SILVIA BIZIO, la Repubblica 25/3/2010, 25 marzo 2010
ETHAN HAWKE: UN B-MOVIE PER DIVERTIRMI MA AVATAR UCCIDER IL NOSTRO MESTIERE
Ethan Hawke nonostante conservi un faccino da chierichetto anche adesso a 39 anni, continua ad affrontare ruoli pieni di tormento interiore (si pensi al balordo matricida in "Onora il padre e la madre" di Sidney Lumet, 2007), si ripresenta al cinema in doppia veste: filantropico vampiro nell´horror fantascientifico Daybreakers-L´ultimo vampiro, dei gemelli tedeschi Spierig (da domani nelle nostre sale), e agente della squadra narcotici nel thriller metropolitano di Antoine Fuqua Brooklyn´s Finest.
Sono più di 20 anni che Hawke ha la statura di una star del cinema, da L´attimo fuggente di Peter Weir (1989). Ma Hawke è anche sceneggiatore - suo Prima dell´alba del 2004 - e scrittore (ha pubblicato tre romanzi): non a caso è un lontano discendente di Tennessee Williams. Ha occupato anche le pagine delle riviste di gossip quando, nel 1997, conobbe Uma Thurman sul set del film futurista Gattaca e la sposò; sette anni e due figli dopo si separarono. Hawke si è poi risposato l´anno scorso con Ryan Shawhughes - la loro ex babysitter - dalla quale ha avuto la sua terza figlia, Clementine.
In Daybreakers il genere umano si è trasformato in una popolazione di vampiri cui non basta più il sangue degli uomini rimasti tali, quindi fanno la fila al bar per bere fiale di sangue chimico e vivono, ovviamente, di notte. «Daybreakers va preso come un romanzo a fumetti, un luna-park pieno di divertimenti e brividi. Io faccio un vampiro gentiluomo, un ematologo che compie ricerche sul sangue sintetico al fine di produrlo e lasciare così in pace quel che è rimasto dell´umanità, ovvero il 5% della popolazione - il resto mutato da uno spaventoso virus».
Un horror per ridere?
«Non esattamente, però richiede di stare al gioco. Un bel B-movie come si deve ha bisogno di una certa dose di satira e di una metafora possibilmente politica. Questo film ce l´ha. Ovvero l´uomo che ha dimenticato cosa significa essere umani».
E´ l´ennesimo film sui vampiri: come spiega il dilagare di questa moda sia al cinema che in tv?
«Dipende dai cicli e dalla tendenza di Hollywood a copiare chi ha successo. Se il vampiro oggi va forte tra i giovani è per via del fenomeno Twilight e di nient´altro, credetemi».
Lei però ha sempre dato l´idea di essere un attore serio, attento alla qualità dei film in cui appare.
«Confermo, ma ogni tanto può anche starci che un attore voglia divertirsi con un B-movie eccentrico come Daybreakers».
Lei è più un attore da cinema indipendente.
«Sì certo, e mi preoccupa non poco l´enfasi che gli studios di Hollywood stanno ponendo sulla tecnologia. Un film senza effetti speciali non interessa più chi investe. E lo sviluppo delle tecniche digitali applicate al cinema renderà sempre più difficile la realizzazione di piccoli film».
Per lei il cinema è arte o industria?
« arte, ma non nego sia anche una forma d´intrattenimento. Andrebbe bene, se un kolossal come Avatar e il suo stratosferico successo commerciale non minacciasse di toglierci il lavoro, nel senso che una major sarà sempre più incline a produrre un film da duecento milioni di dollari piuttosto che dieci film da venti. Per non parlare delle tecnologie digitali che prima o poi renderanno gli attori un inutile impiccio sul set».
Ma lei frequenta molto il teatro, anche da regista.
«Ho messo in scena a Broadway la pièce di Sam Shepard "A lie of the mind", un inaspettato successo di critica e pubblico. E´ il lavoro che mi ha dato più soddisfazione in assoluto nella vita».
Niente in televisione?
«Tra poco andrà in onda la miniserie Moby Dick, fedelissima al libro di Melville, molto più del film di John Houston (Hawke è l´ufficiale Starbuck, Ahab è William Hurt, ndr). Ma devo anche scrivere l´introduzione per la nuova traduzione italiana del mio primo romanzo, "The Hottest State", che uscirà tra breve».