Alessandra Farkas, Corriere della Sera 25/03/2010, 25 marzo 2010
IL DEMONE DELLA PRECISIONE
«Riorganizzarlo è stato un lavoro che non auguro a nessuno», racconta Bonnie Nadell, amica e agente letteraria di Wallace, morto suicida il 12 settembre 2008 a 46 anni. «Alcuni scrittori lasciano le loro carte ben organizzate in scatoloni, adeguatamente etichettate. David le aveva lasciate nella confusione più totale, in un garage umido e buio, abitato dai ragni. Io e sua moglie Karen Green abbiamo dovuto ricreare l’ordine dal caos, mettendo insieme i manoscritti delle stesse opere e catalogando i materiali».
L’archivio abbraccia un arco temporale che va dagli anni 60 al 2008 e comprende appunti scritti a mano e bozze delle sue opere, poesie composte nell’infanzia’ dalle elementari al liceo’ materiali di e documenti relativi a scrittori come James Joyce, Samuel Beckett, Don DeLillo, Norman Mailer e Doris Lessing – lavorava alla sua acquisizione. Nel 2005, quando entrò in possesso delle carte di Don DeLillo, il centro s’imbatté in una corrispondenza tra lui e Foster Wallace. Scritte durante la stesura di
Infinite Jest, queste lettere mostravano un Foster Wallace serio, ironico e a volte incerto, ma che metteva una cura certosina nel suo lavoro. Nel 2006, dopo aver letto sul «New York Times» il celebre saggio di Wallace sul tennista Roger Federer, Thomas F. Staley, direttore del Ransom Center e appassionato di tennis, gli scrisse per domandargli del suo archivio, invitarlo al centro e sfidarlo in un’amichevole partita a tennis. Ma la lettera rimase senza risposta.
Alcune settimane dopo la sua morte, Staley contattò la vedova. Il resto è storia. Non appena cominciarono ad aprire gli scatoloni che contenevano i libri e i documenti della sua biblioteca personale, gli archivisti si resero conto di avere a che fare con un intellettuale finissimo, dotato di un ethos professionale fuori dal comune. «Wallace sottolineava interi passaggi, faceva commenti ai margini e utilizzava la copertina e l’ultima pagina dei libri per segnare note, liste di vocaboli e idee – racconta la Schwartzburg ”. Il suo amore per le parole, il loro suono ed etimologia erano sorprendenti».
Da appassionata lettrice di Infinite Jest, la sua attenzione fu attirata da una copia consunta di The
Cinema Book, curato da Pam Cook nel 1985. Privo di copertina e tenuto insieme dal nastro adesivo, il libro’ firmato «D. Wallace ”92» – è stato una delle fonti d’ispirazione principali di Infinite Jest, fluviale romanzo uscito quattro anni più tardi. «Il capolavoro di David parla di molte cose’ teorizza la Schwartzburg – ma uno dei suoi temi dominanti è il potere ipnotizzante del cinema e una delle sue figure centrali è James O. Incandenza, i cui film, in un modo o nell’altro, hanno lasciato un’impronta indelebile su tutti i personaggi del romanzo».
All’inizio di Infinite Jest, è rivelata – anche se in modo a dir poco criptico – l’entità della sua importanza nella nota numero 24 che riporta l’intera filmografia di Incandenza (che nel libro muore suicida, dopo aver infilato la testa in un forno a microonde): otto pagine fitte con caratteri di stampa minuscoli. «Nelle note finali scopriamo che Infinite Jest è il titolo di uno dei film di Incandenza’ afferma la curatrice ”. Ma solo il lettore più puntiglioso scopre che è essenziale leggere le note a piè di pagina».
In due punti di The Cinema Book, Wallace annotò a mano, esplicitamente, le parole Infinite Jest. Nella sezione su Roberto Rossellini, campeggia la frase «Rossellini + "ad-hoc" structure-Infinite Jest» (39), un chiaro omaggio al grande regista italiano di cui Wallace era un ammiratore. Ma l’archivio annovera anche la prima opera su cui David abbia mai posto la firma: una poesia, «Viking Poem», composta quando aveva sei o sette anni. Oltre a temi scolastici su Orgoglio e Pregiudizio e Moby Dick e quattro numeri di «Sabrina», l’humor magazine che fondò insieme con Mark Costello, suo compagno di stanza alla prestigiosa Amherst University. epoca universitaria e corrispondenze con i suoi editor. Tra questi Michael Pietsch, senior editor della Little, Brown and Company, che in una lettera del 22 dicembre 1994 gli suggerisce, con grande garbo, di «tagliare» il manoscritto di Infinite Jest.
Al Ransom Center sarà esposta anche la biblioteca più personale dello scrittore: oltre 200 opere, tra cui un dizionario pieno di parole cerchiate a mano e libri di oltre 40 autori, inclusi Don DeLillo, Cormac McCarthy e John Updike, pieni di annotazioni di Wallace. Una miniera d’oro, assicura Don DeLillo, per anni suo amico, secondo il quale «l’opera di David, così vitale, coraggiosa e insieme legata alla cultura da cui ha origine sarà una fonte di analisi per le generazioni future».
Nonostante la sciatteria e l’abbandono in cui hanno trovato i suoi scritti, gli studiosi si sono meravigliati nello scoprire la cura sconvolgente che Foster Wallace metteva nella scrittura. Per ogni bozza dei suoi libri vi sono diversi livelli di revisione, marcati con colori differenti. Le parole ripetute cambiano finché non viene trovata l’espressione perfetta per ogni frase, con note lasciate a se stesso su come limare un periodo fino a quando non riesce a placare il suo perfezionismo quasi ossessivo. «Tutti pensano che David fosse il classico scrittore genio e sregolatezza – incalza Nadell – ma chi leggerà le sue note si renderà conto di quanto siano scrupolose e di come il nome di un personaggio cambiasse in continuazione fino a diventare quello giusto. David passava in rassegna i dizionari, prendendo appunti, e si eccitava come un bambino nello scoprire una nuova parola da usare nei dialoghi che annotava sul quaderno».
Considerato un visionario tra gli scrittori della sua generazione, Foster Wallace soffriva di depressione. Anche se la catalogazione dell’archivio non è stata ultimata, la curatrice della mostra, Molly Schwartzburg, afferma che tra le carte non sembra esserci niente che possa gettare luce sulla sua malattia. Tuttavia, nota, alcune chiavi di lettura potrebbero emergere dai materiali della sua ultima opera incompiuta, The Pale King (ambientato in un ufficio del fisco dell’Illinois a fine anni 80), cui David stava lavorando al momento della morte e che si aggiungeranno alla collezione del Ransom Center solo l’anno prossimo.
Il manoscritto segreto del romanzo postumo rimarrà chiuso in una cassaforte dell’editore Little, Brown and Company, fino all’aprile 2011, data prevista di pubblicazione dell’opera. Nel frattempo la casa editrice ha donato al Ransom Center tutta la corrispondenza e i documenti interni relativi a Infinite Jest, Brevi interviste con uomini schifosi (1999), Oblio (2004), Tennis, Tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più) del 1997 e Considera l’aragosta del 2006.
Anche se l’archivio è giunto in Texas solo alla fine del 2009, già da anni il Ransom Center’ considerato una delle più grandi istituzioni culturali al mondo, grazie ai suoi oltre 36 milioni di manoscritti
Alessandra Farkas