Massimo Martinelli, Il Messaggero 25/3/2010, 25 marzo 2010
I TROPPI MISTERI DEL CASO MARRAZZO, L’ORGOGLIO DELL’ARMA NEL FAR PULIZIA
I Carabinieri stanno cercando di dare un senso compiuto all’indagine sul tentato ricatto a Piero Marrazzo, nella consapevolezza che anche facendo giustizia sulla morte di un pusher che viveva ai margini della legalità si restituire onore all’Arma (casomai qualcuno l’avesse messo in discussione). Sentimenti come orgoglio, nostalgia ma anche rabbia per aver ceduto alla scorciatoia illegale (che avrebbe dovuto fruttare decine di migliaia di euro) sono emersi dalle parole di Antonio Tamburrino, uno dei quattro carabinieri finiti sotto inchiesta: « stato un onore farmi arrestare dai miei colleghi, perché io mi sento ancora carabiniere. [...] non vedo l’ora di poter di nuovo indossare la mia divisa».
Ma ci sono ancora molti punti interrogativi in questa vicenda, a partire dalla strana fine del pusher Gianguerino Cafasso.Nella settimana prima di morire Cafasso voleva incassare i soldi e andare via, perché aveva paura. Ma quali soldi, da chi doveva incassarli e di cosa avesse paura, non l’aveva detto nemmeno a Jennifer, la trans sua "fidanzata" che è stata testimone - in parte silente anche con gli investigatori - delle sue ultime ore di vita. L’arresto cardiocircolatorio ipotizzato per Cafasso in un primo tempo va un po’ stretto a questa storia. Gli esami dissero che Gianguerino aveva in corpo una dose letale di cocaina ed eroina, un misto chiamato speedball ("palla veloce"). Ma difficile pensare di uccidere un tossicomane dichiarato, per giunta di 120 chili, con uno speedball, che non è stato stabilito se contenesse o meno stricnina o altri veleni fulminanti. Jennifer, anche lei consumatrice abituale, preferì evitare quella sera, insospettita da quello speedball o forse perché sapeva. Cafasso, che la droga la conosceva bene, era attrezzato per intuire qualcosa se fosse stato possibile, ma non lo capì. Era il dodici settembre 2009, il caso Marrazzo non era ancora deflagrato, nessuno si insospettì per questa morte strana.
C’è poi da chiarire che fine abbia fatto un cellulare di Cafasso. Uno infatti fu trovato nella sua macchina, un altro invece fu maneggiato da Jennifer, che racconta di averlo buttato via perché squillava troppo. Ma magari lo ha rivenduto, forse era proprio quel cellulare a contenere video scottanti - del resto Cafasso si vantava idi tenere mezza Roma sotto scacco, per via dei video girati nelle alcove di via Due Ponti e per le dosi di coca che forniva.
E’ questa la nuova frontiera dell’indagine: capire chi c’era, oltre a Piero Marrazzo, nella lista dei clienti vip che frequentavano via Due Ponti e via Gradoli, e che erano finiti sotto ricatto di una banda di uomini che avevano scelto di tradire una divisa con la complicità di uno spacciatore abituale.