Alberto Brambilla, Il Riformista 26/3/2010, 26 marzo 2010
TAGLI FIAT E POLITICA A CHI GIOVA E A CHI NO L’ATTACCO DI REPUBBLICA
Le indiscrezioni di Repubblica, bollate come infondate da Fiat, arrivano a un passo dalle elezioni regionali e dicono che da qui a quattro anni quasi la metà dei 5.800 operai di Mirafiori dovranno lasciare il posto, così come altri quattromila nel resto del paese. Vedremo che cosa si dirà oggi all’assemblea degli azionisti. Ma sul futuro di Mirafiori, e su quelle indiscrezioni, c’è in gioco il patto tra Fiat e la sinistra piemontese, legati stretti per tradizione, mentre a Torino lo sfidante leghista Roberto Cota è in rimonta su Mercedes Bresso del Pd. Ma la partita riguarda anche la credibilità del Governo, che per mesi ha gestito le trattative su Termini Imerese e deve fronteggiare l’emorragia occupazionale italiana. E allora: quali sono le conseguenze della notizia per l’esecutivo e per il futuro assetto del Piemonte? Chi vince? E chi perde?
I rapporti tra azienda e politica sabauda sono forti, consolidati e amichevoli. Stima e simpatia reciproca caratterizzano il dialogo tra il sindaco di Torino Sergio Chiamparino (Pd) e l’amministratore delegato della società Sergio Marchionne. Un siparietto di tre anni fa all’inaugurazione dell’asilo nido di Mirafiori ne è un esempio: si parla di una mano di scopa in cui è in gioco il futuro di Fiat e in particolare quello del sito piemontese, il secondo d’Italia per produzione. «La partita la faccio quando vuoi – dice Marchionne - ma il futuro di Mirafiori non lo metto certo sul tavolo, se vuoi come posta mettiamo il tuo futuro partito». Chiamparino scommette volentieri, «ma se vinco cosa ci guadagno?», chiede all’ad. «Che mi metto a fare politica insieme a te», risponde Marchionne con un sorriso. Il gioco delle carte è tornato d’attualità e al centro del tavolo c’è ancora il futuro di Fiat e Mirafiori.
In ambienti vicini al Lingotto dicono che sarà la Bresso ad accusare il colpo. Visione condivisa da Giulio Sapelli, docente di storia economica alla Statale di Milano. Al netto delle smentite «lo leggo come un attacco alla Bresso e a Chiamparino – afferma Sapelli - ma anche un anticipo, una preparazione, della strategia di Fiat a ciò che verrà dopo, e cioè un probabile governo di Cota».
Ieri all’ombra della mole si respirava un’aria meno pesante rispetto alla bufera di due giorni fa e la fiducia nel Lingotto sembra ancora salda. Sergio Dosio, ex dirigente dell’Unione industriali di Torino, pensa che i tagli non siano concreti e realistici ma che «le fortissime e improvvise preoccupazioni sindacali abbiano una forte componente strumentale e politica». Il riferimento è alle parole del segretario della Cigl, Guglielmo Epifani, che in un’intervista ha accusato la proprietà di non aver assunto una posizione forte in merito all’occupazione. «Credo che la gente stia dando più fiducia a Marchionne che a Epifani – commenta Dosio aggiungendo che – diffondere preoccupazione in questo momento fa il gioco dei pessimisti e può indirizzare l’elettorato». C’è stato un «eccesso di politicizzazione» che determina uno spostamento verso il «partito dei preoccupati e pessimisti», cioè la sinistra, e l’impressione è che «Epifani cavalchi la tigre», dice Dosio.
Lo scossone partito dal maggior quotidiano nazionale e lanciato in prima serata dai Tg (non da quello della prima rete) ha toccato anche i palazzi romani. proprio dalla sede del Governo che Marchionne in dicembre ha annunciato la strategia del Lingotto per l’Italia: un investimento da otto miliardi di euro in due anni. Apprese le indiscrezioni il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha parlato di una provocazione politica a ridosso del voto ma prima delle urne c’è l’assemblea degli azionisti Fiat, in programma oggi, ed è lì che si dovrebbe guardare piuttosto che ai seggi, come fa notare Giorgio Airaudo, segretario della Fiom torinese. «Non riesco a immaginare chi possa trarre vantaggio da un annuncio di quel tipo – aggiunge Airaudo -, se parliamo degli azionisti qualcuno potrebbe uscirne danneggiato, ma nessuno dal punto di vista elettorale perché il voto dei lavoratori è molto vario». Buttarla in politica, insomma, è «un diversivo», meglio guardare alla gestione dell’esecutivo, che ha lasciato «troppo libera» una società che ha ancora un certo peso nel Pil: «Il rischio – prosegue Airaudo - è che il conto lo paghino i lavoratori e il paese, perché se fra qualche anno avremo una Fiat più piccola, e con meno prodotti, avremo impoverito l’Italia».