’agenzia pubblicitaria per sei mesi. Poi in Young&Rubicam. Nel 1981 fonda con Michele Göttsche la Pirella Göttsche, e da qualche anno la Scuola di Emanuele Pirella, un incubatore di talenti a cui aveva in progetto di dedicarsi interamente dal 2010. La sua agenzia pubblicitaria a Cannes riceve una raffica di Leoni: di bronzo nel ’97, d’oro nel ’98, di nuovo di bronzo nel ’99, d’argento nel 2000, ancora di bronzo nel 2002. Come autore di satira, in coppia con Pericoli, lavora per Linus, L’Espresso, il Corriere della Sera e La Repubblica, con la serie Tutti da Fulvia sabato sera. Per l’Espresso cura la rubrica di recensioni televisive, vincendo nel 2000 il Premio Flaiano. Scrive un libro molto sperimentale Hug, ho detto.
Gli ambiti tenuti apparentemente separati, sotterraneamente finiscono per comunicare e nutrirsi l’uno dell’altro. Il crossover tra i mondi che frequenta con genialità e da protagonista è la sua cifra creativa. «Il nome Fulvia di Tutti da Fulvia sabato sera nacque in una cena a casa mia con Emanuele, Gandini, Umberto Eco, ed Emanuele Pericoli - racconta Fulvia Serra, storica direttrice di Linus e Corto Maltese - Ha preso spunto dal mio nome. La sua Fulvia era una snob e io non lo sono mai stata. L’ovvio quotidiano sfugge a tutti ma Emanuele è stato sempre pronto a coglierlo. Ogni volta che lo guardavo pensavo a Groucho Marx e mi aspettavo che si togliesse naso finto, baffi e occhiali».
Se l’advertising è diventato una forma di comunicazione evoluta e sofisticata, è anche merito suo. «Nella pubblicità si possono percepire i modelli - diceva Pirella - e persino i valori a cui, nel bene o nel male, una società si ispira. La ricerca espressiva nel campo della comunicazione trova nella pubblicità un laboratorio di sperimentazione. Registi famosi e grandi fotografi hanno prestato la loro esperienza per realizzare campagne pubblicitarie. La pubblicità è una forma d’arte? Difficile rispondere. Se da una parte è innegabile che anche nelle pubblicità vi sia una fruizione estetica resta il fatto che ogni linguaggio pubblicitario ha un preciso obiettivo, che era e resta quello di persuadere. Per questo si ricorre a precise leggi psicologiche, regole che i pubblicitari debbono sapere utilizzare nel modo più efficace per diffondere un prodotto, di qualsiasi tipo esso sia. Ma dobbiamo per questo concludere che la creatività di un pubblicitario è la parente povera di quella di un artista?»
Suoi slogan innovativi, diventati tutti tormentoni: «Chiquita: 10 e lode», «O così, o Pomì», «Che morbido, è nuovo? No, lavato con Perlana», e quelli iconoclasti e trasgressivi di «Jesus Jeans», come «Non avrai altro jeans all’infuori di me» o «Chi mi ama mi segua». Head line che entreranno nella storia della pubblicità e del costume. Sua la campagna di lancio del neonato quotidiano La Repubblica, suoi i veterinari inseparabili, simbolo dell’amicizia esclusiva e virile dell’amaro Montenegro. E sua la campagna dei tortellini per Giovanni Rana, con protagonista dei filmati, l’imprenditore medesimo.
« morto un pezzo di contemporaneità - ci dice Annamaria Testa, pubblicitaria e saggista - è stato un maestro, con tutto il rigore, la serenità e il mistero dei maestri. Metà dei direttori creativi italiani sono stati suoi allievi. Gusto, cultura e uso consapevole del linguaggio erano la sua cifra. La cifra di pochi. Per lui ho una vera gratitudine. Mi ha insegnato gli elementi basilari e fondanti del mestiere. E insieme l’amore per la qualità del pensiero. Era innamorato della qualità e riusciva a farcene innamorare, con una deduttiva e penetrante reticenza». L’attenzione ai cambiamenti della società era il suo forte. E il suo forte era la brevità, arma di satirici e pubblicitari. Di chi ogni giorno si gioca tutto «one shot», in una battuta che ha il compito di tracciare la strada tra trincee avverse.
« arrivata la rivoluzione e non ho niente da mettermi» recitava il testo teatrale di Umberto Simonetta e Livia Cerini nel ’73. La rivoluzione sembrava imminente e quelle parole sarebbero potute essere quelle della Fulvia di Emanuele e di Tullio. La rivoluzione non è arrivata e ancora non abbiamo deciso cosa metterci. Ma Pirella ci ha suggerito come riconoscere nello specchio le nostre manie.