FILIPPO CECCARELLI, la Repubblica 26/3/2010, 26 marzo 2010
L´ALBA OPERAIA DEL LEADER PD AI CANCELLI DI MIRAFIORI DOVE LA STORIA FERRO E SANGUE
Esistono dei luoghi che dalla storia anche viva di questo paese, per accumulo di figure, di eventi e anche di simboli, piano piano trascolorano in un culto mitico che a tratti si fa persino religioso.
Da questo punto di vista i cancelli di Mirafiori, dove stamattina alle 5, primo turno, il segretario del Pd Bersani ha scelto di andare a chiudere la campagna elettorale sono necessariamente da intendersi come la janua coeli, la porta del cielo della classe operaia italiana. E tanto più sono una porta, una soglia, questi cancelli, se si pensa che non molto tempo fa, per volontà dell´aspirante governatore del centrodestra Roberto Cota, la Lega ha aperto una sezione proprio a Mirafiori; con il che a suo modo prosegue il mito, e l´emblematica traiettoria merita senz´altro di essere seguita dopo che proprio qui il leader dell´opposizione ha deciso di venire, all´alba, tra gli operai - e i giornalisti.
Dopo tutto la segreteria di Bersani esordì in una fabbrica tessile, l´ottobre scorso, con un comizio tenuto su una sedia alla periferia di Prato. Ma Mirafiori, francamente, è «la» fabbrica. Così la descrive Piero Fassino nel suo Per passione (Rizzoli, 2003): «Mirafiori è una calamita politica assai potente, la cui presenza troneggia anche fisicamente incutendo timore e rispetto». Da un certo numero di generazioni, si può dire.
A questo proposito c´è un antico e celebre filmato dell´Istituto Luce che dà conto di un comizio di Mussolini, che come altri leader aveva l´abitudine tribunizia di dialogare con la folla. Ma gli operai di Mirafiori, evidentemente - forse perché scontenti, forse perché torinesi e quindi infastiditi dagli eccessi - non accettarono tanto il giochetto. Il Duce ci dava dentro: «Lo ricordate voi?» chiedeva aspettandosi un clamoroso sì, e quelli invece «ni». «E allora andate a rileggervelo» ordinò stizzito Mussolini prendendo cappello.
Ecco. Si parte da qui, ma poi la storia si fa epica colorandosi di rosso (la Fiom e il Pci) e di giallo (il sindacato padronale, Sida). I quadri di partito che hanno smesso di pensare alla «rivolusiun», le incursioni dei gruppi di Edgardo Sogno, poi la generazione «con le magliette a strisce», quindi i picchetti degli extraparlamentari. Mirafiori come cattedrale dell´emancipazione, ma anche come laboratorio della violenza: i primi volantini e le prime imprese delle Br, un sindacalista missino legato a un albero davanti alla Porta 5 già nel 1973, e le auto dei capi bruciate, poi le gambizzazioni, tre nel 1977, due l´anno seguente, fino al gigantesco incendio dei magazzini.
A questi fatali cancelli viene Giampaolo Pansa a intervistare gli operai durante il caso Moro: e sono risposte fredde, niente affatto rassicuranti e a tratti tali da giustificare sospetti di fiancheggiamento. Ma sempre da qui parte la reazione dei capi che non ne possono più, la marcia dei quarantamila. In mezzo, tra la cassa integrazione e 13 mila lettere di licenziamento, tra i falò, le chitarre e i sacchetti con i panini spediti a Torino dai compagni dell´Emilia, ci sono le immagini di quel 26 settembre del 1980. Berlinguer che porta la sua solidarietà.
Lo fanno salire su un tavolo traballante, si rimedia un microfono. C´è gente che piange. Gli chiede uno: e se noi occupiamo? Risponde serio il segretario del Pci: «Se si dovrà giungere anche a questo per responsabilità della Fiat e del governo, i comunisti faranno la loro parte». Qualche giorno dopo va a parlargli Luciano Lama: «Ma credi di aver fatto bene?». La replica dice tutto del personaggio (e un po´ anche dei tempi): «Questo è un momento in cui bisogna spendere tutto e dare la prova ai lavoratori che siamo con loro».
Un luogo e una vicenda di uomini, di categorie e di macchine che tiene insieme il declino dell´aristocrazia operaia, composta da lavoratori orgogliosi di fresare l´acciaio al millimetro, di fare «i baffi alle mosche», e l´invasione dell´operaio-massa alla «Gasparazzo», protagonista delle vignette di Lotta continua; e che oggi conduce alla Lega, però anche alla simbolica levataccia di Bersani che ritrova in questo tempio del lavoro salariato una ragione, una convinzione, forse una speranza.
Dalle linee di montaggio monotone e ripetitive ai processi di automazione, ai robot. E la droga, gli extracomunitari con le merci taroccate, le nuove passioni del consumo, la frenesia dell´omologazione e il suo disperato contrario. Tutto sempre in questo ardente microcosmo dei rapporti di produzione. Tutto a riprova che la storia non è mai una sequela di faticose novità, ma un luogo intelligente dove si continua vivere una vita sempre uguale e sempre diversa.