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 2010  marzo 25 Giovedì calendario

SALINGER E’ INVECCHIATO, CHARLIE BROWN NO

Schulz era evidentemente più grande di Salinger. Mi ricordo che nel ”65 collaboravo a ”Linus” come Vittorini e lui mi disse ”Io avvicinerei i Peanuts al Giovane Holden”. Io eccepii, e lui mi chiese ”Vuoi dire che è più artista Schulz?”. Tempo fa ho scritto un pezzullo in morte di Salinger, in cui sostenevo che a leggerlo adesso è datato, per il linguaggio e per lo slang. Schulz, no. Allora il vero poeta era lui, non è stato più toccato, dato che è impossibile aggiornarlo, perché era già buono per tutti i tempi, proprio come i classici».
Parola di Umberto Eco, che condensa in una frase il concetto per cui Charlie Brown ha sì sessant’anni, ma li porta molto meglio del suo celebre coetaneo, l’ormai ex giovane Holden. Il semiologo ha parlato così nell’aula universitaria di San Giovanni in Monte a Bologna – durante l’incontro «Charlie Brown: i suoi primi 60 anni» con Annamaria Gandini, il grafico di «Linus» Salvatore Grigorietti, Fulvia Serra e la vedova del disegnatore, Jeannie Schulz -, riscattando una volta di più il fumetto dal rango di arte di serie B, ma in realtà si è ripetuto, perché gli stessi argomenti avevano ispirato la sua introduzione al libro che segnò la primissima apparizione dei «Peanuts» in Italia nel 1963.
Schulz all’epoca era già famosissimo negli Usa, mentre in Europa era un illustre sconosciuto. Eco, che ne curò anche le traduzioni in italiano insieme a Franco Cavallone e ad altri del giro di Giovanni Gandini – quelli della nascente Milano Libri -, fece la sua parte per favorirne lo sbarco nel nostro paese. «Esisteva una massoneria di persone che andavano in piazza alla Scala, in una edicola-libreria che ora è stata trasformata in un negozio che vende articoli cinesi. Lì trovavamo i ”Fantastici 4” e volumetti di fumetti americani. Noi facevamo parte di una confraternita segreta e ci scambiavamo informazioni sui Peanuts. Voglio anche precisare che Vittorini aveva fatto un’operazione per cui aveva messo i fumetti di ”BC” in una collana letteraria che dirigeva. Quello è stato il primo fumetto a entrare in una collana letteraria, ancora prima dei Peanuts, perché lui aveva questo coraggio».
Senza perdere il gusto per la provocazione e per l’accostamento trasversale di generi nobili e meno nobili, l’autore de «Il nome della rosa» ironizza sul fatto che l’ingresso del fumetto dalla porta principale dell’università faccia ancora notizia: «Pietro Citati, a proposito di ”Apocalittici e integrati” (famoso saggio di Eco, ndr), scrisse un articolo scandalizzato in cui diceva che nel giro di dieci anni allora si sarebbero fatte tesi universitarie sul fumetto…».
Profezia destinata ad avverarsi, anche se il tono del critico era tutt’altro che favorevole. Ma l’Italia è comunque in buona compagnia nel disprezzo di strisce e balloons, se è vero che il primo articolo colto sull’argomento pubblicato negli Usa è arrivato a più di vent’anni di distanza dall’introduzione di Eco, riproducendola integralmente: «Il mio scritto su Charlie Brown venne pubblicato come novità assoluta sulla ”New York Review of Books” nel 1985. Il fumetto come genere è nato in America, ma è stato promosso a qualità culturale in Europa».
La vedova di «Sparky», Jeannie Schulz, conferma l’incredulità del marito quando vide che Eco si era occupato del suo lavoro su una rivista letteraria di prestigio.
E a chi gli fa presente la modestia di Schulz, che si presentava come un umile artigiano, il semiologo ribatte: «Quando ho scritto il mio primo romanzo, che inizia con la frase banale ”Era un giorno di novembre…” in polemica con Paul Valéry, che sosteneva che non si poteva più cominciare i libri in quella maniera, ho fatto la citazione di ”era una notte buia e tempestosa” di Snoopy. Ma se Schulz l’aveva scritta, è perché la storia di Valéry la conosceva anche lui. Voglio dire che era molto più colto e letterato di quanto desse a intendere».