Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 25/3/2010;, 25 marzo 2010
IL PALAZZINARO D’ORO DI MONTECITORIO
Ci voleva una radicale come Rita Bernardini per riportare sulle pagine dei giornali il problema della locazione a prezzi stratosferici dei palazzi della Camera dei deputati. La pubblicazione delle spese su Internet, possibile grazie a una dura battaglia della parlamentare del centrosinistra e grazie a un bel gesto del presidente Gianfranco Fini, riporta alla ribalta l’importo colossale incassato ogni anno da ”Milano 90”. La società del palazzinaro romano Sergio Scarpellini, interessato a costruire il nuovo stadio della Roma, percepisce 53 milioni di euro dalla Camera dei deputati, dei quali circa 50 milioni sono relativi agli affitti di quattro palazzi in pieno centro. La vicenda è stata raccontata nel 2007 da Gianantonio Stella e Sergio Rizzo ne La Casta ed è stata mostrata da Stefano Bianchi di A n n o ze ro . Ma nulla si è mosso. La storia è esemplare e merita di essere ripercorsa perché unisce destra e sinistra nel segno dello spreco. Nel 1997 la Camera cerca casa. Nonostante già allora il declino del Parlamento, ormai espropriato della funzione legislativa dal governo, fosse evidente a tutti, i deputati vogliono espandersi. Come un’azienda in crisi che cerca nuovi capannoni per ospitare i suoi operai nullafacenti, così la Camera si mette a caccia di fabbricati prestigiosi adatti alla bisogna. La scelta è ristretta: gli onorevoli vogliono stare comodi e accettano solo uffici a due passi da Montecitorio per avere finalmente una stanza e una scrivania per ciascun deputato e per i suoi collaboratori. La scelta, nel periodo in cui era presidente della Camera Luciano Violante, cade su quattro stabili nei dintorni di Fontana di Trevi. L’idea di trovare una sede più degna per l’istituzione che rappresenta il popolo italiano, in sé non era e non è criticabile. Il problema sono le modalità prescelte per eseguirla. Quando il costruttore romano Sergio Scarpellini (proprietario di una della maggiori scuderie di cavalli italiane e di un immenso patrimonio immobiliare nella Capitale) bussa alla Camera dei deputati per proporre l’affare della sua vita, il suo gruppo non è nella florida situazione attuale. Nel 1995 la sua società ”Milano 90” aveva chiuso il bilancio con una perdita di 12 miliardi e con un indebitamento di 88 miliardi. Efibanca e il Banco di Napoli scalpitavano per i crediti. Nel 1997 Scarpellini stipula il suo primo contratto con Montecitorio per il fabbricato di via del Tritone. Nel 1998 arriva il secondo contratto di locazione e poi in rapida sequenza gli altri due. Alla fine della ”cura Montecitorio” nel 1999 il gruppo Scarpellini brinda con un utile di 11 miliardi di lire. Ci sarebbe da fare i complimenti ai protagonisti di questa operazione imprenditoriale se non fosse per una stranezza non da poco: i due palazzi che interessavano nel 1997 alla Camera dei deputati non erano di Scarpellini ma di due società pubbliche: Telecom Italia ed Enel. Eppure la Camera, invece di sedersi a trattare con due società controllate dal ministero del Tesoro, cioè dello Stato, preferisce accordarsi con un privato. Così il gruppo Scarpellini, dopo avere ottenuto la firma della Camera su un contratto di affitto per un immobile che non è ancora suo, può presentarsi in banca e ottenere un mutuo (garantito dal flusso dei canoni) per comprare i palazzi. Un’o p e ra z i o n e geniale e a rischio zero per lui che però diventa difficilmente spiegabile dal punto di vista pubblico. Il contratto prevede una durata di 9 anni più nove e, complessivamente, la spesa per la Camera fu stimata nel 2007 da Sergio Rizzo e Gianantonio Stella in 444 milioni. Con quella cifra secondo i due giornalisti più documentati in materia, lo Stato avrebbe potuto acquistare 63 mila metri quadrati nel centro storico di Roma. Se avesse fatto la scelta di comprare in prima persona, la Camera si sarebbe ritrovata al termine del periodo di locazione ad avere speso più o meno la stessa cifra, con il vantaggio però di poter vantare almeno la proprietà dei quattro onorevoli palazzi. La novità di ieri – alla luce del documento pubblicato da Rita Bernardini – è che quel calcolo deve essere rivisto al rialzo per Scarpellini e al ribasso per lo Stato. Se i quattro palazzi di Scarpellini costano davvero 50 milioni di euro all’anno, come rivelato dalla parlamentare radicale, e non 34 milioni come sembrava di capire dai bilanci della Camera, il conto (già disastroso) fatto allora, deve essere aumentato: solo per gli anni rimasti da qui alla scadenza del contratto con la Milano 90 nel 2015, la Camera sborserà ancora 250 milioni di e u ro . Quando quel contratto fu firmato nel 1997, l’organo decisionale in materia amministrativa era retto da tre questori di entrambi gli schieramenti: Angelo Muzio (Rifondazione comunista) Ugo Martinat (An) e Maura Camoirano (Ds-Ulivo). La stranezza di questo contratto allora fu notata da due parlamentari dell’oppo - sizione, Franco Pagliarini della Lega nord e Teodoro Buontempo (allora di An e ora con Francesco Storace nella Destra). Nonostante la loro battaglia fosse basata su argomenti granitici, i due deputati furono isolati nei loro partiti. Anche i giornali allora evitarono di approfondire le loro denunce, sgradite a tutti i partiti. Intanto Scarpellini ha continuato ad avere ottimi rapporti con i suoi inquilini. Secondo le dichiarazioni ufficiali depositate a Montecitorio ha versato 100 mila euro ai Ds di Roma nel 2006 e negli anni precedenti non aveva disdegnato di contribuire con qualche decina di migliaia di euro anche alle finanze leghiste. In politica, come negli affari, il sor Sergio è bipartisan.